I n d a g a r e
Numerosi sono i messaggi e le telefonate con un altro soggetto maschile, il che fa presumere una relazione sessuale fra i due.
Il delitto potrebbe essere imputabile ad un gioco erotico, con scambio di partner sia di genere maschile che femminile.
Le indagini ancora in corso potranno avere ulteriori sviluppi e si preannunciano difficili.
Erano le 19 e 30, la luce solare prossima al tramonto penetrava dalle veneziane, inondando di strisce luminose il tavolo grande della sala riunioni e i volti degli agenti della squadra omicidi. L’agente scelto Baldo aveva appena iniziato la lettura del rapporto preliminare.
“La vittima è un uomo di nome Franco Rinalli, anni 58, scapolo, incensurato, proprietario di un calzaturificio, l’omicidio è avvenuto presumibilmente nella sua abitazione, una villa in via xxxxxx n yj in cui vive da solo.
Il corpo, rinvenuto alle 9 di stamattina 25 maggio 2025 dall’ addetta delle pulizie, signora Giulia Dolci al servizio del Rinalli da 10 anni circa (da cui si recava tre volte a settimana), riverso supino sul pavimento del salone dell’abitazione, vicino all’ingresso della cucina, con un coltello infitto nel torace. Il coltello è stato riconosciuto dalla signora come appartenente agli utensili da cucina della vittima.
Non risultano tracce di effrazione. Sono in possesso delle chiavi dell’abitazione la sorella e la signora delle pulizie. La porta sul davanti dell’abitazione, al momento del sopralluogo, risultava chiusa a chiave e con chiavistello. La Dolci afferma di avere aperto dal retro e di non aver toccato nulla, essere uscita nel giardino e averci chiamato.
L’uomo indossava una comoda tuta da casa.
Il salone risultava in ordine, così come le altre stanze della casa, dove non vi sono tracce di permanenza di altre persone oltre il proprietario, né di accessori e abiti di foggia femminile.
Sul tavolino da fumo, vicino al divano, nel salone, si trovavano, poggiate su di un panno morbido di colore giallo due scarpe da donna, di colore, taglia e modello differenti tra loro, che sono state repertate. La signora Giulia ha affermato di non averle mai viste prima.
L’ultima telefonata dal cellulare della vittima è stata con la sorella, ieri sera verso le ore 20.
Sono in corso accertamenti presso il calzaturificio - dove nessuno dei dipendenti ha riconosciuto nelle foto le calzature in questione - per verificarne, eventualmente, la provenienza nel loro magazzino.
Sono state già acquisite e restano a nostra disposizione le immagini provenienti dalle telecamere di sorveglianza della banca YYY sita nella via xxxxxx, di fronte alla villa.
E questo, per ora è tutto.”.
“Bene, grazie Baldo, ora avete tutti a disposizione le informazioni che sono in nostro possesso, ci riaggiorniamo domani, buonanotte squadra!“.
Così salutò i suoi collaboratori l’ispettrice Ilaria Colomba, incaricata delle indagini sull’omicidio Rinalli.
Mentre tornava a casa in bicicletta, l’ispettrice rimuginava su quel singolare ritrovamento, le due scarpe spaiate, che significato potevano avere?
Dopo tre giorni, la squadra aveva appurato che:
- Le scarpe non provenivano dal calzaturificio.
- L’ora della morte tra le 23 del 24 maggio e le 2 del 25, stabilita dal medico legale era stata provocata da un’unica coltellata sferrata al cuore con forza da un individuo di altezza superiore alla vittima, con la mano destra,
- non ci sono segni di difesa sulla vittima, né di colluttazione.
- La sezione scientifica aveva rilevato nella villa le impronte del proprietario, di Giulia Dolci, di Dario Vecci, figlio della sorella e quindi nipote del Rivelli, impiegato nel settore marketing della ditta.
- Le immagini delle telecamere della banca, esaminate riguardo alla sera del 24 dalle ore 21 fino alle ore 5 del 25, rilevavano solo due scene significative: alle ore 22,05 una figura vista di spalle che si avvicina al cancello, suona il campanello, gli viene aperto ed entra e alle 23 e 15 presumibilmente la stessa che esce, ma piove e l’ombrello impedisce la vista del volto di quello che sembra un giovane uomo, alto circa 1m e 80 cm, magro, in abbigliamento casual.
Venne convocato in commissariato il nipote della vittima, Dario Vecci, trent’anni, alto, magro. Un agente lo fece accomodare di fronte alla scrivania dell’ispettrice che, dopo alcuni minuti di una conversazione di ‘riscaldamento’, arrivò al sodo: “Signor Vecci, vorrei sapere da lei per quale motivo non si è presentato subito qui per comunicarci della visita fatta a suo zio la sera del 24, cioè poche ore prima della sua morte.”.
Dario era visibilmente nervoso e impacciato, cominciò a scuotere la testa di lato dicendo: “No, no, io… non pensavo fosse importante, non… ero sconvolto, annichilito: ci avevo parlato la sera e la mattina era stato trovato così… Avevo anche paura, sì, che mi accusaste, ecco, perché poi chi sa come va a finire, e invece volevo bene allo zio, mi ha insegnato tante cose, mi crede, ispettrice? Mi crede?”.
“Signor Vecci, si calmi – lo rassicurò l’ispettrice Colomba – Nessuno la sta accusando, stiamo raccogliendo informazioni utili sulle ultime ore di suo zio, vuole anche lei che troviamo il suo assassino, no?".
“Ma sì, certo, voglio anch’io che lo troviate.” affermò l’uomo, alzandosi in piedi di scatto
“Si segga, per favore, e mi racconti come si è svolta la sua visita: di cosa avete parlato?”.
Dario si sedette e, più tranquillo, si apprestò a rispondere: “Ma niente, cose di lavoro, vede, in ditta, dove lavoro nell’amministrazione, non c’è mai tempo per parlare tranquillamente e io mi ero recato a casa sua per presentargli un piccolo progetto di marketing che avevo preparato ultimamente e che volevo sottoporgli, con l’obiettivo di un incremento delle vendite.”.
“Il calzaturificio si trova forse in difficoltà di ordine economico?”
“Tutt’altro, dottoressa, tutt’altro, ma è proprio ora che le vendite vanno bene, che abbiamo molte ordinazioni, questo è il momento per espanderci, e io ho alcune idee di come pubblicizzare i prodotti sui social… insomma parlammo di questo”
"Come reagì il signor Riballi al riguardo?”
“Era molto interessato, diceva che erano buone idee, che ci avrebbe riflettuto, che si sarebbe letto il progetto e che nei giorni seguenti ne avremmo riparlato.”.
“Lei si riportò quindi il progetto a casa?”.
“Come? No! Lo lasciai lì, in salone, prima di andare via… sa, mio zio è un po’ refrattario ai devices… era…refrattario e gliene detti una copia in una cartellina gialla, l’avrete vista, no?”.
“Non c’era nessuna cartellina gialla nel salone quando siamo arrivati noi, ma la cartellina conteneva delle informazioni o dati importanti? Poi, mi dica, vi abbiamo trovato due calzature da donna, di foggia e numero diversi: facevano parte del progetto, come, che so, degli esempi?”. A quel punto posò sulla scrivania la foto delle due scarpe.
“Ah, la cartellina forse l’ha portata nel suo studio, poi non c’erano informazioni riguardo alla ditta se non quelle alla portata di tutti. Povero zio, era un uomo ordinato, attento, come faremo senza di lui in ditta… non riesco a immaginarlo. Queste calzature, no, non le ho portate io, non le ho nemmeno viste lì intorno… non so che dirle, lui non si portava mai dei campioni a casa, ma non mi sembra che siano del calzaturificio, vede? Non c’è nessun timbro, tantomeno il nostro, impresso sull’appoggio del tallone.”.
“Lei ha qualche idea del perché si trovassero lì?".
Dario ci pensò su un momento: ”No, veramente non capisco.”.
“Va bene, Signor Vecci, verificheremo meglio per la cartellina, lei stia tranquillo e si tenga a disposizione per altri eventuali chiarimenti e se le viene in mente qualcosa fuori dall’ordinario che riguarda suo zio, avvenuto nei giorni precedenti alla sua morte ce lo comunichi.”.
L’ispettrice si consultò con i collaboratori, nessuno vedeva nel comportamento del nipote qualcosa che facesse pensare a lui come autore dell’omicidio, del resto era uscito dalla villa troppo presto per commetterlo, anche se il fatto di ereditare la ditta poteva essere un elemento che lo includeva ancora tra i sospettati.
La squadra si mise al lavoro analizzando tabulati telefonici, le celle di posizionamento dei cellulari di familiari e collaboratori della vittima, comunicando alla sezione scientifica di analizzare la composizione dei materiali delle due calzature, la lavorazione, per trovarne la provenienza, e organizzando una nuova perquisizione dell’abitazione per cercare la cartellina gialla.
L’ispettrice era fiduciosa, sentiva, come altre volte, in altri casi, che la soluzione era vicina, anche se non aveva idea dove si nascondesse. Comunque, come dicevano al corso di criminologia, salvo si tratti di psicopatici, sono le passioni che spesso trasformano persone tranquille in assassini, la parte oscura che risiede in ogni essere umano può prevalere in certe situazioni fino a fargli compiere azioni estreme. Con questo non si vuole giustificare nulla, anzi, capire qual è la passione scatenante, può svelare l’identità del criminale. Quindi: vendetta, odio, rivalsa, umiliazione, possessività, avidità, ecc., quale?
La cartellina non venne trovata. Le calzature non contenevano contrassegni di alcun tipo e la lavorazione era artigianale, perfetta, di gran livello, impossibile verificarne la provenienza.
Dopo ancora una settimana di indagini non risultavano risentimenti, conflitti o ancor meno odio nei rapporti con i pochi amici e conoscenti e ancor meno con i familiari, né da parte dei dipendenti della ditta del Rivalli, insomma era benvoluto da tutti. L’unica velata critica di un paio di impiegati era riferita alla sua reticenza ai cambiamenti. Insomma era un uomo dedito al lavoro, che amava la sua fabbrica, abitudinario e scrupoloso.
restava altro alla squadra della sezione omicidi che allargare il cerchio: prendere informazioni sui parenti e amici dei suoi più stretti contatti ed eventuali amiche o amanti a cui però nessuno aveva fatto fino ad ora allusione. Il Rivalli era proprio un solitario, emerse solo una relazione finita ormai da sei anni anni, con una signora che da tempo abitava in una città molto distante e che era risultata del tutto estranea ai fatti. Aveva dichiarato: “Ci siamo lasciati per noia, soprattutto la mia, ma senza rancori, era una brava persona, mi ha sempre trattata con rispetto, mi dispiace tanto quello che gli è successo.”.
L’ispettrice, una volta tornata nel suo appartamento, a fine servizio, seduta sul divano, mentre accarezzava il suo gattone tigrato, rimuginava ripensando ai dati in possesso della squadra: non poteva fare a meno di portarsi mentalmente il lavoro a casa, del resto il commissario la tampinava per arrivare alla soluzione del caso, anche perché l’azienda del Rivalli costituiva un pezzo importante dell’economia della zona e rimanere nell’incertezza circa il o i responsabili del delitto era deleterio per l’andamento delle vendite e di conseguenza per il lavoro dei dipendenti.
Basta, doveva liberare la mente da ansie e supposizioni e far emergere la pista giusta, così si mise a meditare: chiuse gli occhi, rallentò il respiro, e mentre i muscoli si rilassavano, la mente si puliva a poco a poco. Dopo un’oretta li riaprì ed esclamò a voce alta: “Il rasoio di Ockham! Le chiavi!”. Il gattone che ronfava sereno, si svegliò infastidito e si diresse in cucina per l’ennesimo spuntino.
Ormai in molte fiction e film gialli, in tanti libri si è sentito parlare del ‘rasoio di Ockham’. Si tratta di un’espressione che significa: la soluzione più semplice di un problema è spesso quella giusta.
Il mattino dopo, sostenuta da una nuova energia, l’ispettrice riunì la squadra.
“Vorrei approfondire un punto che forse ho trascurato: le chiavi della villa, siamo sicuri che siano solo in possesso della sorella e della Dolci? Se sì, appuriamo che non siano state utilizzate da altri.
Gli agenti scelti Baldo e Restivo si recarono prima dalla sorella del Rivalli: Le chiavi del cancello e della porta principale erano in una piccola cassaforte insieme a documenti importanti e ad alcuni preziosi, nella camera da letto della signora Rivalli - divorziata da un anno - di cui solo lei ed il figlio che viveva nell’appartamento al piano di sopra con la moglie, avevano la combinazione, cambiata ogni mese.
Dalla Dolci, invece la chiave della porta di servizio era in un cassetto, in cucina.
L’ispettrice cercò informazioni sulla donna, la sua famiglia, gli amici, riservandosi di approfondire poi anche quelle sulla Rivalli, eventuali relazioni sentimentali sue e del figlio.
Il figlio della Dolci, vedova, risultava celibe, diplomato in un liceo, al momento disoccupato, convivente e in carico alla madre, ma per sei mesi, nell’anno precedente, aveva lavorato al calzaturificio, con un contratto a termine. Si chiamava Gianni Forti e fu convocato in commissariato. Dopo pochi minuti di conversazione serrata con l’ispettrice, crollò e iniziò a raccontare l’accaduto:
” Ero in giardino, sul retro della villa dalle 22 e 30. Sentivo le voci nel salone, volevo parlare da solo col signor Rivalli e quando ho sentito chiudersi la porta principale d’ingresso, sono entrato in cucina e poi in salone dove mi ha trovato il Signor Rivalli, che aveva appena accompagnato il nipote nell’ingresso. Avevo, avvolti in una mano i due prototipi di calzature che mi erano costati due mesi di progettazione e realizzazione e buona parte dei miei miseri risparmi.
Lui era sorpreso e stava per arrabbiarsi, ma io l’ho pregato di non farlo e di ascoltarmi, mentre poggiavo l’involucro sul tavolinetto. L’ho aperto delicatamente e ho mostrato le scarpe al Rivalli con umiltà e un certo orgoglio. Lui si è calmato, le ha guardate con interesse, prese in mano, rigirate sopra e sotto, ha osservato con attenzione il materiale, le cuciture, mi ha fatto alcune domande e io ero già contento, vedendo il suo interessamento per i miei gioielli. Infine mi ha guardato sorridendo, poi mi ha detto che non erano male, che se volevo mi riassumeva, non come modellista, ma come operaio e poi col tempo, magari, chissà…
Io ho sentito montarmi la rabbia, per contenerla ho chiesto di poter prendere un bicchiere d’acqua, ne avevo bisogno, mi sentivo soffocare, il Rivalli ha visto che non stavo bene e mi ha detto che sì, andassi pure a prenderla in cucina e che mi ricordassi del rubinetto automatico. Me lo ricordavo, sì, la mia mamma mi aveva fatto una testa così con quel rubinetto che era costato uno sproposito, ma a lei piaceva, la divertiva, aveva getti diversi secondo come si mettevano le mani davanti alla cellula fotoelettrica. Ho riempito un bicchiere e mentre lo bevevo ho afferrato con l’altra mano – sono ambidestro – un coltello che si trovava lì, accanto all’acquaio. Non so perché l’ho fatto, ci ho pensato tanto in questi giorni, forse averlo in mano mi ha fatto sentire forte in un momento di grande debolezza e delusione. Girandomi mi sono trovato davanti il Ravalli, evidentemente preoccupato, che ha guardato me negli occhi e subito dopo il coltello, così è retrocesso verso il salone. Io solo allora ho realizzato di averlo in mano, e così senza pensare e ancora col bicchiere nell’altra mano ho fatto velocemente un paio di passi e gliel’ho piantato nel cuore.
Poi ho riacquistato un po’ di lucidità: ho guardato in salone, non ho pulito col panno le scarpe, perché le avevo lucidate a lungo mentre aspettavo in giardino, non portavano le mie impronte. Ho pestato una cartellina gialla e siccome aveva piovuto, vi era rimasta impressa l’orma della mia scarpa, l’ho presa, appoggiata sull’acquaio, accanto al bicchiere, ho pulito il pavimento da altre mie orme, ripulito il manico del mocho e mi sono portato via la cartellina che si trova in camera mia e il bicchiere che poi ho gettato in una siepe.”.
Dopo questo lungo racconto il Forti abbassò la testa e mormorò “Ho sbagliato, lo so, mi dispiace” e prese a singhiozzare. Era uno spettacolo pietoso e sia all’ispettrice che ai suoi collaboratori veniva voglia di consolarlo. Gli portarono un tè caldo e l’ispettrice le chiese se aveva un avvocato: “No, non so a chi rivolgermi, chissà quanto chiedono, la mia mamma non potrà pagarlo…”.
Gli agenti trovarono la cartellina, vuota, in camera del Forti e il bicchiere nella siepe dei vicini del Rivalli, che, esaminato, aveva conservato il DNA dell’omicida.
L’ispettrice si consultò col commissario e comunicò al Forti che poteva usufruire di uno studio legale che offriva anche consulenze pro-bono.
Poi il commissario riunì la squadra, si complimentò per la conclusione positiva del caso e aggiunse che purtroppo spesso in un momento di rabbia, disperazione o in un periodo difficile, alcune persone, altrimenti tranquille, si trasformano in assassini.
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