V i v e t t a
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Vivetta aveva avuto una giornata terribile.
Il capo ufficio non doveva aver dormito bene quella notte. Infatti aveva trovato da ridire su tutto ciò che aveva fatto lei e gli altri impiegati che lavoravano nel settore organizzativo della grande azienda.
Finalmente eccola in macchina.
Finalmente eccola in macchina.
Aveva immediatamente acceso la radio. In quel momento aveva un bisogno fortissimo di rilassarsi, di ritrovare se stessa laggiù in fondo in fondo dove quasi non la vedeva più.
Andava un po' meglio quando chiuse la porta di casa alle sue spalle.
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Vivetta viveva da sola. Da parecchi anni ormai aveva rinunciato del tutto alla ricerca dell'anima gemella e, per questo, morta la madre, si era ritirata in quell'appartamentino in un palazzone sulla Cristoforo Colombo.
Gli uomini? Non li sopportava proprio più, a cominciare da quel suo capo ufficio occupato tutto il giorno a lamentarsi e a denigrare, più che a creare una più snella e funzionale struttura nell'area di turno che doveva essere ristrutturata. Come faceva sua moglie a sopportarlo? Era già da tempo che se lo chiedeva.
Vivetta si diresse verso il soggiorno, senza neppure accendere la luce. Del resto erano i primi di maggio e nel piccolo ingresso arrivava ancora un po' di luce. Già... era da qualche anno che era stata introdotta l'ora legale. Questo per lei era un bene assoluto. Amava troppo la luce!
Accidenti! Erano quasi le venti anche quella sera...
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O Signore! Cos'era quel mostro minaccioso che gli si parava dinnanzi? Aiuto! Cosa era successo al suo spatifyllum? No, non poteva crederci! Era sempre lì su quel tavolinetto svedese... già, quell'improbabile tavolinetto svedese che sua sorella voleva rottamare e lei aveva salvato, ma non era più lui. Lo aveva lasciato la mattina tutto tranquillo, umido al punto giusto, ben tenuto grazie alle sue cure costanti. Ed ora? Aiuto! Come aveva fatto a lievitare in quel modo ed il fiore ad alzarsi così tanto? Non capiva, troppo assurdo... e quest'ultimo troppo tronfio e spavaldo, fuori comunque dal possibile.
Un brivido freddo le serpeggiò lungo la schiena.
Ma era proprio lui - certo che era strano! - o qualcuno lo aveva sostituito? Ma allora era forse entrato un estraneo in casa sua? Qualcuno era entrato?! Entratooo?! C'era forse qualcuno nascosto nel buio? Vivetta si fermò all'istante più morta che viva.
Adesso il cuore le batteva all'impazzata e il respiro le si strozzava in gola. Cercò di controllarsi quanto più possibile, perché certo non voleva farsi notare se mai ci fosse stato un malintenzionato nascosto. Intanto aveva afferrato con cautela il tagliacarte d'argento con cui apriva la posta quando ne trovava nella sua cassetta al portone. Se doveva soccombere, si sarebbe difesa fino all'estremo e questo era sicuro. Poi, cautamente, fece un passetto in avanti e superò l'angolo che le chiudeva la vista sul piccolo salotto.
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Il cuore ebbe nuovamente un sobbalzo. Non servivano individui malintenzionati. Se continuava ad andare avanti così sarebbe semplicemente morta di... infarto. Non riuscì a terminare il pensiero. Restò lì, mummificata, a bocca aperta.
Sul piccolo divano sedeva in attesa un bellissimo uomo di mezza età, capelli lunghi brizzolati al punto giusto, eleganti gli abiti sportivi, un mazzo di rose rosse, le sue preferite. Le sorrise. Le sorrise con trasporto. Che bocca armoniosa... e che denti!
Vivetta questa volta si sentì del tutto scompigliata. Rosso fuoco il volto, gelide le mani. Cominciò letteralmente a tremare... il tagliacarte d'argento capitombolò violentemente a terra.
Lui... lui era lì, a casa sua! Che importanza poteva avere come aveva fatto ad entrare... ci sarà stata una spiegazione logica certamente, ma adesso questo non aveva alcun rilievo. Sì, non c'era bisogno di molte parole... finalmente si erano ritrovati... o si erano trovati? Beh, insomma, non aveva importanza. Era lì a casa sua, sul suo divano, le sorrideva e le porgeva le rose rosse. Quanto aveva aspettato questo momento!
Vivetta aprì le braccia e corse verso di lui per stringerlo finalmente a sé.
Il divano cozzò rumorosamente contro la parete e Vivetta urlò di dolore.
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Improvvisamente l'insegna del bar sulla strada sottostante si accese a sorpresa. Lo spatifyllum riemerse in tutta la realtà dal grigio che riempiva la stanza.
Vivetta si voltò e colse la sua altezza modesta, che non era ancora al suo massimo. Meccanicamente pensò che sarebbe cresciuto ancora sotto le sue cure attente.
Si asciugò una lacrima, si dette una scrollatina, poi aprì il rubinetto e si annullò sotto la doccia troppo calda.
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