🐘
Quando ero piccola ricordo di un ombrellino che mi aveva regalato mia sorella.
Me lo portavo sempre con me sia con il sole che con la pioggia e guai a chi me lo prendeva.
Mi ricordo che una volta per la festa di S.ZITA mia sorella mi accompagnò al corteo e IO, tutta felice col mio ombrellino, mostrandolo a tutti come un trofeo, non trovavo il modo di stare ferma.
Mia sorella mi disse che me l'avrebbe tolto.
Dalla paura che lo facesse, rimasi immobile e mi ci appoggiai sopra. Così facendo il mio ombrellino mi entrò dentro un tombino e sparì. Non vi dico le urla perché che lo rivolevo, non uno qualsiasi, ma proprio quello.
Naturalmente non fu così.
Da allora non mi sono più affezionata a niente.
Vi sembrerà strano... ma IO ero davvero così.
(Alba)
🐘
Ho conservato le bilie di mio figlio. Le ho messe in un vaso trasparente e l’ho posto bene in vista nell’ingresso per averle a portata di mano, o meglio, a portata di sguardo, perché sono veramente belle da guardare, anche con gli occhi del cuore.
Le ho conservate perché mi ricordano la mia infanzia, quando giocavamo a buchetta sulla rena. Quei monti di rena servivano ai muratori per le diverse case in costruzione e poteva succedere che il padrone brontolasse perché ne spargevamo troppa sulla strada.
Noi infatti ci facevamo valli, ponti, strade per far scorrere al meglio le nostre bilie e il primo che arrivava al traguardo vinceva la bilia dell’avversario. Erano giochi semplicissimi ma stavamo fuori tutto il giorno.
Noi infatti ci facevamo valli, ponti, strade per far scorrere al meglio le nostre bilie e il primo che arrivava al traguardo vinceva la bilia dell’avversario. Erano giochi semplicissimi ma stavamo fuori tutto il giorno.
Com’era bella la giornata trascorsa in compagnia dei miei amici! Ogni tanto ci scappava un litigio perché nessuno di noi avrebbe voluto perdere la bilia. Poi c’era quella preferita che non giocavamo quasi mai, solo qualche volta per vanteria. Ognuno di noi ne aveva una, la più colorata o la più grossa e che guaio se l’avessimo persa! Subito a contrattazioni per riscattarla. I giochi erano pochi e quelli che avevamo erano oro.
Ora la mia preferita è sottovetro, mescolata a quelle di mio figlio. Pure il barattolo di vetro in sé è bello da guardare perché un tempo veniva usato per mettere sotto sale le acciughe, pressate e coperte da un tappo di legno.
(Claudia)
🐘
Quando ero piccolina
avevo una bambola tanto carina,
il suo vestito di velluto blu
bello cosi non l'ho veduto più.
Mi guardava con gli occhi dalle lunghe ciglia
Mi guardava con gli occhi dalle lunghe ciglia
e per me lei era quasi una famiglia;
se ero triste mi sorrideva,
se ero triste mi sorrideva,
era cosi cara e assai mi piaceva.
La tenevo sempre sul mio lettino
La tenevo sempre sul mio lettino
e prima di dormire le mandavo un bacino;
la mamma mi diceva che era un poco "burina"
con tutti quei pizzi sulla vestina
ma a lei vicina ci stavo bene
dimenticando tutte le pene.
La bambola si chiamava IRIS BLU.
dimenticando tutte le pene.
La bambola si chiamava IRIS BLU.
(Elisabetta)
Ricordo anche un paperino
con le rotelle e un giallo becchino...
sempre a spasso lo trascinavo,
tornata a casa lo spazzolavo,
lui si fermava in un cantuccio
ed aspettava calmo il suo ciuccio.
Tiravo il filo ed arrivava,
Tiravo il filo ed arrivava,
sempre vicino mi traballava...
Dalla mia nonna l'ho ritrovato
Dalla mia nonna l'ho ritrovato
dentro un baule, un po' spelacchiato,
io ero già grande,
passati eran gli anni
ma riconobbi all'istante Giovanni.
(Elisabetta)
🐘
La bambolina era piccolissima, un tempo tenera e rosa, di rasatello di cotone liscio e gradevole al tatto.
Inevitabile che diventasse il suo talismano, quello che conduceva nel mondo dei sogni, che dava piacere allo sguardo oltre che al tatto, quello che cacciava via, che respinveva lontano qualsiasi senso di paura, di disagio, di inadeguatezza.
Stava sempre nella sua manina. Giorno e notte, divenne così lisa e nera che non bastava alcun detersivo o spazzolino a riportarla al primitivo splendore.
Verso i dieci anni, in segreto nella cabina del mare, lei cucì una piccola nuova Tuntuntun per farmene un dono meraviglioso per il mio compleanno. Ce l'ho ancora.
Gli anni passarono e troppo infretta anche. Tuntuntun era ancor sul suo letto a rinfrancare il cuore, a richiamare la memoria di un tempo bello e felice.
Cosa aggiungere? Questa commovente bambolina gira ancora negli armadi di casa mia insieme a quella sorellina più giovane hanďmade da lei con tanto tanto amore.
(Vanina)
Paciuè viveva nel Castello Sforzesco a Milano.
Era il suo amico amico immaginario, quello che viveva nel lussuoso mondo della fantasia pieno di avventure e di birichinate, non tutte possibili nella realtà.
Era una presenza costante nella sua vita e nella nostra e vi rimase per molti molti anni.
Lui difese fino all'estremo l'esistenza di questo suo amico, resistendo ad ogni ragionamento per non darcela vinta.
In qualche modo la sua presenza rimase viva fino all'età adulta, quando scoprii che la sua prima e-mail ne ufficialazziva il nome in un nickname segreto che nessuno avrebbe saputo assolutamente violare.
(Se vi va di approfondire, v. "Edu - Pillole: L'amico immaginario)
(Vanina)
🐘
La cameretta.
Quando ero bambina, io ero abituata a dormire sola nella mia cameretta ed era tutta mia. Quando, però, dopo la nascita della mia sorella, avevo sei anni, mamma mise il lettino di Patrizia in camera mia, cominciò per me una nuova vita.
Ripensandoci ora forse decise così per non farmi diventare gelosa. Dovevo stare attenta che non piangesse e così io feci.
Quando siamo cresciute la camera era il nostro rifugio.
La sera non vedevamo l'ora di andare a letto, chiudere la porta e fare le nostre chiacchiere.
Io tante volte la dovevo consolare, per esempio, quando faceva le sue lamentele. Lei voleva avere sempre ragione. È sempre stata una bimba che voleva le cose a modo suo.
Mi sono sempre sentita dire dai grandi: "Lascia perdere, tu sei la più grande ".
A distanza di tanti anni qualche volta io e lei ne abbiamo parlato e ci siamo abbracciate con un gran sorriso.
(Silvana)
🐘
Ero davvero piccola quando i miei zii materni mi regalarono un orsacchiotto di peluche che era molto più grande di me.
È stato da subito amore. Lo abbracciavo, lo trascinavo dietro dappertutto e lo portavo persino a letto con me! Mi dava sicurezza avere accanto quel gigante con quei suoi occhioni azzurri di plastica appiccicati al pelo marrone. Gli parlavo di quello che facevo, gli raccontavo quello che pensavo e gli domandavo: “E tu che ne pensi?!”. Naturalmente tutto questo con il mio linguaggio incomprensibile da bambina.
Sono cresciuta accanto a lui e, quando mia madre decise che era arrivato il tempo di sistemarlo sopra ad una mensola nella mia cameretta, mi ribellai. Lo tirai giù e brontolando affermai che Fufi sarebbe rimasto con me, potevamo benissimo sistemare sulla mensola la bambola con il viso di porcellana.
Negli anni è stato lavato in lavatrice, ha perso il naso, il pelo si è diradato e scolorito, è diventato dinoccolato... ma è sempre accanto al mio letto ed è con lui che parlo quando mi sento sola e in difficoltà o al contrario quando sono felice.
Fufi è nella mia vita da più di quarant’anni!
(Monica)
🐘
Quando ero piccola usavano molto i giocattoli in legno. I miei genitori mi regalarono un cane con quattro rotelle e il collo formato da una molla.
Siccome non avevo ancora un cane vero, mi affezionai a quel gioco che diventò il mio amico inseparabile.
Avendo le ruote, mio padre attaccò una corda a un chiodino fissato tra le zampe e così lo portai ovunque andassi, facendolo passeggiare come fosse un cane vero al guinzaglio.
Quando i miei genitori rientravano a casa dal lavoro io, tutti i giorni, li aspettavo alla porta di casa con il cane in mano e iniziavo a porgli una domanda: "E' stata brava oggi mammina?" e gli facevo muovere la testa in modo che il cane con il collo di metallo
dicesse di no.
Poi facevo vedere al cane mio padre e gli chiedevo: "E' stato bravo oggi babbino?". A quel punto gli facevo dire di sì in maniera talmente compulsiva al punto che il cane di legno batteva il muso sulle zampe e nella stanza risuonava un tac-tac velocissimo...
Penso che si sia compreso che io volevo punire mia madre che mi lasciava a casa per andare in ufficio e anche che io ho sempre avuto un'adorazione nei confronti di mio padre che è nata con me e non so se riuscirà a morire insieme a me.
(Lauretta)
🐘
Nella mia infanzia non c'erano giocattoli.
L'unica volta che arrivò una bambola, era per tutte e due e quindi inavvicinabile per i reciproci veti. Non so che fine abbia fatto, ma certamente fu rottamata nuova, mai usata.
Le bambole erano per gli adulti.
Usava avere sul letto matrimoniale una grande bambola, con un vestito tutto gale e fronzoli, con una gonna enorme che veniva allargata in mezzo al letto con grande cura, ma era proibito avvicinarla persino con il pensiero e, strano a dirsi, non ho mai trasgredito a un tale ordine.
E sì… io e mia sorella non avevamo un gran rapporto e da adulta credo di poter dire ormai senza rancore che era l'educazione che abbiamo ricevuto ad instaurare quegli atteggiamenti di rivalità fra di noi.
C'era una cosa che mi dava consolazione anche se non era un oggetto.
Questa cosa era la libertà di cui godevamo e per andare in giro ci trovavamo sempre d'accordo.
Non c'erano giochi, ma c'erano grandi piagge, grandi spazi, mille attrazioni che si trasformavano in occasioni di svago.
Ci fu quella volta che trovammo una nidiata di piccoli animali che portammo a casa, c'era la pineta che produceva funghi, il boschetto delle viole, la tana del cinghiale, c'erano i balzi di tufo che usavamo per fare dei grandi salti, c'erano i ciliegi su cui salivamo per fare scorpacciate dei succosi frutti, c'era il noce, c'era il ruscello, c'era il boschetto delle primule, c'erano le sorgenti con i girini, c'era tutto.
Avevo il mondo che mi consolava dell'aridità che vivevo in casa, anzi posso dire che io in casa non ci vivevo proprio. Per stare cinque minuti in casa bisognava proprio che piovesse forte.
Non avevo un gioco consolatorio, ricordo solo un surrogato di bambola confezionata con una pannocchia di granturco avvolta in uno straccio colorato con i suoi “capelli” scuri.
Non avevo giochi, avevo il mondo a mia disposizione con tutte le sue meraviglie e c'è ancora nel mio cuore.
L'unica volta che arrivò una bambola, era per tutte e due e quindi inavvicinabile per i reciproci veti. Non so che fine abbia fatto, ma certamente fu rottamata nuova, mai usata.
Le bambole erano per gli adulti.
Usava avere sul letto matrimoniale una grande bambola, con un vestito tutto gale e fronzoli, con una gonna enorme che veniva allargata in mezzo al letto con grande cura, ma era proibito avvicinarla persino con il pensiero e, strano a dirsi, non ho mai trasgredito a un tale ordine.
E sì… io e mia sorella non avevamo un gran rapporto e da adulta credo di poter dire ormai senza rancore che era l'educazione che abbiamo ricevuto ad instaurare quegli atteggiamenti di rivalità fra di noi.
C'era una cosa che mi dava consolazione anche se non era un oggetto.
Questa cosa era la libertà di cui godevamo e per andare in giro ci trovavamo sempre d'accordo.
Non c'erano giochi, ma c'erano grandi piagge, grandi spazi, mille attrazioni che si trasformavano in occasioni di svago.
Ci fu quella volta che trovammo una nidiata di piccoli animali che portammo a casa, c'era la pineta che produceva funghi, il boschetto delle viole, la tana del cinghiale, c'erano i balzi di tufo che usavamo per fare dei grandi salti, c'erano i ciliegi su cui salivamo per fare scorpacciate dei succosi frutti, c'era il noce, c'era il ruscello, c'era il boschetto delle primule, c'erano le sorgenti con i girini, c'era tutto.
Avevo il mondo che mi consolava dell'aridità che vivevo in casa, anzi posso dire che io in casa non ci vivevo proprio. Per stare cinque minuti in casa bisognava proprio che piovesse forte.
Non avevo un gioco consolatorio, ricordo solo un surrogato di bambola confezionata con una pannocchia di granturco avvolta in uno straccio colorato con i suoi “capelli” scuri.
Non avevo giochi, avevo il mondo a mia disposizione con tutte le sue meraviglie e c'è ancora nel mio cuore.
(Rita)
🐘 🐘 🐘
ci si riconosce facilmente nei nostri ricordi di bambine perche i bambini hanno la stessa sensibilita e gli identici desideri, bisogno di amore da ricevere e da dare, gelosie, antagonismi e sogni. che fatica però diventare grandi! Ci si allontana cosi tanto dall'infanzia che bisogna aspettare tanti e tanti anni pet riscoprire in se, quasi intatte, le stesse sensazioni di gioia e stupore. La vita è un cerchio...se siamo, come noi sicuramente siamo... cosi fortunate
RispondiEliminaSì, noi siamo sicuramente fortunate... io, poi, ho scelto di stare tutta la vita con i bambini - e penso anche tu - proprio per giocare e sorridere da adulta... senza destare sospetti.😊❤
Elimina