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Consigli per la lettura delle pagine
: 8

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Buona lettura



Ricordi Scuola 20 - I moduli








Fu così che per il nuovo anno scolastico scelsi un’assegnazione provvisoria in una scuola non molto distante da casa mia, su una strada di collegamento.

La classe in cui avrei dovuto operare era ancora una seconda.
Questa volta, però, si trattava di due seconde, in quanto in questa realtà scolastica stavano già attuando l’organizzazione modulare, la quale prevedeva un tempo scuola più lungo e un team di tre insegnanti su due classi.
Finalmente potevo sperimentare qualcosa di nuovo!

Ad accogliermi trovai due insegnanti simpatiche con le quali lavorai molto bene.
Una, più moderna e vivace, stimolava e rassicurava anche la seconda, più incerta in tutte queste novità.

L’area d'insegnamento a mia disposizione era quella storico-geografica, a torto ritenuta meno importante delle aree linguistica e logico-matematica.
Al contrario io ho sempre pensato che non è importante l’ambito in cui si deve insegnare, ma l’approccio metodologico e le conoscenze che si sceglie di trasmettere.
In tutti i campi ci sono cose facili e cose difficili e, sempre, l'importante è formare le menti, promuovere interesse e motivazione, costruire strumenti conoscitivi da riutilizzare… e gli agganci non mancano mai con tutte le altre aree di studio.

Così cominciai ad impegnarmi anche lì, senza complessi di inferiorità, anzi, con fare sereno e propositivo con tutti.
I risultati si videro subito: la mia cura dell’area affettiva e di bambini, genitori, insegnanti si rilevò ancora una volta la giusta strategia per farsi amare, rispettare e stimare, soprattutto, per far progredire e stare bene i miei piccoli discenti.
Noi insegnanti imparammo abbastanza facilmente a programmare insieme, cercando di legare in qualche modo le attività nelle tre aree.

Il ricordo degli alunni di quelle due classi è meno connotato nella mia memoria, forse perché solo due o tre di loro erano, in qualche modo “diversi” dal gruppo.
In questi anni ho constatato che la “normalità” viene più spesso obnubilata, perdendosi in una foschia lattiginosa e indistinta.
Si ricorda, invece, molto meglio la diversità pur se caratterizzata da aspetti negativi.

Infatti, se ripenso a quella scolaresca, ricordo solo una bambina che aveva problemi di epilessia.
Ne ricordo la madre e le caratteristiche fisiche.
Forse è perché era un po’ addormentata e rallentata dalle medicine e dal fatto che madre e figlia mi si fossero attaccate tantissimo.

Ho poi memoria particolare di un bambino moretto, piccolino, credo proveniente dal sud, che non voleva venire a scuola e che non riusciva a relazionarsi con l'insegnante storica, quella delle due più rigida e meno aperta alle novità.
Me ne ricordo perché, uno dei primi giorni in cui insegnavo in quella scuola, fu protagonista di un episodio che mi toccò nel profondo e che emotivamente mi infastidì molto.

In quel plesso, infatti, avvenne il mio primo incontro con una collega, che avevo già conosciuto come zia di un’alunna l'anno precedente e come mamma di un compagno di scuola di mia figlia.
L'avrei conosciuta ancora meglio in seguito e con lei avrei lavorato spesso, in reciproco rispetto, persona intelligente, ma piuttosto categorica nella visione delle cose.

Quella mattina il nostro morettino era uscito dall’aula ed era corso all’entrata della scuola, mettendosi a piangere disperatamente davanti al vetrata.
Quando io mi accorsi che la collega con cui era in quel momento non faceva niente per risolvere il problema, decisi di andare a riprenderlo, ma con tatto, perché volevo che lui mi percepisse diversa, però alleata dell’insegnante da cui era fuggito.

Nel bel mezzo di una schermaglia tesa ad entrare in sintonia con lui, sopraggiunse la collega di cui sopra che, con invadenza, cominciò a consolare il bimbo con un approccio di commiserazione e di opposizione verso la maestra da cui era scappato e, in un certo senso, contro tutte noi.

La cosa un po’ mi offese, perché, oltre ad adottare una strategia che non condividevo, mi aveva messa nel mucchio senza neppure conoscermi e non si era posta neppure il problema di ciò che io stavo facendo.
Cercando di non perdere la mia diplomazia,  ripresi in mano la situazione e ricondussi in classe il bambino.

In quella scuola lavorai molto e bene.

Interessante fu la partecipazione al carnevale locale.
Le dieci classi, dividendosi i compiti, costruirono un carro, davvero molto bello per essere stato fatto solo da una scuola.
Mi ricordo che c’era un grosso mondo al centro, realizzato con la cartapesta  su un’intelaiatura di metallo, e che, durante la sfilata domenicale, gli alunni seguivano con maschere intonate.
Credo di ricordare che il tema fosse quello della fraternità e della cooperazione nel mondo.

Un’altra iniziativa interessante fu quella di portare il nostro teatro (anche qui avevo avviato i bimbi a questa attività) nella casa di riposo vicina alla scuola.
Lo scopo era quello di creare relazioni tra il mondo dei piccoli e quello dei molto grandi e, non ultimo, portare una ventata di freschezza in un ambiente molto particolare, dove dolore e solitudine forse si combinavano per avviluppare quelle anime giunte ad un traguardo pieno di incognite.
Fu un’esperienza significativa, anche un po’ surreale se vogliamo, che tuttavia mi aprì nuovi orizzonti.
Riuscii a far vivere quell’esperienza come “normale” ed interessante agli alunni, che si sentirono protagonisti del “fare” per gli anziani, in una chiave di allegria e gioiosità.
Per me, poi, che mi occupavo dell’insegnamento dell’area antropologica, e quindi dello studio del territorio vicino anche negli aspetti socio-culturali, questi eventi erano la ciliegina sulla torta della mia programmazione.

Un’ultima cosa interessante da segnalare nel lavoro di quell'anno, fu la mediazione che in qualche modo misi in atto tra la Direttrice, davvero particolare, e il corpo docente.
Fu per me un gioco da veri equilibristi, dove era davvero facile soccombere.

Questa nuova direttrice, proveniva dalla Campania, più precisamente dalla zona di Sorrento.
Era molto aggressiva e poco coerente nell’approccio con gli insegnanti, che certamente un po’ di pregiudizi nei suoi confronti li avevano.
Ne era nata così una guerra terribile, con episodi anche spiacevoli e collegi dei docenti interminabili e poco gratificanti.

In mezzo a tutto questo, io cominciai a relazionarmi con lei, senza preconcetti a priori come era nel mio carattere, continuando ad essere me stessa e a cercare di vivere al meglio la mia vita.
Non so se fu per questo o per il fatto che essendo anch’io proveniente da fuori Toscana mi percepisse più simile a lei, che spesso mi ritrovai a parlare dei problemi che nascevano continuamente nella scuola.

Io mi adoperai a fare da tramite tra ciò che dicevano i miei colleghi e quello che la Direttrice asseriva, stemperando le animosità con il ragionamento e cercando di far passare il messaggio che il litigio non era vantaggioso per nessuno e si dovevano analizzare altri punti di vista.
Per quanto mi riguarda, questo mio modo di vedere le cose mi permise almeno di vivere normalmente, come sempre, anche quell’anno scolastico.

Durante quel terzo anno di assegnazione provvisoria, uscì un bando di concorso per accedere all’insegnamento della lingua straniera nella scuola elementare.
Infatti, in quel momento in Italia, l’insegnamento della seconda lingua in età precoce era sulla cresta dell’onda ed io ne condividevo l’importanza e l’opportunità.

Ci pensai un po’ su, poi decisi che l’eventuale abilitazione a quel tipo di insegnamento, oltre ad essere molto interessante per la mia formazione, mi avrebbe potuto dare del punteggio aggiuntivo e, quindi, facilitarmi nell’ottenimento di una sede definitiva.
Riflettei anche sul fatto che in tempi lontani, durante il mio lavoro in una grande azienda, avevo studiato discretamente l’Inglese in una scuola importante, con un metodo proprio e con insegnanti di madre lingua. Questo, anche se ero parecchio arrugginita, avrebbe potuto darmi qualche chance in più degli altri.
Così feci la domanda per partecipare a quel progetto.

Al termine dell'anno scolastico i bambini mi regalarono,  tra l'altro, una bella pianta, un tronchetto della felicità, come veniva comunemente chiamata.
Incredibile ma vero, quella pianta sopravvive a tutt'oggi nella mia casa!
Ha superato un trasloco e si adatta a tutte le situazioni fortuite che si verificano e che ucciderebbero qualsiasi essere vivente!
Sinceramente non mi so spiegare come ciò sia possibile.
Non è più particolarmente bella, ma io ci sono davvero molto affezionata!

Venne maggio.

Quando uscirono i nuovi trasferimenti, mi fu comunicato a scuola che mi era stata assegnata la sede definitiva e che la sede era addirittura quella vicina a casa mia!

E proprio lì sono rimasta fino al giorno del mio pensionamento!
Era il 1989.








1 commenti:

  1. I moduli... Quanta ansia prima che entrassero in vigore! Eppure sono stata una delle prime insegnanti, nel mio istituto, a volerli attuare.
    Le colleghe erano titubanti, ma di fronte al rischio di perdere una classe e il posto in quel plesso a noi troppo caro, decisero di seguirmi e cominciammo l'avventura. Non mi sono mai pentita di quella scelta...devo anche dire che sono stata fortunata a lavorare in un team stabile, coeso e molto rispettoso, sempre attento ai bisogni dei bambini, alla collaborazione con i genitori e nonni ed aperto alla realtà del paese.
    La mia grande fortuna è stata quella di insegnare nella stessa scuola per ben 20 anni! Per questo forse amo più quel piccolo paese che il mio!

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