Nei quattro anni trascorsi nella scuola in quel paese dell'Emilia, facemmo alcune gite interessanti.
Quelle che ricordo con maggiore piacere furono la gita a Verona, con l’Arena e il Ponte Scaligero, la visita a Gubbio, una trina bianca arroccata sul monte Ingino, e quella sul delta del Po, romantica e coinvolgente.
Ho ancora nel cuore l’immagine di Sirmione, incastonata nell’azzurro del Lago di Garda, inondata dal sole primaverile pomeridiano, ma anche del duomo di Gubbio con la bellissima vista sulla campagna umbra.
Sul delta del Po, a bordo di un’imbarcazione a motore, l’Eridano, navigammo lentamente sui molti canali, nascosti tra la vegetazione d’acqua e di terra, in un microclima umido di nebbie e vapori.
Lontani dai segni di antropizzazione dell’uomo, ammirammo una natura incontaminata, suggestiva, inaspettata.
Fu proprio a bordo di questo traghetto che elaborammo una bellissima canzone, ispirandoci ai gabbiani che ci guardavano dai pali lungo i canali oppure che volteggiavano in alto sopra di noi.
Nel pomeriggio visitammo anche Goro e Pomposa, ma ciò che ci rimase nel cuore fu lo spettacolo della natura nel delta del grande fiume generoso che riversa nell’Adriatico tanta di quell’acqua da rendere dolce quella marina per molti chilometri!
Le gite furono una grande occasione per stabilire con i genitori un ulteriore profondo legame d’intesa e di collaborazione.
In quella realtà era tutto molto avanti, come ho avuto occasione di dire già in precedenza.
Niente di paragonabile al profondo sud in cui avevo vissuto precedentemente, ma anche ad altre regioni limitrofe in cui avevo occasione di fare delle incursioni.
Infatti era normalissimo che i genitori venissero in gita con noi, partecipando all’attività didattica, collaborando nei momenti di ristoro, rivelandosi un grande aiuto per insegnanti e bambini.
Per ovviare ai problemi legali, spesso le gite venivano organizzate di domenica, affinché tutti si sentissero liberi e non vi fossero remore da parte degli insegnanti!
Insomma una vera festa, un incontro tra persone che credevano in quel che facevano e sapevano trarne divertimento e vita.
Ho ancora ben impressa dentro di me una bellissima gita fatta in classe seconda con la classe di mio figlio, in cui andammo tutti, ma proprio tutti, allegramente a Venezia con il treno… Fu una gita veramente splendida e la ricordo ancora con una grande emozione!
Anche con quegli alunni continuai ad utilizzare il dialetto e le canzoni per ampliare conoscenze e collegamenti.
Così cercai immediatamente di imparare l'emiliano, dialetto che, inizialmente, mi era del tutto incomprensibile per il lessico, l’intonazione, ma anche per la struttura della frase e i modi di dire.
Gradualmente, quindi, cominciai ad apprendere espressioni ricorrenti e parole italiane usate con maggiore frequenza di quanto non fossi abituata a sentire, per esempio, “Dimmelo pure!”, “Al so menga!”, “Vieni mo qua!”, “...’cino”e via così.
Ero affascinata da quei suoni danzanti e leggeri!
Scoprii anche un canto di Natale tradizionale proprio del paese (Nel mez d’la sira” e lo insegnai ai miei alunni con l’obiettivo di sottolineare la bellezza e l’importanza del dialetto.
Da non credere! Riuscii persino ad elaborare insieme a loro una semplice poesia di Natale utilizzando appunto il loro dialetto!
Proponevo canzoncine di tutti i tipi e, siccome a quel tempo in quarta si studiavano ancora le regioni d’Italia nel dettaglio, proposi canti tradizionali delle varie realtà, in particolare ricordo ancora il cantamaggio umbro (“Sta su bellina che l’è bell’ e giorno”), le tarantelle pugliesi (“Tu tine la taranta”), i canti abruzzesi… e molti altri. Per me giocare con tutte quelle parole e quei ritmi era una vera goduria!
Mi divertivo davvero e, forse, era per questo che anche i bambini mi seguivano con tanto entusiasmo!
Come già accennato più volte, metodologicamente, dialetto e musichette non erano mai fine a se stessi.
Infatti, nell’ottica di perseguire più obiettivi ad un tempo ed economizzare le risorse disponibili, le collegavo sempre ad attività specifiche, per ampliare o supportare il punto centrale dell’unità didattica, come quella si sarebbe chiamata in tempi successivi.
Mentre si divertivano a cantare o recitare strani costrutti, coglievano gradualmente le mille implicazioni: i ritmi ricorrenti, le rime, i significati resi a volte con parole simili, altre con parole completamente diverse, le differenze linguistiche tra un’area geografica e l’altra, l’evolversi della lingua nel tempo in uno stesso luogo, la possibilità di esprimere emozioni e sentimenti con linguaggi diversi e tanto tanto altro.
🤔 Riflessioni
🐝 Quali sono i punti di forza?
✔ I genitori come parte funzionale del sistema.
✔ Lo sviluppo sistematico della creatività linguistica.
✔ Lo sviluppo dell'unicità del sapere, anche se apparentemente si fanno incursioni in saperi diversi.
✔ L'utilizzazione dell'approccio interdisciplinare, attivando competenze ed abilità in molte discipline d'insegnamento (lingua, geografia, scienze, immagine...).
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