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Consigli per la lettura delle pagine
: 8

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lasciatevi coinvolgere per allenare i muscoli
della mente e del cuore

Buona lettura



Ricordi Scuola 10 - Approfondire









Finalmente ebbi il trasferimento vero e proprio dalla mia città d'origine ad un paese immerso nella nebbia dell'Emilia. Questa era una sede definitiva e stabile.

Così, dopo un’estate trascorsa ancora al mare, nella località balneare del Sud da cui ci stavamo trasferendo, ben presto ci ritrovammo all’inizio del nuovo anno scolastico. Era il 1982.

La scuola del paese apparteneva al Circolo Didattico della cittadina più grande che si sviluppava non lontano da lì, sulla grande via di comunicazione. In quella sede si svolgevano le varie riunioni.
Con mia grande gioia, mi fu assegnata di nuovo una classe prima.
Questo mi consentiva di affinarmi sulle metodologie adatte per quella fascia d’età che, tra l’altro, a me interessava tantissimo.

La collega della classe parallela si chiamava Patrizia ed era della cittadina vicina, dove il marito gestiva una cartoleria.
Insieme a lei lavorai con interesse e la ricordo con simpatia.
Quasi tutti gli altri colleghi erano invece del paese, come Deanna che fu per tre anni l’insegnante di mia figlia, Anna e il maestro storico Franco, colto e simpatico, una vera istituzione.
Che dire della simpaticissima Eletta, il cui fratello lavorava nella stessa fabbrica in cui lavorava anche mio marito? Era generosa e altruista, sempre sorridente e disponibile. Fumava tantissimo e cucinava da dio.
Pochi mesi dopo il mio successivo trasferimento in Toscana, mi telefonarono perché un tumore l’aveva portata via in due mesi!
La maestra Mirella, che fu la maestra di mio figlio per due anni, era invece della città nella cui provincia si trovava il nostro paese.
Poi c’era l’insegnante di sostegno, Anna, con la quale lavorai molto bene e un maestro provvisorio, che veniva dalla Puglia, per le attività aggiuntive del pomeriggio.

Questa scuola era ben organizzata e molto avanti anche rispetto alle scuole che avevo visto nella mia grande città di provenienza.

Nel Circolo c’era una psicopedagogista che gestiva le classi parallele con l’intento di unificare l’approccio didattico e valutativo, in particolare le prove di verifica.
Così ci incontravamo mensilmente e costruivamo le prove da somministrare, le proponevamo agli alunni e infine discutevamo sui risultati raggiunti attraverso il confronto tra le varie realtà scolastiche.

Io ero molto aperta a queste nuove tecniche, alla docimologia e a quant’altro cominciava ad emergere in quegli anni, anzi, ero addirittura contenta di avere questa opportunità di autoaggiornamento che nelle altre scuole non avevo trovato.

Quegli anni trascorsi in  questo ambiente di lavoro furono intensi e ricchissimi di esperienze.

A ripensarci, il primo pensiero di quel periodo che mi riaffiora alla memoria è quello del clima terribile e dell’efficienza del tessuto sociale.

Be’, del tempo che dire? Il freddo che sentii in quei luoghi non ha mai avuto confronto con tutte le altre situazioni in cui mi sono trovata nella vita.

Ricordo una domenica mattina di sole splendido, e una passeggiata  con la famiglia, come se fosse ora…  stivali e pelliccia, maglioni e quant’altro, ma un freddo così intenso da far passare la gioia di vivere!
Non resistemmo più di alcuni minuti. Andammo subito nel paese vicino, da “Cesare” a mangiare le frittatine con l’aceto balsamico innaffiate di lambrusco.
Fu solo dopo abbondanti libagioni che finalmente ci riprendemmo dal freddo.

Anche le domeniche a pranzo a “La quercia”, vicino al tiro al piattello e al Circolo ARCI, avevano la connotazione di un rifugio per ripararci dal freddo umido intensissimo che ti entrava nelle ossa appena uscivi di casa.

E poi la nebbia, ma nebbia nebbia, che nascondeva l’incrocio al ritorno a casa, le strade, le luci. Avviluppava ogni cosa in quel tessuto lattiginoso che invitava alla meditazione al caldo di un camino, dilatava le notti, attutiva i rumori.

C’era anche la neve, tanta neve e ancora neve e il ghiaccio, ghiaccio e ancora ghiaccio, ma anche la galaverna di cui non avevo mai sentito parlare prima: l’umidità e la pioggia si gelava di colpo sugli alberi, sulle grondaie, sulle cancellate, riempiendo di trine un paesaggio incantato. Sembrava di essere in una fiaba fantastica!

Un pomeriggio ripresi la macchina da un meccanico che l’aveva tenuta all’esterno. Tornando a casa l’umidità gelò sul parabrezza così rapidamente, che rese vano l’uso dei tergicristalli e fui obbligata a fermarmi in mezzo alla strada perché non vedevo più nulla di nulla! Nella nebbia scendere dall’auto era veramente pericoloso. Ricordo ancora la sensazione di impotenza che mi prese! Per fortuna mio marito, non vedendomi arrivare dopo di lui, tornò indietro e mi tolse d’impaccio (la sua macchina era più moderna e subiva meno i nefasti effetti di quelle condizioni atmosferiche davvero proibitive).

Il sole era anemico, raro, sporadico e tingeva di colori improbabili la piatta pianura, i pioppi tremuli, i salici piangenti, i campi coltivati e i frutteti.

D’estate non abbronzava neppure: rendeva la pelle appena un po’ rossiccia.
Non ho mai capito perché, ma l’estate al mare era indispensabile!

Del tessuto sociale, invece, posso dire tutto il bene possibile.
Funzionava qualsiasi cosa alla quale ti avvicinavi, dalla cortesia e professionalità dei negozianti, alla rapidità con la quale eseguivi un’operazione bancaria o all’ufficio postale, dalla scuola e dal medico all’amministrazione comunale.

Rimasi affascinata dal fatto che per fare la mammografia, anzi il pap-test, mi mandassero a chiamare senza che io mi fossi neppure attivata!
Oggi questa pratica è abbastanza ordinaria, ma in quegli anni ciò non avveniva certamente né nel sud né nella grande città né altrove ed io rimasi davvero sorpresa!

La cosa che mi colpiva era che ogni persona svolgeva il proprio lavoro con motivazione ed impegno, senza distinzione tra professioni importanti e lavori più umili.
Tutti si sentivano coinvolti nella vita del paese.
C’era molto volontariato in tutti i settori.

In quegli anni avevano cominciato ad organizzare il Carnevale dei Rioni, in cui ogni parte del paese allestiva maschere, scenografie lungo le strade, balletti, rappresentazioni ed in ogni rione si offrivano piatti tipici nelle cantine appositamente aperte.

Ricordo che un anno la scuola di danza classica (di Bologna ma con lezioni in loco), frequentata da mia figlia, allestì un balletto molto carino e coinvolgente sulla musica del “Bolero” di Ravel e, credo, de “La danza delle spade” di Kataciurian.

Ricordo anche un enorme mostro di cartapesta con la principessa nella mano, chi non ricorda King Kong?, che formava un arco gigantesco in un cortile, davvero suggestivo!, la gramigna con i fagioli, gnocco fritto e tigelle, ma soprattutto un freddo proibitivo che si superava solo a colpi di bicchieri di vin brulé.

Tante, poi, furono le cose che feci per quanto riguarda la mia vita d’insegnante.

Una delle prime fu iscrivermi ad un corso intensivo di educazione motoria, perché era il settore in cui mi sentivo meno preparata.
Questo corso si svolgeva in città. Era patrocinato dal Ministero della Pubblica Istruzione.
Ci dettero una tuta,  un paio di scarpe e, soprattutto, la possibilità di essere sostituiti a scuola. Ebbe una durata importante.

Quella fu per me un’esperienza davvero fondamentale che avrebbe inciso su tutta la mia carriera. Contrariamente a quanto avevo pensato fin lì, ci poteva essere anche un modo intelligente di pensare all’educazione motoria!

Il conduttore principale era il cugino della mia collega Anna che faceva il sostegno nella scuola in cui lavoravo.
Utilizzava molto la sua chitarra e la musica per animare le attività didattiche, rendendole vivaci e  molto divertenti.

Da tutta quell’esperienza mi feci l’idea che fondamentali fossero i primi anni di scuola, perché poi nel secondo ciclo ci si poteva rifare ai grandi giochi di cui era previsto l’avvio.

La regola fondamentale che emergeva era quella di esercitare tutti gli schemi motori di base (correre, rotolare, arrampicarsi, ecc.), possibilmente in modo divertente e motivante.
Importante era anche la rappresentazione grafica del proprio corpo in movimento per stimolare una meta-riflessione sul proprio “fare”.

La canzoncina che ci insegnò il cugino di Anna, “Nano Zibibbo”, da lui stesso creata, l’ho riutilizzata tutti gli anni in cui mi sono ritrovata in classe prima e posso affermare che ha continuato ad estasiare anche i miei ultimi alunni, quelli del 2008! Era realmente moderna e all’avanguardia allora!

Trovai il corso davvero interessante perché i docenti erano molto preparati e riprendevano e sviluppavano tutti gli aspetti teorici più moderni, che io avevo già appreso all’università e che avevo posto alla base del mio approccio metodologico.

Ovviamente cercai di mettere subito in pratica quanto avevo appreso.




🤔 Riflessioni

🐝 Quali sono i punti di forza?

✔  Il rapporto con il tessuto sociale molto evoluto.
✔  La vivacità e la laboriosità dei docenti e del Circolo didattico.
✔  Le opportunità di approfondimento e di aggiornamento offerte.



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