Dopo un’altra estate di sole trascorsa al mare, mi ritrovai a settembre a scegliere una nuova sede.
Intanto, l’anno precedente i miei due figli avevano cercato di adattarsi alla nuova scuola, con ambiente e abitudini totalmente diversi da quelli della zona in cui abitavamo precedentemente.
Con alterne vicende, chi meglio chi peggio i due stavano facendo del loro meglio per entrare in una realtà che era nuova anche per me.
Così, al momento della scelta, pensai che fosse importante conoscere questa scuola, anche al fine di penetrare meglio nel tessuto del paese in cui vivevamo già da più di un anno.
Per questo optai per essere messa a disposizione del Circolo Didattico, cui apparteneva la scuola del nostro paese.
Sapevo che, in questo modo, forse avrei potuto trovarmi a supplire i colleghi assenti, ma fidando sul fatto che delle cinque insegnanti a disposizione io avevo il punteggio più alto, speravo che potessi non essere interessata da questo aspetto.
Così entrai nel tessuto vitale di quell'ambiente, che era quello che più desideravo conoscere.
Inizialmente tutto andò bene.
Mi assegnarono alle classi prime e seconde e mi fecero preparare un progetto per dare un senso al mio lavoro quando venivo a trovarmi in compresenza.
Scelsi ancora di provare a lavorare sulla lingua, il ritmo, il teatro: insomma le tematiche che mi stavano a cuore e che, ovviamente, in quella scuola, non venivano prese molto in considerazione.
Gli alunni, come era facile prevedere, si mostrarono molto interessati e coinvolti dalle attività che andavo gradualmente proponendo.
Fino a Natale le cose andarono bene, nel complesso, ma da gennaio in poi le supplenze furono non solo continue, ma anche fuori sede.
Girai e conobbi tutta la zona, spingendomi a volte anche nei punti più lontani.
Fu un’esperienza comunque interessante perché mi pose a contatto con tante realtà diverse e mi fece conoscere molte persone con stili di vita e di lavoro completamente differenti.
Le colleghe della scuola a cui ero stata assegnata come organico mi accolsero con gentilezza, in particolare una collega di classe seconda, il cui marito lavorava nell'azienda in cui operava il mio.
Con lei strinsi un’amicizia che mi portava spesso a visitarla nella sua bella casa a mezza costa della collina, simbolo del paese.
Di queste visite, spesso pomeridiane, ricordo le tantissime ortensie del suo giardino, dai gradevoli colori, e quelle essiccate, dalle mille sfumature di avorio e beige, che decoravano la sua casa.
C’erano, poi, degli incontri serali con i mariti a base di necci con la ricotta, castagne e vino, spesso con un'altra collega e suo marito che lavorava nello stesso settore produttivo.
A volte gli incontri erano a casa mia e per, alcuni anni, ci vedemmo con regolarità. Poi, con il suo pensionamento e l’impegno in un agriturismo, ci siamo un pochino allontanati.
In quei primi mesi conobbi anche due gentili insegnanti di classe prima, che mi invitavano a sedermi durante la ricreazione e indulgevano alle chiacchiere durante le giornate autunnali ancora calducce.
Una di loro aveva un quadernino con gli appunti di ciò che aveva fatto nelle mandate precedenti… da cui ogni giorno riprendeva gli esercizi da far eseguire ai nuovi alunni, esercizi che aveva già fatto eseguire più e più volte!
Io mi sorpresi non poco, era l’anno scolastico ‘87-’88, ma ne apprezzai la precisione e una certa poeticità di vecchia insegnante.
Infatti non c’era grande differenza con la mia amata maestra Ferrandini delle mie elementari!
Comunque osservavo tutto con interesse, cercando di introdurre piano piano qualche nuovo concetto che mi era proprio e, se possibile, di imparare qualcosa.
Lo facevo in punta di piedi, ma la cosa si cominciò a rarefare con l’arrivo di gennaio, quando, come già accennato, cominciarono in pieno le supplenze di colleghi assenti.
Di quelle fatte nel plesso, ricordo in particolare la sostituzione di un’insegnante i cui scolari furono inizialmente molto ostici nei miei confronti, forse sostenuti dai genitori, credendomi la solita supplente con cui fare il proprio comodo.
Dopo aver dato loro con decisione una strigliatina, spiegando che sostituire la loro insegnante non voleva dire essere inesperta, li tenni impegnati con il linguaggio poetico, risvegliando curiosità sopite e migliorando immediatamente le relazioni.
Utilizzai la recitazione corale, che loro non avevano mai sperimentato e l’elaborazione di un testo poetico collettivo che si ispirava alla collina, simbolo del paese.
Quando l’insegnante rientrò, la pregai di fare un discorsetto sia agli alunni sia alle famiglie, perché un’eventuale altra volta le cose fossero chiare e meno complicate.
Fu così che cominciai a conquistarmi il rispetto e la stima del corpo docente, anche se percepivo che, dietro le mille gentilezze, mi studiavano a fondo, pronti a scoprire qualche incertezza e a difendersi all’occorrenza.
L’anno terminò stoicamente in viaggio da una scuola all’altra del territorio, contenta di quanto avevo visto, ma stanca per l’impegno fisico che mi era stato richiesto.
Così mi ripromisi, avendo comunque raggiunto l’obiettivo di conoscere il territorio e l’ambiente in cui ci dovevamo integrare, di scegliere un’unica sede, ben precisa, per l’anno successivo.
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