Arguire e comprendere
Non ho idea del libro dal quale è estrapolato il pezzo, ma mi fa pensare a due possibili romanzi.
Può essere un romanzo sulla pazzia di Alda Merini. Una figlia la osserva con dolcezza e allo stesso tempo con smarrimento per la confusione nella quale si trova la sua mente. La figlia che racconta la vede con gli occhi di quando era piccola. Ricorda di averla vista mentre beveva e fumava davanti allo specchio e le nuvole di fumo distorcevano la sua immagine.
E pure a Mario Tobino che scriveva con affetto dei suoi matti. Ricordo un titolo: "Le libere donne di Magliano" e dal solo titolo mi posso immaginare la scena descritta. Vedo Tobino che la osserva e la lascia giocare con il fermaglio che tutto sommato può darle serenità nonostante la nebbia del suo cervello.
Claudia
Mi chiedo: delle stanze della memoria le chiavi dove sono?
Sepolte sotto il fango in fondo a un pozzo oscuro.
Del corpo le sembianze migliori dove si nascondono?
Nello specchio ne appaiono di simili, ma deformate dai molti anni trascorsi.
L’oggetto misterioso è lì, brillante come un filo d’erba nella rugiada, come una stella lontana di verde luce. Se lo rigira tra le mani. E come lo usava? Eppure sì che lo usava!
Ecco, dal buco della serratura della terza stanza riesce a vedere qualcosa, un’immagine sfocata che diventa sempre più nitida: gente, tanta gente dalle voci allegre, musica da ballo, tintinnio di bicchieri, lei, vestita elegante, una mano nella mano di un uomo, il suo uomo.
L’altra mano scorre sul collo, sale tra i capelli e sulla nuca cerca il fermaglio… il fermaglio!
L’immagine riflessa sorride, gli occhi brillano. Per un momento pare quella di una bella trentenne, mentre il fermaglio verde trova finalmente il posto giusto.
E lei si volta e mi guarda, in silenzio, il sorriso ancora le accende le labbra.
Le dico: “Nonna, ti sta benissimo!”.
Il libro parla della memoria nella terza età, vissuta in una famiglia.
Mi viene in mente un libro in cui si parla di persone che hanno problemi di salute. Mi sono immedesimata in una di queste.
Mi sveglio perché ho necessità di muovermi.
Ricordo quando ancora mi giravo nel letto con leggerezza e subito mi accorgo di non poterlo fare più. Sposto lentamente un muscolo, poi un altro e cerco di scendere dal letto con grande fatica e non è detto che ci riesca. Dopo diverse cadute mi sono attrezzata con dei dispositivi che possano aiutarmi, ma quanta fatica tirare su un corpo che non collabora! Tuttavia devo farlo se non voglio bagnare il letto come quando ero piccola.
In bagno incontro quella che vive nel mio corpo e subito mi verrebbe da lamentarmi con lei perché guardandomi allo specchio mi accorgo che non ne ha una grande cura.
Il mio viso è gonfio ha dei grandi segni lasciati dalla maschera per la respirazione forzata che lo hanno deformato e ha spostato anche la masticazione. Ogni centimetro del corpo mi fa male e anche la mente non è molto limpida. Mi attivo perché devo prendere la terapia dato che il mio cervello non produce più la sostanza di cui ha bisogno per funzionare, ma, quando entra in circolo dopo circa mezz'ora, come effetti collaterali mi procura movimenti involontari nella parte superiore del corpo, soprattutto nella testa, che mi risultano molto fastidiosi.
Una cosa semplice come andare al supermercato, diventa una scommessa. Arrivo che sono già in fase di calo della terapia e cammino solo abbarbicata al carrello che è tirato da mio marito. La stanchezza che provo è mortale e smetto di parlare e di ragionare.
L'allarme impostato sul cellulare mi dice che sono passate tre ore e devo prendere la dose successiva della terapia. Dopo mezz'ora recupero a malapena la forza per arrivare a casa e mi devo riposare perchè non sto in piedi. Si ricomincia alle due, altro giro, altra corsa, poi alle 17 ecc.
Ho un amica che sta perdendo se stessa a causa di una malattia spaventosa che l'annienta piano piano. Soffro per lei e mi viene spesso da fare un confronto fra le nostre situazioni ma, siccome la vita non è una gara, vedo che lei soffre molto perché non capisce cosa le sta succedendo, però con questo non posso dire che la mia situazione sia meno devastante.
Rita
“Lei, Pulcetta, non badava minimamente a quello che potevano dire gli altri del suo aspetto fisico abbondante, poiché li vedeva troppo superficiali ed era stata educata a proiettarsi verso un futuro costruito esclusivamente dalle sue scelte personali”.
Come direbbe Pulcetta… Amarsi è vedersi interi anche nei frammenti… anche degli specchi.
Monica
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