Morte e Resurrezione
Io, ieri e oggi.
Bene la vita di oggi, nonostante ci si lamenti e magari a ragione. Difficoltà ce ne sono tante per tutti ma se ci soffermiamo a pensare a come avremmo vissuto nei tempi passati, io proprio non mi ci vedo.
Non mi vedo imbacuccata in quei vestiti ampi, goffi e con poche possibilità di libertà di esprimermi in quanto donna. Sarei una donna destinata a far figli fin da giovanissima e pure uno dietro l’altro nel caso non fosse maschio e soprattutto nel caso non sopravvivessero, perché la speranza di vita non era dilatata nel tempo come oggi. Nonostante il poco tempo di vita che avrei probabilmente avuto a disposizione, credo che avrei avuto più paura di vivere che di morire.
Basta guardare un film riferito a epoche passate che mi rivedrei curata con le sanguisughe addosso. E se avessi avuto un semplice mal di denti?
A questo punto più che alla limitata libertà di vivere a mio piacimento in quanto donna, la vera sofferenza sarebbe stata vivere affrontando eventuali e anche probabili malattie.
Più che della morte mi fa paura soffrire. Non è tanto la speranza di vita che ha valore quanto la qualità. Credo che avrei vissuto poco e male, ma a quel tempo era normale visto che la scienza se c’era, era ancora agli albori.
Per fortuna vivo oggi con altre possibilità e non intendo lamentarmi e nemmeno pensare alla morte. Quando arriverà l’accoglierò, è inevitabile perché é così che é fatto il Creato.
Quando abbiamo perso le nostre radici e diventiamo radici a nostra volta, può succedere di soffermarci a pensare alla morte come una mano che ci afferra e ci tira via e a nulla vale la nostra resistenza, la forza che mettiamo nell'opporci, nell’aggrapparci alla vita.
Tutti ne abbiamo paura, anche coloro che si vogliono suicidare e, sono incline a pensare, anche coloro che hanno il conforto della religione. Io mi sento di avere paura più che altro di perdere gli affetti, di conseguenza ho imparato a non avere paura per me.
La mattina quando mi sveglio, capisco che fino ad allora ero come morta quindi la morte è un sonno eterno, null’altro.
Sarebbe bellissimo avere la possibilità di un Mondo che si dilata per contenerci tutti pur invecchiando, perché la vecchiaia porta con sé la bellezza di un gran racconto di vita. Ognuno di noi ha un suo romanzo ed è un vero peccato che, tutto sommato, alla fine vada perduto se prima non era stato messo nero su bianco.
D’altronde siamo foglie al vento, siamo di passaggio e forse proprio per questo abbiamo tra i tanti umani difetti, la voglia e la determinazione di vivere al meglio, di possedere quanto prima e quanto più possibile, spesso passando sopra tutto e tutti. C’é chi dice il contrario. C’é chi dice che se fossimo immortali sarebbe molto peggio. Per fortuna che i credenti, che sono i più, si preoccupano di dove vada a finire l’Anima o Spirito che sia e così molti valori danno scopo alla vita. Guardo e ammiro chi riesce a far cose, chi sa costruire, chi lascia dei risultati per la vita che verrà, non chi butta via questo bene prezioso.
La speranza di vita oggi è alta, ma si può dire che valga davvero per tutti?
La speranza non E’ e non è detto che sia, quindi penso a vivere con interesse il regalo del tempo che ho a disposizione.
Claudia
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Questa è la Settimana Santa e mi ricorda la morte di Gesù. E, pensando alla morte, mi viene anche da pensare con grande tristezza che ho una certa età e incomincia il viale del tramonto. Che tristezza! E no, eh!
Poi penso anche al passato e mi faccio delle domande. Come vedevo vecchie le donne, anche se erano giovani! Io, essendo piccola, le vedevo tutte vecchie, anche perché erano vestite di nero per il lutto, che portavano per molto tempo.
Sarà che nell'era moderna possono farsi qualsiasi ritocco e che perciò non accettano di invecchiare, così ora nel 2000 sono tutte uguali, fatte tutte con lo stesso stampo, tutte giovani poi quando crollano sono vecchissime... Insomma, o sono giovani o sono vecchissime, anche perché ora abbiamo molte cure e la gente anche se è malata va avanti di più, mentre una volta c'era la selezione naturale: o eri sana o morivi e per qualsiasi malattia che non si poteva curare. Solo i ricchi avevano qualche speranza in più.
Alba
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Come vedeva il futuro un/una giovane dei secoli passati, rispetto ai giovani del presente?
Nel medioevo, di cui ho letto storie e cronache, la nozione di età era un concetto astratto, il computo del tempo, come successione di anni, non era considerato dalla gente comune, non condizionava le loro vite, come invece faceva il susseguirsi delle stagioni.
La gran maggioranza di braccianti, contadini operai, piccoli commercianti e piccoli artigiani in Europa, non sapevano leggere e scrivere, né conoscevano il giorno della loro nascita.
Si veniva considerati adulti tra i dodici e i sedici anni, secondo il diritto romano. Parlando di ragazzi; per le ragazze, invece, l’età adulta cominciava dalla prima gravidanza, cioè dai 12 anni in poi. Chi superava indenne i sedici anni (presunti) o le varie precoci gravidanze, poteva aspirare a vivere fino a 60 anni circa, sempre che non intervenissero guerre, parti tragici, malattie mortali o invalidanti a stroncarne la vita.
Per i nobili, per i ricchi, il clero e gli artisti importanti - esigua minoranza istruita - era diverso, infatti se ne conoscono le date importanti della vita ancora oggi: solo loro potevano avere un progetto di vita. Per tutti però erano soprattutto le tappe da raggiungere, conquistare e sorpassare ad essere chiare: il matrimonio, la cura dei figli, la cura della casa, eventualmente della proprietà, la difesa da malattie, il raggiungimento di una vecchiaia tranquilla.
Molto difficile era passare da una classe sociale ad un’altra più elevata.
Il destino era assegnato più o meno a tutti fin da subito. Pochi potevano decidere come indirizzare la loro vita.
Oggi, o meglio gradualmente dai primi decenni del secolo scorso, le cose sono cambiate, almeno nella società occidentale.
Le malattie gravi dell’infanzia e la malnutrizione sono per lo più sconfitte e oltre il 90% dei neonati arrivano quindi alla gioventù. Ogni giovane può sognare, progettare e impegnarsi nel costruirsi un futuro secondo le sue inclinazioni, il suo talento, il personale desiderio, anche se non è detto che riesca a realizzarlo.
Restano le tappe, come nei tempi antichi, ma ora si possono dilatare negli anni, o addirittura saltare. Si può decidere di non avere figli, senza essere ostracizzati, di trasferirsi a vivere in un luogo lontano, anche senza averne la necessità, si può studiare, anche senza provenire da una famiglia ricca e potente, si può decidere di non seguire le orme degli antenati.
Questo è un sintomo per me positivo di libertà, anche se si accompagna a incertezze che nei secoli precedenti non c’erano.
A 30 anni circa ogni giovane (oggi si è considerati giovani anche oltre i trenta), maschio o femmina ha ormai acquisito la consapevolezza che un giorno la sua vita finirà, perciò - se non l’ha fatto prima - progetta il suo futuro, i suoi obiettivi importanti e dato che l’aspettativa di vita oltrepassa gli 80 anni, può continuare a progettare per molto tempo, con obiettivi diversi, anche dopo quella che una volta veniva considerata vecchiaia prossima alla morte.
Io sono un esempio di questa epoca, riguardo alle possibilità di vita: dovevo morire a poco più di nove mesi pur essendo nata sana e robusta. Per aver bevuto un biberon di latte andato a male per il caldo, il 18 agosto del 1957 ebbi una gastro-interite acuta seguita da una forte disidratazione. I miei mi portarono, con la Topolino, prima all’ospedale di Grosseto, il più vicino, dove i medici dissero che stavo per morire e che non c’era niente da fare, poi a quello di Siena dove confermarono la diagnosi e infine a quello di Pisa dove mi salvarono. Per tutta l’infanzia sono stata gracilina e spesso malata, avevo un armadietto pieno delle mie medicine, ma nell’adolescenza mi sono rinforzata e non ho più avuto bisogno di cure mediche specifiche. Ho potuto fare progetti, che non si sono completamente realizzati, e posso farne ancora. Anche se un giorno inevitabilmente morirò, penso che anche in quei momenti starò progettando qualcosa… di non troppo impegnativo, a quel punto!
Silvana B.
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Ricordo tanti anni fa che le persone sembravano molto più anziane della loro reale età. Sarà stato l'abbigliamento o l'aspetto, ma persone di sessanta anni sembravano molto ma molto anziane. Inoltre gli esseri umani avevano un'aspettativa di vita notevolmente inferiore ad oggi. Sicuramente ciò era dovuto ai lavori pesanti che dovevano esercitare, senza aiuti di macchinari.
Inoltre se si ammalavano, il loro destino era segnato perché non esistevano medicinali in grado di curare e rimettere in forma le persone. Se c'era un'epidemia la morte di molte persone era sicura; un virus portava con sé al cimitero incalcolabili quantità di individui.
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