S i m b o l i
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Non escluderei nessuno di questi oggetti-simbolo, piuttosto aggiungerei la patente di guida, perchè da anni ormai tutte le donne del mondo occidentale l’hanno conseguita.
Mi viene in mente la patente perché anni fa, e nemmeno tanti, gli uomini con un risolino sarcastico sulle labbra, erano soliti dire: "Donna al volante pericolo costante." e forse alcuni di loro lo dicono anche oggi.
Al di là di questi aneddoti, la conquista più importante è certamente il diritto al voto, ma il sentirsi donna libera, secondo me, è dato dal modo di vivere e vestire. Il pantalone è una conquista perché prima la donna che viaggiava in bicicletta, doveva stare molto attenta alla gonna anche se le ruote avevano il coprirazzi, come pure la motocicletta e il costume da bagno che un tempo era pressappoco un vestito.
Gli oggetti simboli dell'emancipazione femminile... Ne abbiamo parlato e li abbiamo cercati nella storia, perché poi sono i simboli delle grandi conquiste femminili: il diritto di voto, il diritto di avere soldi propri, il diritto di mettere i pantaloni, il rossetto, eccetera.
Cosa che poi è agli occhi di noi donne moderne inaudito in quanto non ci doveva essere un prima o un dopo, ma quello che è giusto doveva “essere” e basta. Stavo riflettendo che tutti questi simboli che abbiamo ricordato fanno riferimento all'ultimo secolo 1800/1900. Ora mi domando, ma prima cosa facevano le donne? Dormivano?
Siccome non lo penso proprio devo ampliare la visione delle cose e cercare altri simboli in cui noi donne possiamo riconoscerci. Mi viene in mente la prima pilota di aerei donna che portò in alto il nostro genere, ma andando più nel quotidiano, voglio ricordare le donne che si sono fatte valere come madri, mogli, figlie. Penso alle pioniere che con i carri esploravano nuove terre condividendo alla pari con gli uomini fatiche e pericoli. Penso alle donne sulle cui spalle gravava la salute e la vita stessa dei loro cari e si inventarono erboriste, infermiere, medici, consigliere, consolatrici, ecc. Penso a quelle madri che hanno saputo sostenere le proprie figlie e le hanno esortate a realizzarsi anche contro le regole maschili rafforzando la loro autostima e le loro decisioni.
Penso alle nostre nonne e, più indietro alle nostre ave, che, pur non avendo nessun simbolo da mostrare, mostrano le loro magre vite e con questo ci fanno riflettere sul fatto che non è necessario passare alla storia per dimostrare il proprio valore. Il tutto in un mondo in cui persino l'alfabeto era negato alle donne. E neppure oggi, in questo mondo violento, le donne possono abbassare la guardia, in quanto il genere maschile non riesce ad accettare che il suo desiderio di primeggiare, svalutare, sottomettere le loro partner, sia messo in discussione e lo esercitano con la forza, arrivando spesso ad uccidere. Ho chiesto a mio nipote di dieci anni se a scuola parlavano di questo argomento. Mi ha risposto che ne parlavano e che le donne vogliono l'uguaglianza, ma hanno più diritti degli uomini, perchè per ammazzare una donna c'è una pena di venti anni, e se ammazzano un uomo fai solo dieci anni e poco più. Ho spiegato come meglio credevo, ma mi sono chiesta quanto è profonda questa frattura fra i due generi se a un ragazzino eccezionale è passato questo messaggio contorto? Care donne, c'è ancora tanta strada da fare e dobbiamo far diventare i nostri figli i nostri migliori simboli.La mia mamma, nata nel 1927, quando ero bambina mi raccontava spesso le sue prodezze di ragazza. Di una di queste erano complici la nonna e il fratello, maggiore di qualche anno. Nei pomeriggi estivi, quando già lavorava come maestra, prima di uscire con lo zio per vedersi con gli amici di entrambi, salutava il nonno con un bacetto, poi passava da un salottino vicino all’ingresso, toglieva la gonna e infilava i pantaloni, usciva e si accomodava comodamente sulla lambretta dello zio, nel posto dietro, ma a volte anche in quello davanti. Al ritorno svolgeva l’operazione al contrario e il nonno l’aveva saputo solo dopo molti anni.
Forse per questo fin da piccolissima io ero stata abituata a indossare i pantaloni - un capo di abbigliamento allora ancora molto maschile – confezionato, anno dopo anno, dall’altra nonna che faceva la sarta. Alcune foto lo dimostrano!
Ho continuato a indossare naturalmente i pantaloni, più che altro in inverno, fino ai dieci anni, quando, con grande stupore, ho appreso che nella scuola media che mi apprestavo a frequentare, secondo il regolamento, noi ragazze dovevamo indossare la gonna, tranne durante le lezioni di educazione fisica, in cui mettevamo la tuta.
Per me era inconcepibile, ma dovevo adattarmi. Arrivata a casa all’ora di pranzo, se era freddo, mi infilavo i miei pantaloni di velluto a coste nero (fatti su misura e allungati via via) fino a sera.
Non che mi seccasse mettere le gonne, anzi adoravo le scamiciate che mi confezionava la nonna - ricordo in particolare una blu di velluto – quello che in un certo senso mi scandalizzava era la proibizione immotivata: “Perché?” mi chiedevo “cosa c’è di sbagliato?”, ma non ne parlavo, già sapevo che non avrei avuto risposte soddisfacenti da nessuno.
Infatti nella mia giovane mente si erano formati da un po’ di tempo vari dubbi sulla fondatezza delle regole imposte dagli adulti e a volte riflettevo a lungo su contraddizioni e insensatezze che pervadevano il loro mondo e che vedevo manifestarsi a volte anche nel comportamento dei miei genitori, ma non osavo mettermi a discuterne.
Qualche anno dopo, comunque acquisii il coraggio e la dialettica per farlo, e non solo riguardo all’abbigliamento!
Silvana B.
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