Già prima che finisse l’anno scolastico, una collega aveva preso contatti con me: sarebbe stata una delle insegnanti che a settembre avrebbe lavorato nel modulo di classe prima in cui io sarei stata impegnata.
La conoscevo già, anche perché sua figlia era stata nella classe che la mia aveva frequentato per gli ultimi due anni della scuola elementare.
Fu molto gentile ed accogliente, se pur sbrigativa come era proprio del suo carattere.
Fui molto contenta di essere tornata nella mia zona, perché avere il luogo di lavoro vicino era davvero molto comodo! Inoltre avrei potuto ricominciare dalla prima, organizzando un intero ciclo a modo mio… e questo pure avrebbe potuto fare la differenza.
Essendo l’ultima arrivata, mi fu assegnata l’area antropologica, quella generalmente considerata meno importante.
Come credo di aver già detto, a me piacevano moltissimo anche quelle discipline che ritenevo molto interessanti, soprattutto nei primi tre anni.
Inoltre, l’area antropologica, essendo meno codificata, avrebbe potuto offrirmi un respiro più ampio e una maggiore libertà di azione.
E così partimmo con quella nuova organizzazione modulare, che in quella scuola si sperimentava per la prima volta con un po’ d’ansia.
Io non vi ravvisai niente di diverso o complicato rispetto a quello che avevo già attuato l’anno precedente.
Mi trovai subito bene con la collega che mi aveva contattato, la quale aveva il pregio di essere schietta e sincera. Fu più complicato con la seconda, perché tendeva a seguire le sue idee e comunicava di meno con noi.
Ricordo una volta in cui l'insegnante che già conoscevo, si arrabbiò moltissimo… quando la collega prese l’iniziativa di fare dei piccoli doni ai bambini senza dirci niente.
Questo cercare di creare legami affettivi con i regalini contrastava completamente con la nostra visione delle relazioni tra docente e discente.
Comunque suggerii alla mia collega di non dare molta importanza alla cosa e in qualche modo risolvemmo il contrattempo.
Dal canto mio io cominciai ad impostare il mio collaudato sistema relazionale curando molto i bimbi, ma anche le famiglie.
Vidi immediatamente l’interesse delle persone nei miei confronti.
Sul piano didattico cominciai a proporre il lavoro di gruppo, la ricerca su documenti, lo sviluppo linguistico e quant’altro già in precedenza ricordato.
Anche se cercavo di limitarmi nelle proposte, mi accorgevo di suscitare interesse e curiosità nei colleghi. Tuttavia questi, anche se velatamente, erano spesso in posizione di difesa, arroccandosi sulle proprie sicurezze del già noto e del già fatto.
In ogni caso i primi due anni passarono in fretta.
Ricordo benissimo gli alunni di quelle due sezioni.
E non poteva essere diversamente.
Furono quelli del mio primo ciclo completo di cinque anni.
Sono ancora in contatto con loro.
Intanto la mia avventura con l’inglese, o come si diceva in breve con la L2, continuava.
Infatti l’idea di specializzarmi in tutti i settori continuava ad affascinarmi e conseguire l’abilitazione in quel settore avrebbe potuto offrirmi una marcia in più rispetto al grande numero dei docenti non abilitati.
Mi sbagliavo alla grande.
A fronte di un quasi insignificante punteggio in più da utilizzare nei trasferimenti, cosa di cui non avrei mai più avuto necessità, scoprii in seguito che si era verificato un passaggio dal ruolo normale a quello di specialista di seconda lingua.
Questo aveva interrotto di fatto il ruolo precedente con conseguente annullamento del punteggio aggiuntivo, che era previsto per la permanenza nella stessa scuola e nello stesso ruolo.
La conseguenza fantozziana fu che, in più di un occasione, mi vidi retrocessa nella graduatoria d’istituto subendo, quindi, un “danneggiamento” che non si realizzò nella sostanza solo perché non mi trovai nella situazione di perdente posto o in altre simili.
Naturalmente non avemmo nemmeno un centesimo in più rispetto agli altri insegnanti, a fronte di una notevole preparazione ed un rilevante impegno che avevamo profuso in quell’avventura!
Ma andiamo con ordine.
L’accesso al ruolo avvenne attraverso una selezione provinciale, seguita a distanza di tempo da una vero e proprio concorso nazionale, simile a quello con cui avevo avuto l’abilitazione all’insegnamento.
Infatti si prevedeva una prova scritta, a scelta multipla, di scrematura e una prova orale per coloro che avrebbero passato il test.
Ricordo che queste prove furono difficili, poco adatte ad insegnanti interne che da anni non si occupavano di quel settore.
Comunque io fui ammessa alla prova orale.
Per questa prova c’era una commissione di esperti molto preparati, presieduta da un professore universitario che avevo avuto occasione di conoscere anni prima nell'ambito dei miei studi di psicologia.
Questo professore era un gran sostenitore del bilinguismo precoce e il maggior esperto in quel campo in Italia.
Anche se erano anni che non utilizzavo l’Inglese e dopo una preparazione (soprattutto teorica) nel campo del bilinguismo precoce messa in atto con un gruppo di colleghi, superai l’esame: molto molto preparata nella parte teorica, mi sentii un po’ impacciata nel dover sostenere una lunga conversazione in seconda lingua, anche a causa della mia consueta emozionabilità.
Per fortuna avevo una buona pronuncia e questo mi fu d’aiuto.
Così cominciò la mia bella ed emozionante avventura con l’Inglese!
Non bisogna pensare, però, che il passaggio di ruolo fosse automatico.
Fu necessario seguire per un anno un corso di formazione di moltissime ore e quasi tutte da fare in orario aggiuntivo oltre al normale orario di lavoro.
Certamente l’impegno fu notevolissimo, ma io per contro mi divertii moltissimo, perché quello fu un corso d’aggiornamento veramente interessante.
Teoria e pratica “in situazione” furono tutte in lingua straniera con personale docente di madre lingua e comunque molto preparato.
La pratica didattica teneva conto di tutti i più moderni approcci e tecniche che io avevo già incontrato all’università e nella preparazione al concorso del ‘75 e che ritenevo validi e stimolanti da sempre.
Così, l’anno successivo entrammo nel nuovo ruolo e io cominciai a prendere lezioni private con un insegnante canadese di origine italiana che venne per molto tempo a casa mia seguendomi individualmente.
Queste conversazioni tematiche furono davvero molto utili per aggiornare ed ampliare le mie abilità linguistiche e darmi quella sicurezza globale, indispensabile per affrontare situazioni di confronto con adulti e bambini.
In seguito avrei fatto un soggiorno di studio a Bournemouth, con mio marito.
Conoscemmo Doris e Peter, un coppia garbata e disponibile che ci introdusse al simpatico “Creamy Tea” del Dorset: abiti eleganti un po’ demodé per noi, un pizzico di musica, chicchere e piattini, soprattutto panini al burro e squisiti pasticcini; il tutto accompagnato da una crema di latte densissima da diluire nel tè.
Le conversazioni con Doris e Peter mi rassicurarono sulla mia preparazione linguistica. Infatti riuscivo a dialogare nelle situazioni giornaliere, esercitando il vocabolario quotidiano che si utilizza in famiglia, con gli amici, in situazioni formali di cortesia. Inoltre Doris asseriva che la mia pronuncia e la mia sintassi erano piuttosto buone e questo rafforzò la mia fiducia nelle mie capacità di promuovere al meglio l’apprendimento dell’Inglese nei miei alunni.
Nel frattempo avevamo seguito corsi di aggiornamento di consolidamento e follow-up.
Insomma in Italia, fu attuato un cambiamento “epocale”, come non si vedeva da molto e non si sarebbe visto per lungo tempo in futuro.
Per concludere va detto anche che il reclutamento di insegnanti successivo, fu molto semplificato: le ore di formazione in servizio furono molto esigue e non paragonabili al primo sforzo di introduzione.
Si finì in bellezza con il ritenere semplicemente valido il fatto di aver studiato la lingua 2 nella scuola secondaria magistrale e l’accesso avvenne con un piccolo colloquio orale.
Il risultato fu che mi trovai ad osservare come il livello di preparazione, linguistico e didattico, si fosse drasticamente involuto.
0 commenti:
Posta un commento