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Lucca - Piazza San Salvatore |
D o n n e
Superati i primi anni in cui fecero scalpore, più come novità che come presa di coscienza, se ne parla solo l’otto marzo accoppiandole alle Scarpe Rosse, altro simbolo di violenza sulle donne.
Diciamoci la verità, sono veramente servite a far riflettere? E nel caso, chi avrebbe dovuto riflettere?
La donna certamente, per mettersi in testa che deve assolutamente rendersi conto se ha accanto un uomo violento e fuggirne il prima possibile senza farsi ulteriori domande e senza dare ulteriori possibilità.
L’uomo? Pare che in generale chi doveva farlo non lo ha fatto, il messaggio non è arrivato visti i risultati.
Allora in che modo possiamo ridare valore a quel simbolo così importante? Bella domanda.
Educazione può essere la risposta, l’unica credo.
Perlomeno l’otto marzo ci vorrei vedere seduti gli uomini, per amore o per forza. Certo, anche per forza perché quelli che si siedono per amore il “disturbo mentale” non lo hanno. Potrebbero essere intervistati al fine di capire l’ideologia che li porta a opporsi così violentemente alle donne.
E’ per supremazia oppure solo sfogo di violenza interiore? Capire la Società che si è venuta a creare è fondamentale. Tutti sappiamo che la donna ha sempre avuto un ruolo scarsamente valorizzato e spesso non riconosciuto nonostante anche le notevoli capacità che molte nella Storia hanno dimostrato di avere, perché l’uomo non intendeva essere sopraffatto. Questo lo potrei anche accettare, ma quel che non si può davvero accettare è che non intende mettersi nemmeno in parità.
Credo che a uomini di questo tipo la Natura non abbia dato risorse tali da sentirsi in grado di competere con l’altro sesso, facendo prevalere l’istinto e quindi la debolezza caratteriale. Questi sono gli uomini che pensano di recuperare il loro deficit servendosi della forza.
Laddove l’intelligenza all’apprendimento emotivo non è sufficiente succede l’irreparabile. Trovo quindi che l’unica via d’uscita possa essere quella di continuare a parlarne e magari affiancare uno Psicologo al medico di famiglia, come ultimamente qualcuno ha proposto.
Problematiche familiari ci sono sempre state, ne sentivo parlare anni fa anche in famiglie che ho conosciuto, ma oggi, in nome della conquistata libertà, tutto appare possibile, persino sopprimere chi appare come un ostacolo.
E il rispetto?
Claudia
LA PANCHINA ROSSA DI PIAZZA DELLA MISERICORDIA è un simbolo e i simboli di solito non hanno una funzione pratica.
Questo serve a ricordare quante donne sono state vittime di femminicidio e quante ancora rischino di diventarlo, quanto sia importante stare all’erta e cercare di impedire che ciò avvenga.
Serve anche a riposarsi durante un giro in centro, come le sue sorelle verdi o grigie. Io mi ci siedo ogni tanto.
E’ vero, molti e molte hanno dimenticato la sua funzione simbolica oppure, soprattutto le nuovissime generazioni, non la conoscono. Si tratta di un simbolo giovane, nato appena undici anni fa, in Italia, a Torino. Ci mettono molto per affermarsi i simboli! Siamo abituati ormai alla fretta, al tutto e subito. Anche a dimenticare il passato, non tanto quello personale, ma quello sociale. Invece ritengo importante guardarsi indietro per considerare i cambiamenti notevolissimi del costume in Italia per quel che riguarda la vita quotidiana delle donne.
Abbiamo forse dimenticato come vivevano le nostre madri, noi non più giovani, o le nonne? Quelle generazioni educate e vissute nel regime fascista che le relegava ai margini estremi della vita sociale, indipendentemente dalla classe di appartenenza.
Non ricordo tutte le ignobili leggi che le rinchiusero ed emarginarono, anche perché si accompagnavano e talvolta si sovrappongono a quelle dedicate a ebrei, a omosessuali, a dissidenti…
Me ne viene in mente una delle prime, che già nel 1923, proibiva alle donne di insegnare materie umanistiche nelle scuole superiori. In seguito la propaganda di regime confinò le donne non appena sposate in casa, escludendo in parte solo quelle delle famiglie più ricche. Non c’ era una legge specifica per questo, ma il costume sociale imperante imponeva a chi di loro lavorava, tranne operaie e contadine, di licenziarsi non appena convolavano a nozze. In casa dovevano partorire più figli e dedicarsi esclusivamente alle necessità della famiglia, senza speranza di poter esprimersi come persona, ma sottomesse in una società storicamente patriarcale, politicamente dittatoriale, dove la violenza sui più deboli era consentita e nella norma.
Durante la seconda guerra mondiale, che doveva durare un paio di mesi a quanto affermavano i comunicati del regime, furono le donne per lo più a mandare avanti l’economia quotidiana soprattutto nei piccoli centri (era successo anche durante la prima guerra mondiale, infatti subito dopo per pochi anni, le donne avevano goduto di maggiore libertà e dignità).
In quei tragici cinque anni di morte e distruzione, qualcosa di positivo ci fu: “Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”, come cantava De André.
Di questo parla per gran parte di un suo libro - che ho letto recentemente - Giuseppina Torregrossa. Le protagoniste del paesino siciliano dell’entroterra dove vivono, in un primo momento si illudono di dover attendere qualche mese il ritorno degli uomini, poi, più evolute culturalmente si rendono conto che la faccenda guerra andrà molto per le lunghe e con vari stratagemmi riescono a far uscire di casa, radunare e organizzare in gruppi le altre donne del paese, mettendosi alla prova anche loro stesse, per svolgere tutti quei lavori della campagna che avrebbero garantito a loro e ai loro figli una sopravvivenza degna. A poco a poco, collaborando per necessità, le invidie, le rivalità, le maldicenze, si trasformarono in partecipazione sociale, autostima, confidenza, amicizia e senso di libertà. Alla fine della guerra molte di loro mantennero e coltivarono ciò che avevano imparato di sé e delle altre. Dopo un anno le donne ebbero finalmente il diritto di voto.
Oriana Fallaci, in tempo di guerra staffetta partigiana, disse “… ho fatto la guerra anch’io, solo che dopo non mi sono rinchiusa di nuovo in casa, ma sono andata a conoscere il mondo.
Sono stati fatti enormi passi nel costume e nella legislazione negli ultimi 80 anni: il diritto di voto, il divorzio, l’aborto, la riforma del diritto di famiglia ecc. hanno cambiato le prospettive, le aspettative, la progettualità, l’indipendenza delle donne. La libertà.
C’è ancora molto da fare, i diritti non sono mai gratis, e come si acquisiscono si possono perdere, basta pensare alle donne delle nazioni con regimi islamici che negli anni sessanta del novecento godevano di molta più indipendenza di oggi.
L’educazione al rispetto per ogni diversità, fin dalla tenera età, è forse il più importante percorso da fare con attenzione e capillarità affinché questa violenza che ancora troppi uomini esercitano su mogli, fidanzate, ex, e sulle figlie finalmente finisca.
La panchina è lì, rossa come il sangue e inerte, silenziosa.
Appena possibile mi ci siederò con mia nipote e mio nipote e racconterò loro che cosa simboleggia.
Silvana B.
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Sono nonna già da un po' di anni e oggi sono vestita di rosso. Penserete subito che questo è un commento inutile, ma non è vero perché anche io mi ricordo della mia nonna e non solo non aveva mai avuto un qualcosa di colorato, ma anche la testa era immune da svolazzi, essendo coperta in inverno con un fazzoletto nero legato sotto il mento e in estate dallo stesso fazzoletto nero legato dietro al collo.
La ricordo perennemente seduta vicino alla stufa sempre accesa per cucinare e scaldare l'acqua. Questo mi fa riflettere sulle donne e su come erano annichilite da una società maschilista e padrona. Circa cinquanta anni fa, mi trovai nella necessità di cercare lavoro e mi sentii dire che se ero in grado di presentare un certificato di sterilità potevo iniziare anche da subito. Fu un duro colpo. Anche la mia vita privata subì una “violenza” quando decidemmo insieme al mio fidanzato, che mi potevo comprare una gonnellina un po' troppo corta per i canoni del mio vissuto, ma molto alla moda data la prepotente esplosione delle minigonne.
La scegliemmo insieme, ma quando pochi giorni dopo la indossai per uscire, voleva che mi andassi a cambiare perché disse, che quella gonna era troppo corta. Non accettai e vinsi una battaglia che non doveva essere neppure combattuta. C'è stata la rivoluzione femminile, i moti studenteschi del '68, e le donne hanno sognato di aver raggiunto la parità.
Tutte noi abbiamo riposto nelle panchine rosse proposte come bandiere contro la violenza del genere femminile, ma a distanza di dieci anni hanno perso il loro significato e la violenza sulle donne non è mai stata così potente come adesso.
Forse gli uomini si sentono frustrati perché non possono spadroneggiare come fanno da sempre. Certo oggi non mi verrebbe più chiesto il certificato di sterilità perché le donne, compresa me, sono diventate più scaltre e quel tizio lo avrei denunciato, ma anche se non lo dicono apertamente, agiscono di conseguenza ai loro ideali e le donne ci rimettono come sempre. Occorre che la società si comporti più giustamente e non accetti atti di disuguaglianza. Sento dire ogni giorno alla televisione che gli uomini guadagnano più delle donne, ma nessuno fa nulla per evitare questa discriminazione.
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