Una cosa che non ti ho detto
Oggi mi si conosce come persona loquace, che in qualche modo interviene volentieri nelle conversazioni anche se spesso mi ripropongo, ovviamente in ogni ambiente e situazione, di modificare questo mio carattere che è venuto fuori.
Mi impegno per una specie di a.d.r. e ad ascoltare senza allungarmi troppo nel discorso per parlare dicendo l’essenziale, lasciando spazio agli altri.
Mi dico che infondo i miei pensieri li so e devo solo ascoltare per conoscere quelli degli altri se voglio accrescere la mia personalità.
Ci provo ma non è semplice, eppure un tempo molto lontano non era così. Non solo non raccontavo ma nemmeno esprimevo la mia opinione a meno che non mi fosse stata chiesta espressamente. Pensavo che se avessi espresso una mia opinione contraria, l’altro mi avrebbe potuto allontanare per cui io annuivo a prescindere, mi limitavo a dire che per me andava bene e discorso chiuso.
Con il passare degli anni ho notato che tutti parlano anche abbastanza, spesso senza accorgersi, quindi ho pensato che potevo essere anch’io come gli altri. Intendo dire che ognuno ha il diritto di esprimersi, basta farlo con le parole giuste, pensate, educate, anche nel caso che si odano e si leggano discorsi che farebbero ribollire il sangue.
Dominarsi, trovare il giusto equilibrio nel rapporto con gli altri è indispensabile ed è a questo che ognuno di noi deve tendere.
Mia mamma, che aveva quarantadue anni, in quel periodo cominciò ad accusare strani malesseri, non stava affatto bene e tutti noi in famiglia eravamo preoccupati. Papà chiamò il nostro medico di famiglia, uno di quei medici di una volta che ti capiva anche solo guardandoti attentamente e che conosceva tutti noi da tantissimi anni. Arrivò a casa, controllò le analisi fatte, visitò mamma e al termine, con un sorriso sulle labbra sentenziò: "Gennara, sarà bene fare un test di gravidanza?".
"Ma che dice dottore! Sarò in menopausa." rispose mamma un po' alterata. Ma il medico prescrisse il test e le dette una pacca sulla spalla. Dopo qualche giorno, papà, finito il lavoro, entrò in casa tutto contento cantando "Siamo la coppia più bella del mondo" e sventolando il risultato positivo del test.
Mamma si prese la testa tra le mani, io l'abbracciai e insieme scoppiammo in un pianto liberatorio, perché la paura che fosse un brutto male era stata tanta. Certo la notizia non ci scivolò addosso... eravamo ambedue preoccupate sia per la salute di mamma sia per dover ricominciare da capo. Un neonato porta in famiglia un naturale sconvolgimento. Figuriamoci nella nostra con due figli di tredici e di quattordici anni ed io che ne avevo ventuno. Non vi dico i pianti che feci quella notte. Per me la notizia fu sconvolgente. Non sapevo come dirlo alle amiche e al mio fidanzato del momento. Quasi quasi mi vergognavo... Dopo un primo scombussolamento riprendemmo i nostri ritmi mentre il ventre di mamma cresceva.
Arrivammo così alla notte tra il 14 e il 15 gennaio 1970. Fu una notte agitata, fino a che, alle cinque del mattino, papà portò mamma alla clinica Barbantine.
I miei fratelli quella mattina andarono regolarmente a scuola, mentre io restai a casa mettendola a soqquadro e tirandola al lucido, cercando così di tenere sotto controllo l'ansia che mi tormentava. Verso le ore undici papà telefonò dandomi la notizia che era nata una bellissima bambina. Per fortuna tutto era andato bene.
Prima del mio turno di lavoro passai a trovare la mamma e a vedere la mia nuova sorellina. Un bel visino tondo tondo, ma una testa grossa grossa che mi preoccupò assai.
In quel periodo frequentavo l'ultimo anno della scuola ortofrenica Stella Maris di Pisa e, durante la prima lezione successiva alla nascita di Roberta, fermai il professor Pfanner per chiedergli se fosse un caso di idrocefalo. Ero davvero in forte ansia.
Il professore, che conosceva bene mio papà ed era a conoscenza della nuova nascita, fece una bella risata e mi disse "Signorina, vada domani mattina a trovarla e vedrà che tutto è rientrato. È un trauma da sforzo per la nascita!"
Roberta ha dato grandi soddisfazioni alla famiglia, a soli diciotto anni si diplomò ragioniera con il massimo dei voti ed entrò subito a lavorare in banca.
Fra lei e mio figlio Simone ci sono solo 4 anni di differenza. Oggi Roberta ha cinquantacinque anni, abita nella casa accanto alla mia ed io mi raffido parecchio a lei. Pensate che quando torna dal lavoro si affaccia sulla porta e mi chiede: "Mariella tutto bene?" E se la sera decido di fare la doccia le telefono per dirglielo e lei aspetta il messaggio con cui la tranquillizzo: non si sa mai... a questa età anche uno scivolone ed una caduta da sola in casa sarebbe preoccupante!
È BENE FERMARSI OGNI TANTO, PENSARE, RIFLETTERE ANDARE AVANTI COME IN QUESTO MOMENTO DI VITA O RIDIMENSIONARE L’ANDAMENTO IN GENERALE.
Ecco che all’improvviso appare un’immagine di un luogo dove nella propria gioventù si è avuto la fortuna di frequentare spesso: una terrazza ritenuta fra le più belle al mondo, a Ravello della Costiera Amalfitana in provincia di Salerno, a strapiombo sul mare dalla quale si può osservare l’orizzonte e il suo cielo infinito.
Era sempre stato un mio grande desiderio vivere in un luogo di mare, anche se le mie origini erano dietro le colline da lì e vivendo in Emilia sognavo spesso di tornare in quei posti.
Finalmente, in uno dei trasferimenti familiari, è avvenuto di potervi ritornare in una casa sul lungomare tra mare e colline.
Avere la fortuna di poter osservare dal balcone di casa il cambiamento delle stagioni, del giorno, la notte, la calma e la tempesta tormentosa di onde del mare infrangersi sugli scogli non lontani... Era tutto ciò che di meglio non si potesse avere.
Era piacevole vedere il volo dei gabbiani, come si posavano su appigli in aspettativa di approfittare di quanto era intorno a loro, come si immergevano nell’acqua per adescare un pesce e poi riprendere il volo insieme allo stormo che li aveva condotti lì. Il loro capo conosceva bene tutte le usanze degli abitanti, anche quella di potersi avvicinare alla piazzola dove venivano lasciati residui organici a loro graditi senza essere disturbati.
Era un periodo della vita in cui si poteva gioire di quanto si aveva. Erano momenti sociali di crescita: si cercava di costruire una vita decorosa e felice.
Il lavoro già intrapreso nonostante la giovane età pur richiedendo della responsabilità dava l’opportunità di poter avere dei momenti di libertà in cui ci si poteva spostare di pochi chilometri e raggiungere luoghi dove Madre Natura aveva messo le sue radici.
Ogni momento era idoneo per raggiungere la Costiera ed andare ad affacciarsi principalmente a quel balcone dei sogni, pur essendoci nei paraggi altri luoghi non meno attraenti.
Quel balcone unico nel suo genere aveva ospitato personaggi di livello internazionale, da reali, nobili, personalità politiche e musicali; ancora oggi si verifica questo. Si possono ascoltare concerti di altissimo livello la sera, di giorno visitare i vicoli caratteristici sempre con la regolare visita alla terrazza.
Fermarsi lì a guardare nell’infinito, data l’altezza, si vede solo mare e cielo. Può avvenire al tramonto di vedere il raggio verde là dove solo quel filo sottile all’orizzonte ne fa comprendere dove finisce uno e s’innalza l’altro.
Poi il destino in agguato ha deciso di farmi cambiare di nuovo, ho intrapreso un altro cammino di vita. Ho contribuito a costruire una famiglia, lontana da queste meraviglie.
Il programma era di restare lontani solo alcuni anni, non è andata così. Sono ancora fuori da quelle realtà, mio malgrado con rammarico interiore.
Non mi resta che approfittare ogni volta possibile di ritornarvi e cercare di ritrovare quei momenti, anche se la vita non risparmia nulla dalle gioie e dai dolori. E’ importante avere sempre la speranza di un futuro favorevole.

0 commenti:
Posta un commento