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Buona lettura



Ricordi Scuola 5 - Il progetto







Piccola scuola di località balneare semideserta in inverno
Ottobre 1979
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Quarto anno di insegnamento
Pluriclasse (classi terza e quarta)

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(continua)



Così chiesi spiegazioni alla direzione didattica sul perché le classi non fossero state divise.
Mi risposero semplicemente che...  non era stata fatta la richiesta e che ormai in corso d’anno non era più possibile procedere in questa direzione e, quindi, ottenere lo sdoppiamento!

Rimasi letteralmente senza parole e cominciai a conoscere un mondo per me alieno.
Comunque, con quello che avevo, mi misi all'opera per organizzare il mio lavoro.

Era impossibile non partire dalla situazione di base in cui dovevo operare.
Saltava subito all'occhio che questa pluriclasse era davvero eterogenea.
Oltre che per l’età, gli alunni erano davvero molto diversi tra loro per competenze, cultura, famiglie di provenienza… e soprattutto per le capacità relazionali.

Infatti la scuola era vicina ad un collegio.
Si chiamava “Stella Maris”, nome comune a molti collegi in tutta Italia, come ebbi modo di appurare in seguito.
Questo tipo di struttura ospitava soltanto bambini molto disagiati per carenze personali e soprattutto per situazioni familiari.
Il collegio non aveva scuola interna, ma si avvaleva appunto di quella statale con la quale confinava.

Alcuni di questi alunni erano abulici, altri psicotici, in molti momenti aggressivi fino a picchiarsi e mordersi a sangue!

Nella numerosa pluriclasse, insieme a loro dovevano convivere bambini di famiglie tranquille, come quella della pediatra di Lecco, quella del direttore di una grandissima azienda agricola che pure veniva dal Nord, quella ancora del marittimo di Civitavecchia imbarcato per molta parte dell’anno o quella del pilota acrobatico che guidava le frecce tricolori ed era di stanza ad nel vicino aeroporto.

Cominciai ad organizzarmi per cercare di dare un po’ d’aiuto a tutti, pur in presenza di esigenze così completamente diverse.

Cominciai a proporre attività insolite, che gli alunni non si aspettavano, creando interesse e attese.

Poi ribadii ai genitori, i quali mi chiedevano come aiutare la scuola e gli alunni, che io non avrei potuto fare altro per lo sdoppiamento della classe, in quanto avevo già ottenuto una pronta risposta dal mio superiore e, cioè, che non era più possibile sperare nella concessione di un nuovo insegnante a quel punto dell’anno scolastico. Quindi, il testimone passava a loro che, invece, erano liberi di intraprendere tutte le iniziative che ritenessero più opportune…

L’alleanza con i genitori funzionò alla grande. Sulla “Gazzetta del Mezzogiorno” uscì l’articolo “Nella scuola sgangherata gli scolari si azzuffano”, ci fu un passaggio in una televisione locale o regionale (non ricordo), qualche altra iniziativa… e nel giro di una settimana la classe fu sdoppiata!

A quel punto si presentò la necessità per me di scegliere tra una terza di diciannove o venti alunni e una quarta di dieci. Ci pensai un po’ su.
La quarta presentava certamente meno incognite, sia per il numero di bambini che per problemi individuali specifici, ma come al solito prevalse il mio altruismo.
Così, pensando che fosse più giusto che solo un numero minore di alunni “soffrisse” del cambio d’insegnante, scelsi la classe più numerosa e restai in terza.

Ancora una volta stabilii fortissimi legami con bambini e genitori.

Mi ricordo tanto disegno, molta pittura e manipolazione di materiali come terapia per gli alunni difficili, i quali impararono a rilassarsi e a trascorrere molto tempo in progetti pittorici, che io cercavo di finalizzare nel contesto scolastico per dare un senso al loro lavoro.
Queste attività sedavano le ansie e la loro aggressività.
I momenti di scontro diminuirono.

In particolare ricordo che li guidai nell’allestimento di un ”libro”, un libro enorme grande come tutte le pareti dell’aula, un murale, in cui tutti inserivano i propri lavori di qualsivoglia natura, concorrendo alla costruzione di un “affresco”, partendo dall’indagine giornalistica sulla realtà vicina.
La località balneare in cui vivevamo fu uno degli argomenti principali, quello intorno al quale ruotavano tutti gli altri.

Ricordo molte uscite per fare osservazioni, per scattare foto a supporto dell’inchiesta, per fare interviste.

Facemmo, così, scoperte davvero interessanti in un ambiente che i bambini non si erano mai soffermati ad osservare prima. Forse non lo avevano fatto  neppure i genitori e fu quindi una grande sorpresa emotiva per tutti.

In quella località, abitata prevalentemente dai villeggianti estivi provenienti dalla città vicina, non c’erano fogne, l’acqua piovana si impantanava nelle strade rendendo difficoltoso percorrerle, l’illuminazione era parziale e mal funzionante, i giardini pubblici non erano ben tenuti, le strade non avevano nemmeno un nome ma un numero, tipo "Strada 10 a denominarsi” e tante tante altre cose andavano sistemate come quella scuola sgangherata e certo non accogliente.

Osservammo il negozio-bazar che vendeva di tutto sulla piazzetta principale, intervistammo le persone che lo gestivano (il fratello più grande stava tutto il giorno seduto, mentre le due sorelle sfacchinavano con il pubblico e lo servivano e riverivano!), visitammo la spiaggia con qualche rifiuto di troppo e, tutto questo, sempre tutti insieme: l’unico adulto ero io.

Le colleghe mi guardavano lavorare in questo modo con un po’ di ammirazione e molta meraviglia. Non si preoccupavano degli aspetti legali e della sicurezza, ma del fatto che sarebbe stato troppo faticoso e difficile per loro!

Essendo al tempo maestra unica, insegnavo tutte le materie. Così oltre al grande libro sul muro, alla creatività linguistica, alla poesia e alle arti, alla ricerca e al lavoro di gruppo, introdussi l’uso dei  regoli in matematica.

A Roma avevo seguito un corso molto interessante che mi aveva aperto un nuovo mondo in ambito matematico: l’insiemistica, il multibase, le relazioni logiche, il problem solving…

Come poteva essere bella la matematica se insegnata in modo moderno!

Solo l’anno successivo scoprii che tutta la città parlava con curiosità di quei regoli colorati che la  nuova insegnante della piccola scuola sul mare aveva portato dalla capitale.

Sul piano umano ricordo poi alcuni episodi e alcune persone davvero particolari: il bambino che se si arrabbiava mordeva a sangue i compagni ed era impossibile staccarlo dalla preda, il piccolo Salvatore che dormiva a ore sul banco perché  la notte aveva paura e rimaneva sveglio guardando alla televisione i film horror e che era anche piuttosto confuso tra il padre locale e quello “alla Germania”.
Di Salvatore ricordo l’affetto, ma anche il suo senso di inadeguatezza alla scuola… direi alla vita.

Un giorno, nella scuola senza bidello, senza telefono, senza cancello, lui saltò giù dalla finestra del bagno e se ne andò in giro, fino al mare.
Io fui costretta a lasciare la classe ai colleghi e andare a cercarlo con la mia Volkswagen bianca per le strade sterrate fiancheggiata da villette disabitate, finché misi la madre sulle tracce del fuggiasco, mamma che non si scompose più di tanto perché era abituata anche a casa a quelle fughe liberatorie.

Che dire poi di Pasquale? Un anno o due di troppo, famiglia numerosa, madre piuttosto disinvolta, padre e fratelli con qualche piccolo problema di giustizia. Pasquale aveva anche una sorellina più piccola che frequentava la stessa classe, più dolce e più introversa, ovviamente con problemi di apprendimento.
Lui invece aveva atteggiamenti da bulletto, a volte di rifiuto, ma nel complesso era “abbastanza contenuto”. Gradualmente i due si incuriosirono alla mia persona e (soprattutto lui!) cominciarono a studiarmi e a mandare segnali perché mi interessassi a loro.

Pasquale abitava nei paraggi della mia casa. Inevitabilmente cominciò a venirmi a trovare e a salutare. Così un giorno lo accolsi all’interno dell’abitazione e fui colpita da come l’astuto ragazzino osservasse, valutasse e soppesasse gli oggetti che si vedeva intorno, in particolare lo stereo piuttosto raffinato e costoso.
Capii subito che non potevo fidarmi del tutto di lui e della sua famiglia, per questo con delicatezza cercai di non dargli troppa corda nel gironzolarmi intorno fuori della scuola.

Non molto tempo dopo, uscendo al termine delle lezioni, trovai la mia macchina… con le gomme bucate e i tergicristalli rotti!
Chissà perché pensai subito a Pasquale e al suo giro familiare! Come fare? Dovevo dare una risposta risolutiva a quel comportamento! Così affrontai un fratello già grande che a volte veniva a prenderlo e, prendendola da lontano dissi chiaramente che come qualcuno aveva conoscenze in ambienti sbagliati, anche io avevo le mie negli ambienti giusti per risolvere drasticamente la situazione.
Il ragazzo mi guardò e vidi rispetto nei suoi occhi.

A parte il chiarimento, il mio atteggiamento con loro continuò ad essere sempre di grande disponibilità, di rispetto e di aiuto.
Alla fine dell’anno i due, che erano rientrati nei ranghi,  mi ringraziarono tanto di quanto avevo fatto per loro e mi portarono dei regalini in segno di stima e di affetto. Ricordo una bottiglia di ceramica con del rosolio… carina e molto significativa provenendo da loro.

Ricordo anche un’altra esperienza emotiva molto forte, quella del teatro. Mettemmo in scena una commedia latina di Plauto, “La pentola”, e  “La Minghina”, in cui la Morte, con tanto di falce e parlando in milanese, strappava più di un sorriso.

I riferimenti erano al programma di storia e geografia, ma i due testi colpirono insegnanti e genitori perché non c’era mai stato un collegamento simile prima di allora e nessuno avrebbe pensato di attivarlo.

Alla fine dell’anno si respirava una bel clima di affetto, di interesse e, perché no di benessere, per quanto avevamo costruito in quell’anno scolastico.

I genitori mi manifestarono in tutti i modi la loro simpatia e la loro stima, ma sapevamo tutti che probabilmente l’anno successivo non ci sarei stata a riprendere quel cammino insieme.

In fondo come avevo fatto ad ottenere quei risultati? Eccone un piccolo accenno.

Invitavo gli alunni a scrivere un testo assurdo di fantasia, unendo due elementi normalmente incompatibili, senza perdere di vista una logica di tempo, di causa-effetto, ecc.
Per esempio proponevo di dare vita ad una storia in cui “All’improvviso cominciarono a piovere cani e gatti” oppure “Gina aprì la finestra e... si ritrovò dentro un mare di cioccolata”.
Non vi dico la sorpresa, il gioco, il divertimento che nacquero da questi stimoli, prima nello scrivere, poi nell’ascoltare le storie diverse che erano nate dalla stessa situazione di partenza!

Altre volte proponevo di scrivere in versi liberi le immagini poetiche nascoste nella mente e nel cuore, aiutandoli uno per uno a tirare fuori in un modo comprensibile le idee che via via prendevano corpo sui fogli del quaderno lasciandoli meravigliati e sorpresi.

Che dire poi delle canzoncine nei dialetti delle varie regioni italiane per divertirsi insieme, per pronunciare suoni così diversi da lasciare a bocca aperta, per operare confronti tra quei codici prima sconosciuti?
Io stessa studiai il dialetto locale, imparando molti interessantissimi testi per cantare insieme le “San Micalere”, vivaci tarantelle da accompagnare con il tamburello.



🤔 Riflessioni

🐝 Quali sono stati i punti di forza?

✔  Aver attivato curiosità, interesse e motivazione.
✔  Aver tarato le richieste sulle effettive possibilità di ogni alunno.
✔  Aver elevato ad un rango dignitoso qualsiasi attività (un elaborato pittorico tanto importante quanto un elaborato linguistico).
✔  Aver elaborato un progetto globale che riusciva a interconnettere tutti gli ambiti di apprendimento ed i prodotti ottenuti (v. "Edu-Pillole: Interdisciplinarità").
✔  Aver reso visibile il percorso costruito ed effettuato sul murale, in cui compariva il lavoro di tutti gli alunni, nessuno escluso, ognuno per quello che era in grado di fare.
✔  Aver costruito un gruppo-sistema in grado di autodefinirsi.
✔  Aver convogliato l'aggressività, l'ansia, il senso di inadeguatezza in attività rilassanti, dignitose e produttive.



(continua)












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