Piccola scuola di piccola città sul mare
Ottobre 1980
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Quinto anno di insegnamento
Classe quarta
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L'anno seguente mi ritrovai a tre quattro chilometri di distanza da casa mia e dalla scuola sgangherata. Faceva parte dello stesso circolo didattico.
Chiamarla scuola era un eufemismo.
Si trattava di sei o sette stanzette in affitto, al piano terra di un palazzo privato più o meno malandato.
Naturalmente non c'era telefono, non c'era bidello, niente di niente.
In compenso si facevano i doppi turni.
La quarta che mi era stata assegnata era poco numerosa, solo quattordici alunni.
Questo era davvero una bella cosa... peccato che proprio per questo ci avevano infilato nella stanza più piccola. Piccola? Piccolissima.
Per poter far sedere tutti gli alunni, era necessario accostare i banchi - e la cattedra -uno all'altro, così che, quando gli alunni si erano seduti, era quasi impossibile potersi rialzare e muoversi nell'aula.
Ricordo che i quadernoni mi venivano passati con difficoltà dagli ultimi e, una volta corretti, io glieli lanciavo, cercando di centrare il banco interessato, in un gioco che avevamo adottato per stemperare un po' quella situazione kafkiana.
Naturalmente io partii con un nuovo progetto, articolato e interconnesso, che riprendeva i molti aspetti positivi già sperimentati l'anno precedente.
Qui la situazione della classe era diversa.
Gli alunni erano nel complesso più seguiti dai genitori.
Erano più calmi, semmai lo erano anche troppo e dovevano essere vivacizzati e stimolati a mettersi in gioco.
Così lavorammo moltissimo sulla lingua in ogni suo aspetto.
Infatti passare dal dialetto all'italiano risultava difficilissimo, in quanto la struttura delle frasi nella loro "lingua-madre" era completamente diversa da quella cui dovevano arrivare per scrivere in italiano.
Si trattava di studiare una vera e propria lingua straniera!
Questo li disorientava moltissimo, oltre al fatto che molti di loro avevano seri problemi di logica e, quasi tutti mostravano una decisa povertà lessicale.
Quindi, lavorare sulla lingua e sulla capacità di esprimersi attraverso linguaggi diversi, fu l'obiettivo prioritario che legò tutto il progetto che mi accingevo a realizzare.
Le canzoncine nei dialetti delle varie regioni italiane e in lingue straniere tornarono ancora una volta utilissime per gettare una sferzata di novità che accendesse l'interesse ad osservare le parole, a pronunciare suoni così diversi da lasciare a bocca aperta, a operare confronti tra codici diversi.
Utilizzammo molto il dialetto e la cultura locale, le tarantelle e i ritmi, il canto corale, in particolare il linguaggio poetico e quello grafico-pittorico.
Il linguaggio poetico li appassionò davvero molto e fu commovente osservare la loro gioia quando da un apparente strafalcione senza né capo né coda emergeva un'immagine bella e personale.
Riunimmo tutte queste attività e abilità, costruendo un testo da recitare alla fine dell’anno.
Scegliemmo tematiche molto nuove in quel periodo come la droga, la pubblicità e cose simili, legandole in contesti dialettali relazionali, per esempio, il basso napoletano, la strada milanese e così via.
Per inciso, ricordo che in quegli anni, in quarta, si studiava l'Italia con le sue regioni, le sue città.
Insieme stabilimmo battuta per battuta e come era meglio esporre ciò che volevamo comunicare.
Vi inserimmo anche delle canzoni tradizionali e persino l’Inno alla Gioia di Shiller, dalla Nona di Behetoven.
Inutile dire che fu un successone, ma la cosa eccezionale fu che rappresentammo il nostro lavoro… sì, proprio nella miniaula in cui si faceva lezione!
Ricavai un palco addossando tutti i banchi sulla parete di fondo, dove c’era la finestra, creando un palcoscenico di fortuna. Gli spettatori assistettero in piedi nella parte libera della minuscola stanzetta e nel corridoio davanti alla porta.
Questo per dire che quando si vuole fare una cosa, la si fa, superando tutte le difficoltà che si frappongono alla sua realizzazione.
Tanti furono gli applausi e immensa la gioia dei bambini per quell’insolita esperienza.
A fine anno la classe era diventata un gruppo-sistema che funzionava proprio bene. Gli alunni erano soddisfatti e gratificati, soprattutto molto più sciolti e comunicativi.
Si erano abituati a pensare e a scegliere prima di agire.
Il loro italiano era un po' più corretto.
🤔 Riflessioni
🐝 Quali sono stati i punti di forza?
✔ Aver attivato curiosità, interesse e motivazione.
✔ Aver legato le attività in modo interdisciplinare ("Edu-Pillole: Interdisciplinarità").
✔ Aver realizzato un prodotto finale visibile, in cui identificarsi come gruppo.
✔ Aver ampliato il loro mondo introducendo molto materiale.
✔ Averli iniziati alla conoscenza profonda di se stessi.
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