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lasciatevi coinvolgere per allenare i muscoli
della mente e del cuore

Buona lettura



Lucca Insieme - Panchine rosse: letture - 25.11.2021

 



👠 👠 👠 

 


Siamo di nuovo qui a parlare della

 Violenza sulle donne

È questo un argomento 
che ci vede da sempre
in prima linea a riflettere
su come sia possibile riuscire a cambiare
questa terribile situazione.

Qui di seguito sono riportati
i nostri racconti e le nostre testimonianze
da cui sono state tratte le letture
proposte in occasione della
Giornata Internazionale della Violenza sulle Donne 
a Lucca.
 




Racconti 
in diretta
dalla nostra panchina


📌

Il ceffone

Quando ho iniziato a convivere ero molto giovane. Non sapevo da che parte iniziare in tutto ciò che era cura di casa e cucina. Figlia unica, brava a scuola, ero trattata come un’ospite di rispetto da un padre amorevole e assente e una madre che non amava i compiti casalinghi, preferiva leggere gialli, parlare a lungo al telefono con mio padre e sfornare cibi precotti per me buonissimi.

Una volta abbandonata quella casa, prima l’incoscienza poi la disperazione mi avevano avviluppata facendomi cadere in depressione. Mettere in ordine, pulire, preparare la cena - in definitiva l’unico pasto che condividevo col mio ragazzo – erano incombenze da rifuggire. Di mattina scappavo al lavoro come se solo là potessi trovare l’Eldorado. Invece anche lì c’era una bella discriminazione. Come donna dovevo dimostrare di riuscire a saperne e a lavorare di più di un uomo per essere pagata meno di lui di almeno un terzo. Tuttavia il mio lavoro mi piaceva e mi trattenevo più del dovuto, mentre gli altri se ne approfittavano. In effetti noi donne siamo grate quando facciamo un lavoro che risponde ai nostri gusti: non diamo un valore economico all’entusiasmo e al tempo che mettiamo, a differenza dei maschi che ne fanno un punto di forza per richiedere promozioni.
Dobbiamo ancora imparare molte cose noi donne, ahimé.
Comunque, Riccardo aveva pazientato mesi, poi aveva iniziato a denigrare, giustamente, tutto quello che facevo. Certo non aiutava, anzi la situazione peggiorava. Finché una sera l’ho mandato pesantemente al diavolo e lui ha risposto con un ceffone.
Non gli avevo mai chiesto d’aiutarmi, avevo accettato il compito di donna di casa senza nessuna volontà o preparazione e questo era il risultato.
Quel ceffone era stato determinante per il mio cambiamento: “A questo punto, o la finiamo qui  o costruiamo il nostro rapporto sulla parità.” Quando l’ho detto ho pensato a mia madre, anche lei avrebbe risposto così: risolveva qualsiasi contrasto mettendo davanti la possibilità di scomparire. Ero nello stesso tempo delusa, arrabbiata, ma ancora innamorata di lui.
Siccome era un bravo ragazzo e ci volevamo profondamente bene: “Vada per la prima che hai detto: la parità, e scusami per il mio gesto. Perdonami. Ti amo. Non posso certo giustificarmi di aver perso il controllo nel vedere gli scarafaggi salire dai piatti sporchi nel lavello. Niente giustifica l’uso della violenza. Scusami ancora, potevo lavarli io, sarebbe stata la lezione migliore… Allora? Da dove iniziamo?” rispose.
Era così facile? Perché non ci avevo pensato prima? Perché non gli avevo chiesto aiuto? Era la prima cosa da fare: iniziare insieme. Avevo sbagliato. Ho ringraziato mentalmente mamma. Se col suo esempio non mi aveva insegnato niente sull’andamento domestico, mi aveva convinto però a non tollerare soprusi.
“Bene, Riccardo. Ho temuto per un attimo di averti perso. Allora, iniziamo a dividerci i compiti e a scambiarceli periodicamente. Se tu fai da mangiare, io lavo i piatti. Se tu passi l’aspirapolvere e lo straccio, io spolvero e pulisco il bagno. Ehi, libere critiche ai lavori fatti male: le critiche ti migliorano sempre.”
Stiamo aspettando il nostro primo figlio. Maschio, femmina, che importa, speriamo di averli tutti e due per insegnargli l’uguaglianza. È in famiglia che si costruisce la vera parità. In casa non faremo mai distinzioni di genere, sesso o età: siamo uguali e non ci sono compiti divisi per categorie. (Antonietta)


📌
Eleonora

🔴
È notte. Il giardino comunale è tremendamente deserto e quasi completamente buio.
Un'ombra scivola furtiva sul vialetto, la ghiaia scricchiola sinistramente al suo passaggio.
"C'è qualcosa sotto la siepe... Oh, è un portachiavi. Che ci fa un portachiavi in un punto così... così improbabile?" si domanda la donna stranamente interessata e sorpresa. "Semplice, no?" si dice "Qualcuno lo avrà perso... Eppure non sembra affatto così. Qualcosa in quest'oggetto sorprende, attrae, inquieta. Cosa apriranno mai queste chiavi? Che faccio? Lo lascio lì oppure no? Sento che c'è un forte richiamo che non comprendo pienamente, però... Non so cosa fare... Lo prendo, non lo prendo, lo prendo, non lo prendo...".
Non sa perché sia così titubante, scomparso anche il suo senso civico che direbbe di raccoglierlo e portarlo al più vicino ufficio degli oggetti smarriti o, magari, a quello di polizia, in cui qualcuno potrebbe aver fatto una denuncia di furto.
Un attimo. Si guarda intorno. Non c'è assolutamente nessuno. 
Si china di scatto e in un lampo, ghermisce il portachiavi, che sparisce nella sua tasca.
🔴
Con una sicurezza che non corrisponde alla realtà, Eleonora si affretta ad uscire da quel buio che sempre la inquieta quando rientra a casa la sera.
A quell'ora la città sembra deserta, estranea, nemica... e lei ne ha timore, quasi paura. Si sente completamente fuori posto, come se vivesse in una realtà parallela.
Deglutisce con fatica per superare quel groppo alla gola che l'attanaglia costantemente e si stringe la sciarpa intorno al collo ancora una volta.
Eccola al portone di casa che richiude con fretta eccessiva subito dopo essere scivolata all'interno.
E poi è alla porta del suo appartamento. 
Confusa com'è sta per aprire con le chiavi di quel portachiavi che ha messo meccanicamente in tasca. Se ne accorge in tempo per fortuna. Farebbe troppo rumore e questo non sarebbe un bene. 
Eccola ancora, attenta e silenziosa, percorrere il primo metro del corridoio di quello che dovrebbe essere il suo rifugio sicuro e poi arrestarsi incerta davanti alla cucina. Qui si mostra pian pianino, con grande cautela, un'incertezza che è vera e propria paura.
Anche questa sera l'uomo stravaccato sulla sedia beve vino rosso nel disordine atavico che regna in quei pochi metri quadrati e di quello dei suoi mille annebbiati pensieri che solo lui conosce. 
Un colpo al cuore per lei e le manca il respiro.
Eleonora fa dietrofront, brandisce come un talismano l'insolito portachiavi che ha trovato e fugge con le chiavi che nella corsa tintinnano amiche, in una melodia rassicurante.
🔴
Nel viale alberato dell'elegante quartiere il palazzo reca il numero 235 sul grande portone. La donna infila la chiave più piccola nella toppa ed entra. Si guarda con sicurezza intorno nell'androne molto accogliente, in cui un'imponente vetrata lascia intravedere il grazioso giardino interno ben curato.
Senza por tempo in mezzo punta con decisione verso la scalinata di marmo protetta da un corrimano e da una balconata in plexiglass trasparente. Non degna neppure di uno sguardo l'ascensore che pure è lì, libero, in attesa. Sale agilmente fino al primo piano e svolta nel corridoio di sinistra.
🔴
La foga, l'entusiasmo, in fondo in fondo l'impellente necessità di arrivare, la incalzano talmente tanto che quasi non riesce a godere di questa serena bellezza con cui il magico androne l'ha accolta. Il bianco e la luce che vi regnano hanno appena appena rallentato i battiti del suo cuore e nient'altro.
La porta dell'appartamento ora si è richiusa alle sue spalle senza un cigolio, senza un piccolo rumore. Che pace e che silenzio amico c'è qui!
"Finalmente! Sono riuscita ad arrivare, ma sono stanca, esausta. Ho bisogno di riposare, di poter pensare. I miei pensieri bruciano letteralmente. Hanno chiaramente bisogno di riorganizzarsi... 
Che belle queste note di pianoforte! Sì, è Debussy… La Mer… Oh, mio dio, quanti ricordi! Era il tempo delle mele direbbe qualcuno ed io ero una studentessa di liceo. Al concerto mi ero seduta vicino a… a… a… vicino a lui. È vero, a quel tempo ero un po' rotondetta. Mi illudevo di essere burrosa e morbida, ma a lui non piacevo di certo… in ogni caso almeno non mi bullizzava come gli altri compagni di classe, anzi era molto gentile con me. Io lo sapevo che gli piaceva Jasmine, ma il fatto di sedergli vicino già mi rincuorava. Mi rassicurava il fatto stesso che accettava che in teatro fossi seduta al lato opposto di Jasmine e nel suo sguardo non c'era derisione. La Mer… voglio andare al mare... voglio perdermi tra le onde del mare che cullano e proteggono. Voglio perdermi in queste note. Sento che sono un vero balsamo per me... 
Ora sto già meglio. Avere il tempo di ascoltarle e lasciarsi andare è già un balsamo. Direi che mi sento proprio bene… Uh, sono io quella? Incredibile! Sono quasi bella così sorridente come mi vedo nello specchio dorato che ho davanti… Del resto è da tempo che sono magra e piacevole... in molti si girano a guardarmi quando cammino nella strada. Che voglia ho di ballare in questa luce che mi pervade come una magia! L'esser sola non mi turba più, anzi mi dà una gioia incontenibile… Da sola riesco a ritrovarmi… In fondo io voglio solo vivere e ballare.".
Mentre i pensieri di Eleonora stanno assumendo chiarezza dentro di lei, i suoi piedi si muovono da soli in una palcoscenico da fiaba, da sogno ad occhi aperti, appunto.
🔴 
Il buio torna improvviso. 
La donna si risveglia alla realtà, accovacciata sul pavimento del suo piccolo corridoio senza luce davanti alla cucina, con l'urlo dell'uomo e un labbro sanguinante.
Il copione era scontato, ma questa volta è  tutto diverso. Che cosa è successo? Qualcosa deve essere accaduto dentro di lei. Eleonora non ha più paura, si sente diversa.  Guarda la scena intorno a lei,  con occhio critico, come se fosse quella di un film.
Ora ha una certezza. Sa che in qualche modo ce la farà a ricominciare. 
Avverte una tale sensazione di pace che non percepisce nemmeno più il dolore della ferita che sanguina. Sorride.  Si sente al di sopra di quella scena orribile. È invulnerabile. La sua mente ora ha chiarezza e serenità. Sa cosa farà.
Eleonora si alza lentamente in tutta la sua altezza, con calma si liscia la gonna, fa un passo deciso verso l'uomo che sembra sorpreso. Con determinazione guarda l'uomo negli occhi finché, lui non li abbassa. Non l'avrebbe mai creduto!
Sorride e se ne va per sempre, stringendo quel magico portachiavi tra le mani. (Vanina)



📌

Al lavoro 

Mettiamola così: sono straniera, sono donna, sono madre, sono laureata. E adesso chiedetemi se mai sono stata discriminata sul lavoro. Mai? Sempre!
Mi hanno detto di tutto e fatto di tutto. Anche le mie colleghe. 
Di che ti lamenti? Hai un lavoro che hai tolto a un’italiana. Mi dicono. Pensare che mi hanno licenziata senza pagarmi quanto mi dovevano. Ehi, che maniere! Questo dicono i colleghi maschi quando rispondo per le rime ai loro pesanti apprezzamenti, o agli inviti, anche se puntualizzo che sono sposata e madre. Essere straniera in Italia, dico in Italia perché qui sono arrivata direttamente dal mio paese, è quasi un dramma. Vieni accettata solo se fai pena o sei molto benestante. (Antonietta)
 


 
📌


Samia


Mi chiamo Samia, ho quarant’anni e sono nata in un piccolo paesino del Congo. 
A tredici anni sono stata promessa sposa, da mio padre, ad un alto borghese locale in cambio di un appezzamento di terreno per mio fratello minore. L’unico maschio della famiglia.
Mio marito mi ha preso con violenza dalla prima notte di nozze, non ho mai ricevuto una carezza o un gesto d’affetto da parte sua. Non sono riuscita a dargli un erede così mi ha cacciata via come uno straccio vecchio. Tra mille peripezie sono riuscita ad arrivare in Italia da donna libera, almeno così credevo... invece sono schiava. Sono schiava dei lavori mal pagati che devo fare per riuscire a mangiare decentemente tutti i giorni e per darne ai miei due figli. Mi divido tra pulire i gabinetti di un autogrill e fare assistenza ad un’anziana con demenza. 
Nei giorni in cui lavoro in autogrill ne vedo e ne sento di tutti i colori. Più cerco di lasciare pulito e profumato e più la massa lascia sporco, come se ci fosse solo uno lurida negra a pulire i loro escrementi di fuori dai sanitari e non un essere umano. È così che mi sento vista dalla orda di gente che entra...  sente solo il mio odore di sudore e null’altro. Posso impegnarmi quanto voglio, ma non sarò mai alla loro altezza. Entrano anche dei bigotti che si sentono tanto caritatevoli a lasciarmi una mancia di pochi centesimi pensando che ci farò un pranzo succulento alla domenica, invece alla ragazza rumena solo perché è bianca lasciano molto di più. Questa a casa mia si chiama discriminazione. 
L’unico momento in cui mi sento apprezzata è quando accudisco la mia anziana che mi guarda con occhi dolci e mi vede, pur persa nella sua nebbia, una persona con dei sentimenti e quando abbraccio i miei figli. 
L’unico scopo della mia vita è farli crescere onesti e farli diventare degli uomini con dei valori. Non come gli uomini che hanno fatto parte della mia vita, a partire da mio padre e dal loro padre, che mi hanno solo sfruttata. Vorrei che diventassero degli uomini che rispettassero tutte le donne, indipendentemente dal colore e dall’età. Devo annettere, che con tanti sacrifici, ci sto riuscendo! È questo quello che mi ripaga di tutti i miei sacrifici. (Monica)



📌
In diretta dalla nostra panchina

Testimonianze di esperienze 
reali e certe, 
emerse durante un interessantissimo dibattito.

Punto di partenza: 
ricerchiamo episodi 
che abbiamo visto intorno a noi, 
di cui siamo certe,
durante la nostra vita.

Scriviamone 
nello stile 
che preferiamo.

Soprusi, prevaricazioni, 
aggressioni piccole e grandi, 
allora come ora, 
testimoniano 
che questa panchina rossa 
va curata giorno per giorno, 
perché il costume si evolva davvero
in modo morbido, 
ma veramente efficace.


👠

Era il 1972. Avevo diciassette anni e  andai a lavorare a Chianciano Terme per la stagione estiva.
Ero una ragazzina. Mi sarebbe piaciuto fare le classiche vacanze estive da giugno a settembre del tempo della scuola, ma volevo guadagnare qualche soldino per comprarmi un bel giaccone per l'inverno.
Cominciai a lavorare in cucina come aiuto al cuoco e alla lavastoviglie durante i pasti. La mattina alle colazioni, poi alle camere, poi alla lavanderia...  tanto lavoro, ma mi piaceva, stavo bene con il personale in genere nonostante le mancate vacanze estive.
Il cuoco però mi faceva paura, perchè aveva uno strano atteggiamento verso di me, sempre troppo vicino alla mia persona.
E, infatti, non mi sbagliavo. Un giorno  cercò di approfittare di me attirandomi nella cella frigo.
Riuscii a scappare e non dissi nulla a nessuno, anche se la paura mi faceva compagnia.
Io dormivo all'ultimo piano, nella soffitta adibita ad alloggio per il personale.
Quando ero in camera per il giorno libero, quasi non respiravo, affinchè non si accorgesse che ero lì, da sola. Ricordo che accanto alla porta c'era un vecchio armadio con un grande specchio davanti e spesso mi sembrava che riflettesse l'immagine di qualcuno dietro la porta che fra l'altro non chiudeva bene.
La signora proprietaria dell'albergo mi pagò qualcosa di più della normale paga sindacale, settantacinquemila lire piuttosto che sessantamila e venne addirittura al mio paese a parlare con mia madre per farmi tornare a lavorare d lei.
Non dissi mai nulla, ma non ci tornai.



👠

Si chiamava Annamaria, veniva dal sud,  era tanto bella, dolce, socievole,  era un'artista.  Amava la musica, era anche una cantante.  Si era integrata subito in questa piccola città, poco più di un villaggio, anche se poi si estendeva molto come provincia. Aveva due figli, di cui uno della stessa età di Tommy mio nipote, proprio in classe con lui alle scuole elementari.
Ci incontravamo nel pomeriggio, alle sedici e trenta dato il tempo pieno vigente in quel plesso scolastico, per circa due orette. Mentre i bimbi giocavano noi nonne e mamme ci scambiavamo opinioni e facevamo programmi. Tra questi avere uno spazio al coperto, all'interno del quale poter svolgere delle varie attività di creatività per tutti i bambini che lo avessero voluto. Ci siamo interessate presso le istituzioni, per avere un locale adatto alle nostre prospettive. 
Nell'attesa di una risposta, una mattina abbiamo ricevuto la notizia incredibile, dolorosa di questa giovane donna, mamma... era stata massacrata a morte, da quell'infame borioso pieno di gelosie del marito, mentre il piccolo compagno di Tommy era scuola in classe. con lui.
Non gli è stata data subito la notizia, naturalmente. Amiche molto vicine alla poveretta si sono occupate dei bambini e del resto, in attesa che arrivassero gli assistenti sociali e i parenti, alcuni già residenti in comuni vicini.
Dal giorno successivo l'accaduto, il piccolo non è più ritornato in classe, non solo. Non abbiamo saputo più niente di come erano stati sistemati i bambini. 
Noi conoscenti dell'ambiente scolastico siamo riamsti per molto tempo scossi. 
Nello stesso anno altre due donne sono finite così. Se n'è avuta notizia solo in città, nessun telegiornale nazionale ne ha parlato. Strano...



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Quando penso ad una panchina rossa ho impressa negli occhi la mamma di quella donna bruciata davanti all'ospedale dal suo uomo. Noi de "La Panchina" eravamo andate in piazza Anfiteatro per partecipare all'inaugurazione della panchina rossa in memoria di 'Vania". Eravamo tutte commosse e non riuscivamo a consolare la madre  di quella povera ragazza, pensando alle sofferenze che aveva avuto per essere stata trasformata in torcia umana da un uomo al quale prima aveva rivolto tutto il suo amore. Povera Vania, che era bella e giovane! Che orrore fare una triste fine per avere voluto bene ad un uomo così brutale e violento!



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Sono le cinque meno un quarto quando squilla il telefono. 
Uno, due, tre, quattro... oggi non rispondo. Mamma e papà sono appena usciti per andare in ospedale dalla mia sorellina, non può essere nessuno che ha bisogno o vuole chiacchierare a quest’ora. Perché continui a suonare... dai, smetti! 
Uno, due, tre, quattro...
Allora rispondo, altrimenti rischio di far svegliare tutto il condominio: “Pronto, pronto... chi parla?”. Ed eccoli quei sospiri insistenti, affannosi, fastidiosi... gli stessi. Basta, riattacco. Torno a letto, ma sono sicura che non riuscirò a prendere sonno. 
È da quando i miei genitori escono a quest’ora che ricevo questo tipo di telefonate. Mia mamma, per paura, mi chiude a chiave in casa, ma se lui vuole farmi del male ci riesce lo stesso. Nella mia giovane età non ho mai vissuto un’esperienza così inquietante, ho paura. Quando ha detto papà che dimettono la mia sorellina?



👠

Elda, donna libera, colta, emancipata e all'avanguardia per quegli anni '40.  La sua patente portava il numero tre della provincia in cui abitava. Se da una parte era una donna decisa e con una volontà di ferro, la religiosità la rendeva umile e arrendevole verso il prossimo.
Decise, raggiunta una certa età, di sposare un uomo anche lui solo, pensionato.
Non sapeva, povera Elda, dell'errore che avrebbe fatto sposando l'uomo che avrebbe dovuto farle compagnia negli ultimi anni della sua vita.
Donna molto riflessiva pensò che i maltrattamenti verbali che fu costretta a subire, fossero una cosa normale  in  quei tempi e li accettò fino alla morte, senza lamentarsi o ribellarsi. 



👠

In una radura al limitare del bosco nel quale ci eravamo beati di verde e di libertà, scorgo un cespuglio con steli eretti e candidi fiori freschi. Il bambino che faceca parte del gruppo prende una canna e inizia a percuotere con forza e piacere evidente il cespuglio. Io cerco di fermarlo rischiando una bastonata, ma è troppo tardi: gli steli sono ormai stesi al suolo e lo spettacolo è desolante. Il padre del bimbo non lo riprende, ma dice a me che sono esagerata, 'sono soltanto fiori'. 
Rimango incredula di tanta superficialità e lo considero un atto di violenza non solo verso i poveri fiori, ma anche verso la mia sensibilità. Se non si insegna ai propri figli l'amore ed il rispetto iniziando dalle piccole innocenti cose, per la natura e per ogni essere vivente, vuol dire che non si possiede neanche verso le piu grandi e le violenze piccole e grandi continuano ad essere perpetuate ed accettate. L'uomo non è il padrone del mondo, ma il suo custode.



👠

Era d'estate ed era notte fonda. Non riuscivo proprio a dormire, cosa strana.
Nella mia cameretta di giovanissima ragazza, sento rumori scomposti, voci concitate e poi secco, violento, brutale, uno schiaffo che rimbomba nella notte.
Mi avvicino alla finestra e sbircio tra le stecche della serranda.
Due persone. Un uomo e una donna litigano o, meglio, lui bracca lei, l'aggredisce con violenza. Lei terrorizzata lo blandisce, tenta di difendersi senza convinzione.
Sento il cuore in gola,  le palpitazioni disordinate, il senso di impotenza in lotta con quello del dovere. Devo intervenire. Come?
Una finestra si apre da qualche parte. 
Nella strada che si allunga lontano nei campi, però, non c'è già più nessuno.



👠

Chi non ha subito abusi o molestie? Non credo che ci sia alcuno così fortunato. Anche io. 
Avevo dieci anni quando sono stata molestata da un vecchio, vicino di casa. 
Ancora lo ricordo come fosse oggi. 
Questo vicino mi chiama facendomi entrare in casa. Io, curiosa per la mia età, vado da lui. Prima mi fa i complimenti, poi mi offre caramelle, poi inizia a dire se voglio giocare con lui. Poi… mi prende la mano e la porta… lì. 
Io mi spavento e la ritiro, ma lui insiste e io sempre più spaventata corro verso casa. 
Sto male per non poterlo raccontare a nessuno. Oltretutto mi sento anche sporca, però i miei continuano a spingermi ad andare a trovare questa persona, perché è vecchio e i vecchi si rispettano. Io sono molto timida, chiusa… e non so reagire. Non so proprio cosa fare. Così questa cosa va avanti per un bel po'. 
Finalmente mi ribello. Racconto in casa di quell’uomo che è cattivo, anche con la moglie, perché la picchia. 
Quell'uomo aveva tre figli maschi. Meno male? Non so. Comunque, quando sono cresciuti, non lo hanno più voluto vedere e lo hanno messo in un ricovero. 
Lui, però, fuggiva e veniva da mio padre a dire che lui era fortunato ad essere accudito dai noi figli. I suoi, invece, non lo volevano più vedere. 
Io, tra me e me, mi dicevo che era giusto così e mi sentivo sollevata e in qualche modo ripagata.
Penso che ora il mondo sia un po' cambiato. Si può parlare sia con i familiari che con qualche associazione, ma c'è ancora molta indecisione nello smascherare i responsabili di tanto dolore. Infatti, che dire delle donne maltrattate che accettano sempre l'ultimo appuntamento di chiarimento? Non sanno che invece quello, spesso, è un appuntamento con la morte. 
Possibile che l'uomo sia rimasto ancora all'età della pietra? 
Per contro, anche la donna si deve svegliare e non si deve fidare. Al primo abuso o schiaffo, denunci! 
Speriamo nella nuova generazione. 



👠

È qualche giorno che pensavo di rendere nota la mia esperienza, ma il solo ripensare al passato fa male, tanto male, non solo per quello che ho subito, ma soprattutto per non aver saputo ribellarmi da subito a situazioni che di normale non avevano niente. Oggi ho deciso che è giunto momento. 
Non posso paragonare la mia vicenda personale a quella di tante donne, io sono stata "fortunata" in confronto a tante altre, ma ho passato periodi davvero difficili nel corso degli anni del mio matrimonio. Ero in viaggio di nozze quando sono arrivate le prime umiliazioni e, purtroppo, il primo schiaffo. 
Ricordo in particolare lo sconforto di scoprire che chi amavo con tutta me stessa faceva di tutto per umiliarmi anche in presenza di amici... 
Per anni non sono stata padrona di comprarmi un paio di calze senza giustificare la spesa, ma quello che ha angosciato il mio cuore per molto tempo è stato il non poter soddisfare i piccoli desideri dei miei ragazzi, dalla focaccia con il prosciutto o una semplice banana a merenda ad un quaderno particolare per la scuola. Sempre, per non avere discussioni che immancabilmente degeneravano in atti di violenza (allora non li consideravo tali, quasi fossero la normale conseguenza della mia ribellione ai soprusi), cercavo di soddisfare i loro desideri ricorrendo ai miei familiari. 
Tutto questo finché i ragazzi erano piccoli. Non riuscivo a capire che la persona sbagliata non ero io, giustificavo ogni sua cattiveria, ogni sua violenza, pensando che con il mio atteggiamento di ribellione ai suoi soprusi lo avevo esasperato. Nei momenti più critici mi sono rivolta ad un avvocato, ma sempre mi sono tirata indietro per paura che lui mi togliesse i ragazzi (ero ben consapevole della cattiveria sua e di sua madre). 
Arrivano però momenti in cui ti rendi conto che non stai rovinando solo la tua vita ma soprattutto quella dei figli ed allora prendi decisioni drastiche e definitive, pur sapendo che la scelta di una separazione sarà difficile per tutto quello che dovrai affrontare e che dovranno affrontare i tuoi figli. I due più grandi mi hanno dato, in quel momento, la forza di cambiare vita;  la più piccola, che aveva 8 anni, era in crisi ma le sono bastate poche settimane per capire.
L'iter della separazione è stato lunghissimo ed estenuante anche perché non è stato possibile fare una consensuale, ed una separazione per colpa, così ho dovuto procedere, è sempre drammatica. Sono stati unidici anni difficili ma ho sempre avuto al mio fianco i miei tre figli, i miei genitori e le mie sorelle che mi sono stati vicini.
Sono passati ventinove anni da quando presi quella decisione, mai me ne sono pentita, ed ora sono una persona serena. Ciò non toglie che spesso riaffiorino alla mente ricordi dolorosi uniti alla rabbia di non essermi ribellata subito.
Oggi dico che ogni forma di violenza fisica deve subito essere denunciata... più subdole e dolorose sono le violenze psicologiche, i ricatti, i rimproveri, le umiliazioni che spesso, specialmente nei decenni passati, accettavamo, perché le donne "dovevano" rispettare ed onorare l'uomo, che fosse padre oppure marito.



👠

Non mi è facile parlare di questo fatto accaduto tanti anni fa. 
L’avevo rimosso. 
Mi è ritornato alla mente parlando con le mie amiche in occasione della giornata contro la violenza delle donne. 
Ero una ragazza di 16 anni, avevo un problema di salute che mi sta accompagnando tutt’ora alla tiroide, non stavo bene e quindi anche il mio profitto a scuola era calato.
I miei genitori oltre a cercare di farmi curare, ma allora medicinali validi non ce n’erano, pensarono fosse opportuno che io prendessi delle lezioni di matematica, per evitare di trovarmi alla fine dell’anno scolastico con una insufficienza in quella materia. 
Iniziai a prendere ripetizioni da un insegnante che nella mia città era ritenuto molto valido. Alla terza o quarta lezione, non ricordo, lui lasciò la scrivania dove stava seduto di fronte a me e mi disse: "Torno subito”. Io nell’attesa mi misi a fare qualche esercizio dal libro per avvantaggiarmi. Solo dopo diverso tempo, mi resi conto che il professore mancava da un bel po', ma rimasi sempre in attesa. Dopo un po’ mi sentii chiamare da lui. Non capivo da dove venisse la voce, perché non conoscevo l’appartamento. 
Alle sue sollecitazioni mi alzai per cercare di raggiungerlo e quando arrivai davanti al bagno me lo trovai davanti, in piedi sulla vasca... completamente nudo.
Rimasi inebetita, bloccata per un po’ di tempo, mentre lui mi invitava ad avvicinarmi, poi con uno scatto tornai nello studio, raccolsi libri e quaderni e me ne andai velocissima per raggiungere la mia bicicletta.
Angosciata, pedalando, pensavo se dovessi dirlo ai miei genitori o dovessi tacere la cosa. Quello che era certo era che non sarei più tornata in quella casa. Ma come fare per non spiegare per quale motivo non volevo più andare a lezione da lui? Se mio padre avesse saputo ciò che era accaduto, sicuramente sarebbe andato da lui con il rischio di mettersi nei guai perché lo avrebbe picchiato. Ci pensai un po’, poi a tavola iniziai un discorso che mi fece apparire saggia nei confronti dei miei genitori. Dissi: “A me dispiace molto farvi spendere inutilmente denaro con quel professore di matematica, ma siccome non riesco a capire ciò che mi spiega avrei deciso che non ci vado più a ripetizione da lui”.  
Così salvai me stessa e anche mio padre da qualcosa di veramente spiacevole.  





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