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Consigli per la lettura delle pagine
: 8

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lasciatevi coinvolgere per allenare i muscoli
della mente e del cuore

Buona lettura



Racconto - Gabriella













📚 1.

Adesso mi trucco un pochino. Metterò almeno il mascara. Non posso guardarmi così. Sono semplicemente orrenda. Grigia e rugosa e spenta. 
Gabriella parlava a se stessa ad alta voce, come se si aspettasse una risposta da quella donna che la guardava senza espressione dallo specchio. 
Cercò nel cassetto, poi in una piccola trousse. Finalmente lo trovò. Sfilò il pennellino e cominciò a passarselo senza convinzione sulle ciglia. Erano diventate bianche e i suoi occhi senza contorni vagavano in un modo che non riconosceva. 

Era appena morto suo padre e il mondo era crollato intorno a lei. Che tragedia! Erano rimasti da soli troppo troppo presto. Non erano preparati. Adesso, tutto sarebbe stato diverso. Lei aveva appena finito il liceo e le necessità economiche impellenti avevano fatto sfumare nel nulla qualsiasi progetto universitario. Era stato necessario trovare un lavoro. 
Sentì una stretta al cuore. La prematura scomparsa del padre ancora le faceva tanto male come allora. 

Prese una velina e cercò di pulire il mascara finito sulla pelle. 
Basta! Gabriella lasciò lì il mascara e si diresse in cucina. Attraversando l'ampio soggiorno, scorse una ciotolina piena di cioccolatini, ne afferrò uno al volo. 
Ieri deve essere venuto a trovarmi qualcuno, ma io proprio non me lo ricordo. Dina sarà passata senz'altro, ma lei non mi porta cioccolatini. Dice che mi fanno male. Dunque, chi era? Accidenti, come si può vivere così? Ah, Forse l'ho scritto sull'agenda… sì, ho un agenda per annotare le cose che faccio… ma dove l'ho lasciata? Beh, lasciamo perdere. 
Gabriella tornò in camera da letto. Cominciò a spazzolarsi i capelli. Eccola là, sul comodino l'agenda! Che doveva fare? Ah, vedere chi era venuto ieri. Aprì l'agenda, cercò la pagina… niente non c'era scritto proprio niente. Aveva dimenticato di annotarlo? Non si ricordava di scrivere il diario quasi mai. 



📚2.

“Pronto? Pronto, Gabriella? Ciao. Sono Marina… È un po' che non ci sentiamo… Come stai? Ti ricordi di me?”.
“Ciaaaao! Certo che mi ricordo di te! Sono contenta di sentirti!".
"Sai? Anche se non riesco mai a trovare il momento per chiamarti, ti penso spesso! Sei una delle poche persone buone e sincere che abbia mai conosciuto e che abbia considerato vere amiche.”.
“Anche per me è la stessa cosa…”.

La voce di Gabriella si era rasserenata. Le era di nuovo tornato il sorriso e il pensiero delle lunghe chiacchierate fatte con l'amica, la riportavano ad atmosfere giovani e frizzanti.
Quello era stato il lavoro, quello che aveva interrotto i suoi sogni sul nascere, ma che alla fine si era rilevato un incontro con tante persone che l'avevano distratta.
Lei. Lei era stata la collega che l'aveva accolta nella sua stanza, le scrivanie una di fronte all'altra, intere giornate a fronteggiarsi e inevitabilmente a parlare di tutto. Per non dire di quando intrattenevano i colleghi di tutte le età, che andavano a scambiare quattro chiacchiere con loro. Sorrise. Inevitabilmente la collega faceva scivolare le parole leggere in discussioni serie, che alla fine si rivelavano molto molto più interessanti delle solite stupidaggini che normalmente si dicono nella pausa caffè.

La telefonata andò avanti per quasi un'ora e Gabriella si sentì ancora una volta adeguata e speranzosa.
Quando riattaccò, però, fu come se una forte luce si fosse spenta. Una melassa informe e grigia la ghermì nuovamente.
“Dunque che devo fare? Che giorno è oggi? Proprio non me lo ricordo. Ah, ecco il calendario. Le crocette arrivano fin qui, dovrebbe essere lunedì… ma avrò già messo quella per oggi? Forse no, mi pare di no, ma non ne sono tanto sicura.”.

In quel momento una chiave girò nella toppa.
Gina entrò con la busta della spesa e un mezzo sorriso.
Mentre lei cominciava a mettere in ordine la casa, Gabriella se ne tornò in camera sua.
Prima si spazzolò i capelli. Poi prese l'agenda e scrisse “Mi ha telefonato Marina".

“E adesso? Adesso cosa faccio? Avrei voglia di prendere la macchina e andarmene un po' in giro… da sola… libera. Impossibile… inutile, non è proprio possibile. Gina non lo permetterebbe mai… io stessa non sono sicura che sarebbe una buona idea. Qui, però, mi sento soffocare. Vorrei tanto telefonare a Guglielmo… quasi quasi lo chiamo… meglio di no, ormai mi risponde sempre distratto e scocciato… del resto ha la sua vita e non vuole perdere più tempo con me… è pure vero che è lui che si occupa ancora della mia salute...“.

Due lacrimoni le salirono agli occhi, ma non voleva piangere.
Allora Gabriella afferrò il libro sul comodino con una certa veemenza e si mise alla ricerca della pagina giusta.
Non si era ancora seduta.



📚 3.

Cos'era stata la sua vita e, soprattutto, cosa era diventata!
Si erano conosciuti sui banchi del liceo.
Lei, piccolina, lineamenti marcati e trucco elaborato, tacchi altissimi sotto i pantaloni fatti apposta per nasconderli. Lui, un bel pezzo di ragazzo, un metro e novanta e un sorriso accattivante.
Lei dolce e tenera, protettiva e sorridente. Lui, deciso e diligente, proiettato verso il futuro, un futuro di riscatto anche sociale.
L'amore era nato gioioso, pieno di fiducia e speranza e eternità, come accade sempre quando si è molto giovani.

“Una granita di caffè con panna anche per me. Grazie.”.
“Io… Io vorrei una banana split.”.
Il ponentino soffiava dolce sui tavoli all'aperto e sui muri antichi della città. A un passo dal Pantheon il gruppo di amici sprizzava una vivacità incontenibile.
Lei sorridente lo guardava adorante. Lui con serafica calma srotolava parole all'ascolto.
Era stato quello il tempo delle granite di caffè. Andavano molto di moda, come andarle a mangiare proprio lì, in quel bar del centro, famoso per il suo caffè.
Lui si impegnava all'università. Lei aveva già cominciato a lavorare e stava cercando di superare tutti quei cambiamenti che la morte del padre aveva portato con sé.

Gabriella non riusciva più a prestare attenzione al suo libro.
I pensieri roventi vagavano come sempre, senza posa, nel lontano passato.
Rivedeva con chiarezza e rinnovata emozione tutti quei passaggi che avevano costruito la sua vita.
Non riusciva a darsi pace di come ricordasse tutto così bene di quanto avvenuto allora, tutti i particolari e persino tutte le sfumature, mentre non ricordava assolutamente più nulla, tabula rasa, di chi era venuto il giorno prima e le aveva portato… le… lo… le caramelle? No… Cosa c'era in quel vassoietto? Boh! Meglio non insistere e lasciar perdere. Le faceva male la testa a pensar troppo.
In realtà, lo sapeva benissimo il perché non riusciva a ricordare e doveva pur farsene una ragione. Non c'era nient'altro da fare. Ormai era questa la situazione reale e non poteva che accettarla, volente o nolente. Non c'era alcuna possibilità di scelta.
Era inerme e impotente. Ma era davvero troppo duro vivere così!

E adesso era sopraggiunto un altro problema per lei. Questo sì che era sempre lì presente. Non se lo dimenticava. Chissà perché!? Non ci poteva pensare. Le faceva troppo male.
Avrebbe dovuto lasciare quella grande casa in cui viveva da tanti tanti anni e che conteneva tutta la sua vita. Dove sarebbe andata? Come avrebbe fatto da sola?

Gina bussò alla porta. Doveva riordinare quella stanza.
Automaticamente, senza proferire parola, Gabriella se ne allontanò. Riattraversò il soggiorno. Immediatamente la ciotolina di ceramica raku colpì la sua attenzione.
“Dunque erano cioccolatini… ma chi me li ha portati?”.



📚 4.

“Splendido… allora lo prendiamo.” disse lui senza nemmeno averli seguiti nella visita in tutte le stanze.
Era giunto, a sorpresa. Non era prevista la sua presenza.
Una parte di sé se ne sentiva rassicurata come ogni volta in cui c'era lui, l'altra percepiva invece che voleva farle pressione. E, infatti, eccolo lì che voleva concludere.

“No, è meglio cercare ancora… io qui non ci posso stare. Voglio vedere qualcos'altro. Questo appartamento e troppo piccolino. Io mi ci sento soffocare.” commentò lei in evidente agitazione “E non c'è il posto adatto per una eventuale badante…”.
“È già troppo tempo che giriamo a vuoto. Questo appartamento va benissimo. Devi deciderti, ormai, perché io ho la mia vita a cui pensare. Tu rimandi e rimandi, ma adesso dobbiamo prendere un decisione definitiva.”.

Gabriella è smarrita, sconvolta. Questa cosa è decisamente più grande di lei. Un'immagine del passato torna improvvisa e le stringe il cuore. Rivede l'architetto che suggerisce di allargare ulteriormente il già ampio soggiorno, evidenziandolo come fosse su un palcoscenico.
Com’era venuto armonioso! Era bastato alzarlo di soli tre scalini per dargli un'importanza davvero insospettata.

Lui se ne è già andato.
Gina, che l'ha accompagnata, la prende sottobraccio.
Insieme si riavviano verso casa.



Che stanchezza!
Uscire le dà il capogiro. Non ci è più abituata.
Malgrado i tanti esercizi l'occhio più compromesso non fa grandi progressi.
Sì, è già tanto che si renda ancora conto di essere viva e che in qualche modo riesca a mettere insieme i pezzi di se stessa, ma vivere così è davvero dura.
Quando ha cominciato a non vederci più, mai avrebbe pensato che gli eventi precipitassero in quel modo. A dire la verità, qualche volta un pensierino lo aveva avuto… non per niente aveva già dovuto risolvere un piccolo problema neoplastico, ma tutto poi era precipitato così in fretta che le cose erano andate da sole.
Un meningioma, benigno sì, ma ramificato sull'occhio.
Un intervento delicato e l'individuazione di danni nell'area preposta alla memoria recente.
Così adesso aveva chiarissimo il suo passato, ma c'era la possibilità di non ritrovare la strada di casa se fosse uscita da sola. Questo la spaventava oltremodo. Si sentiva troppo confusa. Per non parlare delle difficoltà che incontrava nella vita quotidiana, quando girava a vuoto per casa non ricordando nemmeno più cosa stesse cercando.

Di nuovo quella ciotolina raku piena di cioccolatini. Chi glieli aveva portati?
Inutile, non se lo ricordava e non voleva chiederlo a Gina per la centesima volta.
Ne afferrò uno al volo e andò a togliersi l'abito scomodo che aveva indossato per quell'inutile uscita che non l’aveva portata avanti di un solo centimetro. Anzi.
Si girò di nuovo verso la ciotolina. Ora non era più colma come la ricordava.
Forse non era stato il giorno prima... ma era più tempo che quel qualcuno le aveva portato quei cioccolatini.



📚 5.

Finalmente questi esercizi di ortottica sono finiti.
Fa sempre una grande fatica a portarli fino in fondo. Non sa quanto riuscirà ad andare avanti così, senza cedere alla voglia di piantare tutto.
Ci vuole una tisana rilassante.
Gabriella versa l’acqua bollente e vi immerge il solito filtro. Ormai anche quella tisana non la soddisfa più: è insipida e gli effetti sono quasi invisibili.
Comincia a sorseggiarla, ma la tazza fa fatica a svuotarsi.

Aveva quasi subito lasciato il lavoro. Era forse stato uno sbaglio? Col senno di poi probabilmente sì, ma lei voleva fare la mamma.
Ci si era dedicata anima e corpo. Era stato molto gratificante abbracciare un corpicino tenero e caldo, fare giochi infantili, sorridere tutto il giorno con l'innocenza di occhi bambini.
Il tempo si era srotolato velocemente. Non se ne era quasi accorta, sempre immersa com’era nel suo ruolo di angelo del focolare. Aveva sempre qualcosa da fare, qualcosa da attendere, qualcosa di cui preoccuparsi.
Adesso c'era l'adolescenza in agguato e la sua famiglia di origine sempre a fronteggiare un problema.
Lui. Lui era lanciato nella sua luminosa carriera, sempre in viaggio per qualche meeting o qualche intervista televisiva. Era un padre affettuoso e, anche se impegnato, le dava una grande sicurezza.
Certo, avevano pochissimo tempo per loro. Si vedevano a malapena.
Ci fu un momento in cui lui le aveva proposto anche di partecipare al suo lavoro. Avrebbe potuto occuparsi della segreteria e dell'amministrazione del suo studio privato, così sarebbero stati maggiormente insieme. Lei, però, aveva declinato l'invito, perché il ruolo di mamma richiedeva ancora un impegno totale.
Quanto sembrava lontano quel periodo adesso!
Eppure ricordava ogni particolare, ogni emozione, ogni dubbio che aveva sperimentato per continuare a restarsene lì, a fare la moglie e la madre.
Un po' di shopping, l'estetista, la palestra, l'incontro periodico con le amiche e poi, con l'aiuto della domestica ad ore, tenere in ordine quella bellissima casa che le piaceva tantissimo.

Come poteva andare avanti ora senza di lui e confusa al punto da non poter ricordare ciò che era avvenuto due ore prima?
Gabriella ha un moto di nervosismo. Si accorge che la tisana è quasi finita. Non si è nemmeno resa conto di averla bevuta.
Cerca di posare la tazza sul tavolinetto che ha davanti.
Dopo aver sbagliato la mira e rischiato di farla cadere, riesce a depositarla sul cristallo che suona paurosamente.
Gina questa mattina sembra essere in ritardo. Verrà? Mio dio, come potrebbe restare sola tutta la giornata?
Un'ansia fortissima la coglie al solo pensiero. Si alza e comincia a camminare nervosamente nella stanza. Sembra una lupa in gabbia. Il respiro sempre più corto.
Lui. Telefonerà a lui. Ha paura…
Telefonerà a lui. Che altro potrebbe fare? Si sente soffocare…

La chiave gira nella toppa. Gina finalmente è arrivata.
Gabriella è spossata. Si lascia andare sul divano. È seria. Non il minimo accenno di sorriso.
Rimane lì, rigida, per un bel po', mentre Gina spignatta in cucina.     
  

📚 6.

Anche questa volta non se ne era fatto niente. Stava diventando tutto davvero troppo pesante, insopportabile.
Gabriella finiva con il far girare ogni cosa intorno a sé, anche se apparentemente poteva sembrare tutto il contrario.

Al liceo era stato bello innamorarsi. C'era la freschezza fisica e intellettuale dell'età, il sentire comune, l'allegria del gioco e dello scherzo.
Poi impercettibilmente tutto si era trasformato. Avevano cominciato a doversi confrontare con la malattia, il dolore, la morte.
Il primo grosso scossone arrivò quando Gabriella aveva dovuto abbandonare gli studi e mettersi a lavorare.
Lui aveva continuato tenacemente a fare un esame dietro l'altro. Non poteva perdere tempo. La sua famiglia non era troppo agiata.
Quanti ragazzi, frizzi e lazzi giravano intorno a quelle impegnative lezioni! E lei non c'era.

Poi il matrimonio, la maternità, per lei. Il suo lavoro impegnativo, per lui.
L'esperienza di essere padre lo aveva intrigato, il gestire la famiglia impegnato a realizzare profittì.
Ma quante donne intorno, quante colleghe disposte a tutto!
Non era sempre stato facile resistere e, poi, perché? Si sentiva solo. Voleva tornare ad essere il centro del mondo. Essere corteggiato gli apriva un mondo di sensazioni indescrivibili.
Così c'era stata l'avvenente segretaria e il precipizio verso la separazione, che però non aveva portato a nulla di concreto nel suo animo.
La segretaria era rimasta un episodio del passato. Avventure... sì, ce ne erano state altre, ma lui voleva rimanere lì, in famiglia, comunque.

Gabriella era troppo sensibile e troppo forte era il suo senso del dovere. Inconsciamente, metteva in atto una sorta di ricatto morale che teneva prigionieri. Alla fine dei conti le sue mille attenzioni avevano gratificato il suo bisogno di carezze materne, ma il tempo non aveva lavorato a favore.
Le tentazioni erano tante e le cure materne erano sempre venute prima di quelle per lui. Almeno per come la vedeva lui. Lei, infatti, asseriva il contrario.

Pian pianino, si era invischiato in una palude di sentimenti che non era stato facile districare… che ancora non aveva districato del tutto!
Adesso, però, si doveva trovare la quadra del cerchio. Era indispensabile che Gabriella in qualche modo gli consentisse di provare a riorganizzare la sua vita.
Lasciare la casa coniugale era diventato urgentissimo, anche per i costi altissimi di gestione che lui doveva sostenere. E doveva farlo subito.
Del resto un appartamento così grande per una sola persona era davvero un'esagerazione e lui aveva necessità di acquistarne un altro in cui ritrovare se stesso con Angelica. Basta capricci. Doveva fare come diceva lui e lei li sapeva benissimo.

Si sentiva furibondo, mentre entrava in macchina.
Partì a razzo.
Doveva scaricare tutta la tensione che gli era scoppiata dentro come al solito.
Aveva pensato con la sua presenza di poterla spingere nella decisione da prendere. Invece Gabriella si era di nuovo chiusa a riccio, ancora una volta era andata nel panico e non se ne era fatto di niente.

Sapeva che per lei non era facile e capiva anche che passare da uno spazio ampio ad un appartamentino così ristretto era per lei come infilare la testa in un sacco chiuso.
Sapeva benissimo che lo smarrimento che l’aveva colta dopo l'intervento, era qualcosa di davvero devastante da gestire.
Non poteva fare a meno di sentire il dovere di continuare a proteggerla, di aiutarla. Sentiva che da sola il suo vagare sarebbe stato ancora più intenso e forse fatale.

Accantonò questo pensiero.
No, doveva essere più deciso. Non doveva farsi incastrare di nuovo.
Era necessario provare a vivere un’alternativa, se non voleva smarrire la strada anche lui… e Angelica era giovane e bella.     




📚 7.

“Mamma, è meglio che non esci da sola! Cerca di capire. Non è prudente…”.
“Capire, capire … Cosa dovrei capire? Io non ne posso più di dipendere da qualcuno. Mi sento impazzire. Ho bisogno di ritornare a fare qualcosa. La nonna mi chiama in continuazione. Devo andare da lei… ha bisogno di me e non posso aspettare che qualcuno sia libero di accompagnarmi. Tu questo lo capisci?”.
“Cerca di essere ragionevole. È meglio aspettare ancora un po'. Il tuo occhio non è del tutto a posto, rischieresti di inciampare.”.
“Di' la verità… hai paura che mi perda e non ricordi come tornare a casa.”.
“Ma che dici! Sai che le tue funzioni logiche e di ragionamento non sono state toccate, quindi, perché dovrei pensare questo?”.
“Sì, sì... perché è logico, appunto. Del resto anche io lo penso. Spesso ho paura di questa memoria ingarbugliata che avvolge tutto quello che faccio, però… però devo cambiare qualcosa, se non voglio impazzire. In realtà mi sento tranquilla soltanto quando ci sei tu. Anche quando c'è tuo padre. Quando c'è. Lui si dice disposto ad aiutarmi, ma poi non è mai reperibile quando mi serve. Al telefono trovo sempre la segretaria o la segreteria telefonica, quindi… ”.
“Dai, vestiti, mamma. Andiamo a trovare la nonna. Le ho detto che questo pomeriggio saremmo andate. Sai che, se non ci vede abbastanza di frequente, comincia a preoccuparsi e diventa nervosa. La badante mi ha già telefonato questa mattina. Fatti bella, eh!”.

“Cucciola, dove sei? Dai, vieni a vestirti. Ti ho preparato la gonnina blu con la camicetta a righe.”.
“Subito, mammina. Finisco di dare la pappa alla mia bambola. Ha molta fame e non posso lasciarla a digiuno.”.
“Dai, sbrigati, è già tardi! Poi rientra il papà e io devo preparare la cena. Dobbiamo essere a casa prestino.”.
“Ecco, ha quasi finito tutto. È proprio brava la mia bambola. Non fa mai i capricci. Dove andiamo, mammina? Mi porti alle giostre?”.
“Andiamo a trovare la nonna. Ti ha fatto la torta di mele e c'è anche la zia. Magari, se non è tardi, al ritorno possiamo passare anche alle giostre. Se però continui a tergiversare, non faremo certamente in tempo. Su, vieni a vestirti.".
Invogliata dall'idea delle giostre, la piccolina lasciò finalmente la bambola e corse da lei. Lei come al solito l'abbracciò stretta stretta e le dette il rituale bacino sul naso.

Sentiva ancora intatti la tenerezza e il calore degli scambi che aveva avuto con lei da piccola. Per fortuna nemmeno quell'ultimo mostro che aveva dovuto affrontare aveva cancellato il benessere che quei ricordi lontani riuscivano a darle.
Gustava ancora nelle narici l'odore del borotalco e vedeva la luce pomeridiana, che entrava nella cameretta e le illuminava, mentre spazzolava e spazzolava i suoi lunghi capelli biondi, prima di fermarli in una coda con un bel fiocco.

Involontariamente sorrise.
Le era stato tolto quasi tutto, ma almeno poteva rivivere quei bei momenti della sua vita.
In quel periodo idilliaco non immaginava, neppure lontanamente, che qualcosa avrebbe potuto turbare il meraviglioso equilibrio che stava assaporando, un equilibrio tutto proiettato in avanti, in un radioso futuro di benessere familiare ed economico. Avvertiva costantemente la paura della malattia, quella sì, della perdita, del dolore, che purtroppo aveva sperimentato, ma ad altro non aveva mai pensato.
Quando fortuitamente aveva scoperto che lui aveva una relazione con la sua segretaria già da tempo, era rimasta attonita e troppo incredula.
In seguito aveva riso della sua ingenuità, ma ormai era fatta. Tutto era miseramente finito nella polvere.

Scosse la testa, per ricacciare indietro quei pensieri. Di quelli poteva fare anche a meno. Più facile a dirlo che a farlo.
Colse la sua immagine nello specchio. Insomma, aveva nascosto le occhiaie abbastanza bene.
Mise un filo di rossetto incolore.
Era pronta.   




📚 8.

Era tornata la primavera.
Gabriella continuava a lottare con il suo occhio che non voleva lavorare bene più di tanto e con la sua memoria vicina che non aveva alcuna intenzione di rieducarsi e fissarsi da qualche parte nel suo cervello.
Faceva diligentemente gli esercizi per l'uno e per l'altra, ma aveva capito che ne sarebbe rimasta prigioniera se non avesse rinunciato a vivere solo quella vita di attesa per qualcosa che probabilmente non sarebbe mai giunto.
Aveva compreso di dare troppa corda alla malattia che voleva farla soccombere e che nessuno poteva aiutarla, solo lei avrebbe potuto farlo. Doveva assolutamente fare qualcosa.
Già, solo lei avrebbe potuto migliorare la propria vita. Lo aveva ripetuto mille volte anni addietro, quando operava in un centro di volontariato e frequentava tanti ragazzi, poteva dire perduti? Sorrise.
Le erano tornati in mente i ragazzi perduti di Peter Pan.
Peter Pan. Si, doveva fare proprio come lui. Anche lei aveva perso la sua ombra e l'aveva perduta da troppo tempo. Doveva ricongiungersi ad essa prima di subito e doveva farlo da sola. Non aveva alcuna Wendy ad aiutarla.
Da qualche giorno le sembrava di avere le idee un pochino più chiare, non certamente grazie alla memoria, ma alle sue capacità di ragionamento che per fortuna erano rimaste intatte.
Sentiva l'urgenza di attivarsi, di fare qualcosa, qualcosa che la facesse sentire ancora utile e viva. Non importava quanto sarebbe vissuta ancora, se magari nelle sue meningi la bestia si stesse ancora diramando. Era importante vivere in modo dignitoso quel tempo presente in cui fino ad ora aveva vegetato.
Le vennero in mente, come fosse stata lì in quel momento, le reiterate discussioni filosofiche del passato, quelle che animavano le pause caffè con la sua collega seduta alla scrivania di fronte a formare un unico tavolo.
Per una frazione di secondi rivide i numerosi colleghi che si univano interessati alle frequenti chiacchierate che sorgevano semplici e spontanee, ma che ben presto prendevano, invece, una piega molto seria. Gli occhi onesti dell'uno, il sorriso trascinante dell'altro, il timido interloquire dell'ultimo arrivato, le battute didascaliche e inamovibili dell'altro ancora. Qualcuno di questi era già morto, ma le parole che erano volate in quella stanza le aleggiavano ancora intorno.
Quello era il tempo in cui si dissertava sui massimi sistemi, sull'esistenza e sull'essere, sul significato e fine ultimo della vita, appunto. Molti aspetti erano stati sviscerati e, in fondo, le avevano aperto un percorso autoeducativo che non era stato niente male.
Sì, a prescindere da qualsiasi cosa, allora come ora, era il presente quello contava. Doveva ritornare a viverlo davvero.
Adesso sapeva cosa poteva e doveva fare.
Gina l'avrebbe accompagnata e sarebbe venuta a riprenderla, così tutti sarebbero stati contenti e lei non si sarebbe persa.


Ecco. Era di nuovo lì.
Che magnifica sensazione! Felicità pura... e paura insieme.
Una grande carica emotiva le salì al volto.
Si sentiva viva e piena di nuove  aspettative positive.
Si alzò dalla scrivania, aprì la porta e invitò la ragazza che attendeva ad entrare.

Il profumo della gioventù la travolse, passandole accanto.
Una ragazza perduta? Quale problema aveva quella delicata biondina dal sorriso dolce e dallo sguardo sincero? Ora li avrebbe capito.
Per fortuna non aveva dimenticato come approcciare ed aiutare il prossimo in difficoltà. Per troppo tempo aveva soltanto scordato come fare ad aiutare se stessa, ma finalmente lo aveva capito.
Visto che ancora era viva doveva essere all'altezza della vita. Doveva vivere realmente ed incidere comunque sul mondo.

La ragazza adesso si mostrava più serena.
Avanzò con piglio sicuro verso la porta ed uscì.
Gabriella tirò un bel respiro e sorrise a se stessa.
Che sensazione wow! Era fiera di essere riuscita a ritrovarsi. Era stata brava con quella ragazza.
Lei. Gabriella, era servita di nuovo a qualcosa.
Malgrado tutte le sue limitazioni poteva ancora esprimersi.

Prese la borsa con un'energia dimenticata e si preparò a lasciare lo studio dell'associazione di volontariato.
Gina la stava aspettando nel parcheggio.
Pochi giorni dopo firmò il contratto per la sua nuova casetta, un appartamentino in zona dalle dimensioni adeguate, con un piccolo balcone in cui avrebbe coltivato le sue piantine aromatiche.         




📚  📚   📚
Fine







3 commenti:

  1. Quando tutto sembra ritorcersi contro noi stesse, è quasi inevitabile che la paura e la voglia di abbandonarsi agli eventi della vita ci travolgano. Quando ti sembra di essere in un vicolo cieco, basta la voce di un'amica o il
    ricordo di ciò che sei stata a farti ritrovare la volontà di essere di nuovo te stessa.
    Un racconto reale, che mi ha fatto riflettere in qualche modo sulla mia vita. Ci sono momenti in cui sarebbe più facile lasciarsi andare agli eventi che combattere per ritrovare il piacere di star bene. Brava Gabriella che ha saputo ritrovarsi!

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    Risposte
    1. Tutto vero quello che dici. Gabriella si ispira ad una situazione reale che mi ha molto colpito, che comprendo e sento nel mio profondo. La vita, però, vince sempre ed una luce di speranza va sempre riaccesa anche quando un soffio di vento vorrebbe gettarti nel buio.
      Grazie delle tue parole. ❤

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    2. Penso che sia veramente angosciante se riesci anche a rendertene conto e non puoi fare niente. ❤

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