Powered by Blogger.



Consigli per la lettura delle pagine
: 8

Il blog parte con i post periodici con cui
lanciamo spunti e ci teniamo in contatto.

Sotto seguono una serie di pagine
(link) divise per argomento.

Clicca sulla pagina desiderata.

L'elenco è lungo, la voglia di scrivere è tanta,
lasciatevi coinvolgere per allenare i muscoli
della mente e del cuore

Buona lettura



Insieme - Creiamo una fiaba? 3








Anche se fino a questo momento pochi di voi si sono cimentati nel creare una fiaba insieme, io ci riprovo fiduciosa.

Dunque cominciamo a dare inizio ad un'altra bella fiaba, non solo per i nostri bambini, ma anche e soprattutto per noi!
Infatti, sono sempre più convinta che le fiabe, lungi dall'essere sciocche,  siano un toccasana per tutti e sappiano ben allenare i muscoli della mente e del cuore. 



🐦🐥🐦🐥🐦🐥🐦🐥🐦🐥🐦🐥


C'era una volta...

C'era una volta un paesino piccino piccino, così piccino che forse non era neppure un vero paese.
Infatti, addossate ad una parete rocciosa, si abbarbicavano non più di tre o quattro casette dai tetti spioventi, circondate verso l'esterno da piccoli orticelli piuttosto striminziti. 
Intorno ad una stretta zona pianeggiante sul fondovalle, si ergevano innumerevoli colline e collinette di tutte le misure, protette all'esterno da vere e proprie montagne.

Dalle piccole finestre delle poche case, si godeva un paesaggio magnifico.
Sembrava di essere sospesi nel cielo, affacciati ad un delizioso balcone cui giungevano gli aromi delle erbe selvatiche e i colori dei fiori che sbocciavano in primavera. 
La neve disegnava poi trine di ghiaccio e la sua bellezza faceva dimenticare il freddo intenso che l'inverno portava con sé.
In verità la corona di monti che aveva intorno proteggeva il paesino dai venti terribili che si sentivano ululare in lontanza. 


🐦🐥🐦🐥🐦🐥🐦🐥🐦🐥🐦🐥



Chi mi aiuta a continuare?
Dai, buttatevi!
Lo troverete divertente!



17 commenti:

  1. Umbertino, seduto al tavolinetto sotto la finestra della cucina, sfogliava e risfogliava il libro che aveva davanti.
    Glielo aveva portato proprio quel giorno la sorella più grande di ritorno da scuola.
    Infatti, era grazie a lei che lui colorava la sua solitudine, perdendosi in mille avventure.
    La solitudine era inevitabile in quel paesino sperduto, arroccato com’era su uno sperone di roccia isolato da tutto e da tutti.
    Così, avendo poco altro da fare, trascorreva molto del suo tempo libero a leggere.
    Aveva preso questa abitudine appena finita la prima elementare, quando Ginetta gli aveva regalato il primo libro di fiabe.
    All’inizio gliele leggeva lei ed era bellissimo ascoltare la sua voce espressiva che gli faceva vivere la storia come se anche lui fosse realmente presente sulla scena.
    Seduti davanti al grande camino nell’inverno freddo e buio, senza fine, le parole scorrevano lente e gli scendevano dentro raggrumando emozioni importanti, oltremodo coinvolgenti.
    Ancora adesso, senza motivo apparente e quando meno se lo aspettava, gli tornava alla mente la chiusa di molte di quelle fiabe.
    Ogni volta lui si lasciava andare a declamare quei semplici versi con un piacere che lo intrigava.
    Ne usciva sempre allegro e rassicurato.
    Per questo lo si poteva trovare spesso a muovere ritmicamente le labbra mentre si ripeteva quelle poche parole in rima nella testa.
    Le ripeteva come un mantra e mai se ne sentiva stanco:
    “Spera di sole, spera di sole
    Sarai un principe se dio vuole.”
    “Larga la foglia, stretta la via
    Dite la vostra che ho detto la mia”

    Anche adesso, sfogliando quel libro nuovo, saltando con curiosità da un’illustrazione all’altra, andava canticchiando:
    “Spera di sole, Spera di sole…"
    "E chi ti attacca
    Quei ti sciolga.”

    RispondiElimina
  2. In quel momento era molto colpito soprattutto dalle immagini, poco più che disegni, che scorrevano sotto i suoi occhi.
    Si trattava di figure e di paesaggi appena schizzati a matita, ma colorati con tonalità tenui ad acquerello che davano loro un fascino romantico e per lui molto misterioso.
    L’uccellino, piccolissimo ma con le piume arancio del petto piene di aria, guardava con interesse il cespuglio di roselline sul quale un bruchetto impreveditente si stava arrampicando.
    Il grigio del terreno intorno sfumava nell’avorio della pagina come acqua che scivola sul vetro fino a morire.
    Pensò che gli sarebbe piaciuto avere per sé un uccellino come quello.
    Gli avrebbe fatto compagnia.
    In cantina aveva una gabbietta di legno che aveva costruito suo zio tempo prima quando era ragazzo.
    Sarebbe stata una bella casetta da cui poterlo ammirare da vicino… ma non era semplice catturarne uno.
    Fino a quel momento aveva visto solo uccellini abbattuti dal fucile, impallinati, uccellini che ritrovava puntualmente nel sugo della polenta.
    E a lui la polenta non piaceva proprio!
    Voltò pensieroso la pagina e poi un’altra e un’altra ancora.
    I disegni erano forse finiti?
    No, c’è n’erano ancora uno.
    Mostrava una scena di campagna, non molto dissimile da quelle che a volte gli capitava di vedere nella realtà.
    Una vecchietta, con il fazzoletto in testa che le arrivava quasi agli occhi, si sorreggeva ad un bastone e cercava di raggiungere una povera casa in lontananza.
    Accanto a lei, una bambina graziosa, con il vestito a fiorellini, le dava la mano e cercava di aiutarla, mentre un cagnolino spelacchiato scodinzolava nelle vicinanze.
    Altre parole in rima presero immediatamente la rincorsa nella sua mente e sulle sue labbra…
    “Andavan sul prato nonno e nipotino.
    Il nonno è vecchio, il bimbo piccolino.”
    Mentre era tutto preso da queste sue considerazioni, si accorse che la sera si avvicinava a grandi passi e che il tempo era molto cambiato.
    Nuvoloni neri si addensavano sulle montagne.
    Ogni tanto qualche lampo squarciava l’orizzonte in lontananza.

    RispondiElimina
  3. Un ennesimo squarcio di luce si abbatté violentemente tra le cime scure che incombevano sullo sperone di roccia al quale era aggrappata la sua casa.
    Umbertino alzò distrattamente lo sguardo dal libro sul quale lo teneva puntato.
    Non amava affatto lasciare il mondo delle fiabe mentre ci gironzolava dentro incantato!
    Tuttavia questa volta i suoi sensi furono immediatamente richiamati alla realtà.
    Un movimento insolito e lento proveniente dal basso era entrato nel suo campo visivo, mentre una massa scura e bitorzoluta andava prendendo vita.
    Stupefatto e anche un po’ spaventato, si sollevò dalla sedia su cui era seduto e si allungò verso il vetro della finestra per vedere meglio cosa stesse accadendo davanti ai suoi occhi.
    Fece prima a tornare indietro terrorizzato che a gettare uno sguardo fuori.
    Ciò che aveva intravisto non gli era piaciuto per niente…
    Qualcosa di mostruoso ostruiva ora quasi del tutto la piccola finestra.
    Nel tetro temporale che si stava avvicinando, anzi che già si stava scaricando in quel piccolo angolo di mondo, un essere inimmaginabile era lì davanti a lui.
    Il suo cuoricino batteva così forte che il ritmo convulso si sentiva rimbalzare contro il camino in cui il fuoco stava quasi per esalare l’ultimo respiro.
    In un attimo percepì di essere irrimediabilmente solo in casa e che lì fuori, nella tempesta, stava accadendo qualcosa che poteva essere molto molto pericoloso.

    RispondiElimina
  4. Non fece in tempo a proseguire il suo pensiero perché fu immediatamente distratto da un brusco movimento che cancellò per un attimo la pioggia battente.
    Il mostro in movimento, infatti, si era bruscamente allontanato dalla sua finestra, rivelando una realtà affatto diversa da quella che lui aveva immaginato.
    La massa informe e bitorzoluta aveva dispiegato delle ali possenti e si era sollevato in volo.
    La testa regale, il becco adunco un vero e proprio rostro, lo sguardo mobile ed intelligentissimo, le zampe dai lunghi artigli strumenti di vita e di morte, una specie inesistente sulla terra, un mostro mitologico, forse un ippogrifo che si era perso nel tempo.
    Umbertino non credeva ai propri occhi… poi lo riconobbe.
    La paura era ora del tutto scomparsa.
    Che fortuna! Era riuscito ad incontrare un essere meraviglioso che aveva visto recentemente in un’illustrazione e che lo aveva affascinato!
    Adesso ne percepiva pienamente anche i colori, tenui sì, ma gradevolissimi su quella massa di muscoli, di penne e di piume, di scaglie.
    Il volto disteso in un largo sorriso, gli occhi infiammati dall’interesse e dal piacere, Umbertino aprì la finestra e saltò in groppa a quell’essere fantastico che gli porgeva cortesemente un’ala a mo’ di provvidenziale passerella.
    Si abbarbicò immediatamente in un punto comodo, mentre si accorgeva che lì le penne non erano più spesse e dure.
    Anzi, nascosto vicino al collo, c‘era un piumino peloso e morbido, un piccolo comodo cuscino sul quale affondò, sistemandosi per benino.
    Si sentiva pieno di energie, in perfetta sintonia con quell’ippogrifo, come se fosse stato in sua compagnia da sempre, mentre tutto avveniva in una frazione di secondo e partiva con lui chissà per dove.

    RispondiElimina
  5. Quasi prima che Umbertino finisse di riprendere il respiro dopo l’arrampicata, il pennuto aveva puntato il becco verso l’alto e aveva attraversato in un battibaleno l’enorme massa aggrovigliata di nere nubi che incombevano sui monti intorno al piccolo paese.
    Non un briciolo di paura turbava Umbertino, così preso com’era ad ammirare il sereno e le mille stelle verso le quali sembravano dirigersi.
    Aveva ammirato spesso cieli stellati dalla finestra di casa sua, ma mai gli erano apparsi tanto vellutati, tanto morbidi, tanto lucidi come quelli che andavano prendendo forma intorno a loro.
    Le stelle, alcune davvero enormi, palpitavano alla grande protendendosi verso di loro.
    Sembravano volerli ammaliare con quei giochi di luce che si frammentavano in miriadi di fantastici bagliori per ricomporsi subito dopo in altre lingue accecanti in movimento.
    Era chiaro il gioco delle stelle.
    Li chiamavano piene di promesse.
    Volevano irretirli come le sirene avevano fatto con Ulisse.
    E infatti lui non riusciva a pensare più a niente.
    Avvertiva solo una grande beatitudine ed il desiderio di avvicinarsi sempre più per vedere meglio.
    Voleva fondersi con quella luce che gli parlava senza parole e non desiderava perdere neppure un secondo di più.
    Fu proprio in quel momento che l’essere ippogrifo fece una poderosa virata, accelerando la corsa verso l’infinito.
    Umbertino si sentì spostare fortemente all’indietro e la sensazione di essere sbalzato via lo fece tornare immediatamente attento al suo corpo e a quello che stava avvenendo.
    Per una frazione infinitesima di tempo rischiò di essere catapultato nel vuoto e lasciato da solo nel velluto nero della notte infinita.
    Non che avesse paura.
    Si sentiva felice e quasi onnipotente, come se fosse normale e possibile muoversi in quello spazio sconosciuto e proibito semplicemente così, con i suoi mezzi di ragazzino e la sua volontà.
    Tuttavia un moto istintivo lo indusse ad afferrare con tutta la sua forza e il suo impegno le piume del collo della sua cavalcatura, anzi salì ancora un pochino più su e agguantò una penna robusta alla quale si aggrappò e sotto la quale si riparò per essere maggiormente protetto.
    Intanto l’ippogrifo si avvicinava ad incredibile velocità ad una stella che diventava di conseguenza sempre più grande, sempre più luminosa, sempre più agitata, sempre più… infuocata.
    Il caldo divenne via via sempre più intenso, sempre più insopportabile.
    Umbertino era ormai rosso paonazzo, ma non se ne accorgeva affatto, tutto preso com’era a guardare quello spettacolo così avvincente che impediva completamente di pensare.
    Nel frattempo, l’ippogrifo imperterrito continuava la sua corsa pazza di avvicinamento a quella stella-sirena.
    Sembrava sapere benissimo dove stesse andando.
    Umbertino ebbe l’impressione che stessero entrando finalmente in tutto quel fuoco (altro che la legna del suo pur grande camino!), in quel magma ribollente dalle mille sfumature che semplicemente incantava.
    Si accingeva a godersi quell’esperienza affascinante, quando l’ippogrifo cambiò di nuovo direzione, prestando l’ala destra alla furia del fuoco.
    Una enorme potente vampata si alzò nel buio impenetrabile in cui l’ippogrifo si era rituffato senza esutazioni.
    Umbertino pensò per un attimo di aver raggiunto la stella e di essere entrato... nel suo fuoco ribollente.

    RispondiElimina
  6. Avvertiva con piacere il caldo rovente come se lo avesse dentro di sé.
    La luce era fortissima e vibrante.
    Ne coglieva lo spessore avvolgente e il suono che vibrando produceva.
    Non pensava minimamente che potesse nuocergli.
    L’unica cosa che desiderava era andare oltre, sempre più avanti, verso il principio di tutto, verso il mistero che lo chiamava ineluttabilmente.
    Gli occhi spalancati sul fuoco, tutto rosso come un tramonto d’estate, Umbertino si avvide all’ultimo momento che l’ippogrifo si era allontanato dalle fiamme danzanti della stella.
    In realtà, il fuoco in cui era ancora immerso era quello delle penne e delle piume dell’ala che al contatto con la massa incandescente si era incendiata e che ancora bruciava.
    A ben guardare bruciava in modo strano.
    Bruciava e bruciava ma senza deteriorarsi.
    Mentre si guardava intorno perplesso, si ritrovò a sbattere il mento contro il collo pennuto a cui era abbarbicato.
    L’ippogrifo, infatti, senza che lui se ne accorgesse, era ammarato violentemente da qualche parte, chissà dove.
    Era impossibile comprenderlo.
    Apparentemente erano sprofondati in un lago di fanghiglia densa, verde, poco rassicurante.
    Ad Umbertino, per un attimo, tornò in mente la palude incantata in cui un sortilegio aveva trasformato il principe in rospo e che gli aveva fatto rivoltare lo stomaco per lo schifo e la paura.
    Tornato perfettamente in sé, si accorse che l’ippogrifo si era fermato di botto e, cessato ogni fremito, aveva chiuso completamente gli occhi.
    Sembrava sonnecchiare come stremato.
    Nello stesso momento l’incendio delle penne sull’ala si era spento repentinamente.
    Umbertino fu preso dal freddo e cominciò a tremare convulsamente.
    Si guardava intorno per capire dove fosse finito.
    La fanghiglia si estendeva a perdita d’occhio.
    Sebbene molto fredda ribolliva, ondeggiando quasi ritmicamente.
    Sopra il lago, ma non troppo in alto, s’intrecciavano disordinatamente schegge di ghiaccio grigio di tutte le misure.
    Formavano una specie di cielo alla rovescia.
    Sì, perché non si capiva proprio dove fosse l’alto e dove fosse il basso.
    Anzi.
    Umbertino si sentiva penzolare nel vuoto e quasi quasi gli veniva da vomitare.
    La testa ora gli girava come una trottola.
    Intorno non un essere vivente, non un movimento, non un alito di vento.
    Quel fastidioso ronzio che avvertiva doveva essere nella sua testa, perché infatti era da dentro di sé che lo sentiva arrivare.
    Il ronzio cresceva e cresceva.
    La fanghiglia bolliva e ondeggiava.
    L’ippogrifo dormiva e russava.
    Le schegge di ghiaccio si intrecciavano.
    Tremante e pieno di brividi, Umbertino si vide perduto.

    RispondiElimina
  7. Sempre più gelato e infreddolito, Umbertino non riusciva più nemmeno a pensare.
    Stava quasi per perdere del tutto la coscienza, quando con un movimento improvviso e sconcertante l’ippogrifo riaprì gli occhi, emise una specie di boato che doveva essere uno sbadiglio e, con inaudita potenza, cominciò a riattivare ogni parte del suo mastodontico corpo.
    Tutto quel movimento spaventò a morte il ragazzino mezzo svenuto.
    Tornò così prontamente alla realtà, pensando immediatamente che tutto quel frastuono non presagisse nulla di buono.
    Con il cuore che batteva all’impazzata, si raddrizzò con fatica, afferrandosi alle penne più robuste del collo dell’ippogrifo.
    Non fu impresa facile, perché questa volta, la fanghiglia rendeva la presa difficoltosa per non dire quasi impossibile.
    Tuttavia, sarà stato per la disperazione di cadere in quella schifosa poliglia, in qualche modo riuscì ad aggrapparsi, proprio mentre l’ippogrifo schizzando fango da tutte le parti si sollevava in volo ad una velocità supersonica.
    Umbertino si sentì mancare il respiro.
    Cercava di non pensare e di concentrarsi. Cercava di conservare una posizione giusta per non essere sbalzato nel vuoto.
    Quella lotta impari gli sembrò faticosissima, anche se in realtà non era durata che pochi secondi.
    Avvertiva vagamente che qualcosa stava cambiando, ma non riusciva a capire cosa.
    Intanto il buio si era diluito un po’ e si ricominciavano a scorgere le mille stelle che bruciavano in lontananza.
    Il luogo in cui erano diretti questa volta non era però una stella, ma qualcosa di più opaco che dalle stelle prendeva luce.
    Umbertino pensò ad un pianeta freddo e sperò anche per un attimo che fosse la Terra, ma non vedeva un corrispondente del Sole né tanto meno qualcosa che somigliasse alla Luna.
    I pensieri gli scorrevano nella mente così velocemente che non riusciva a trattenerli.
    Fu proprio in quel momento che realizzò che entrambi, ippogrifo e lui stesso, erano adesso completamente asciutti.
    I suoi abiti sembravano essere stati lavati e stirati come la mamma glieli faceva indossare la domenica, mentre l’ippogrifo, tirato a lucido, mostrava piume, penne, scaglie e artigli così brillanti che avevano cambiato addirittura colore. Mostravano una tavolozza di sfumature che nulla avevano a che fare con quelli con cui l'ippogrifo gli era apparso davanti alla finestra di casa sua.
    Incredibile da credere, gli artigli erano rosso corallo, un rosso corallo così vivace da essere visti da molte miglia di distanza.
    In tutta questa confusione, Umbertino si avvide che erano giunti in prossimità di un punto di atterraggio. Sembrava una vera e propria strada, ma molto molto più larga, larghissima, che puntava all’infinito dove si perdeva.
    L’ippogrifo mise in movimento i piedi accelerando sempre più, allargò in parte le enormi ali, tese il collo e con lui Umbertino, preparandosi all’atterraggio, cosa che avvenne di lì a breve, con ulteriori terribili sobbalzi e scuotimenti per il tapino abbarbicato alle sue penne.
    Percorse la strada per un bel po’ di tempo, finché non giunsero in una piazzola dove, con qualche difficoltà, finalmente si arrestò.
    Tutto intorpidito, Umbertino non osò lasciare la presa sicura.
    Riuscì, però, a guardarsi intorno.
    La luce era aumentata, ma non era una luce simile a quella di cui lui aveva esperienza.
    Una brezza colorata di violetto si muoveva rendendosi sempre più visibile e corposa.
    Davanti a loro penzolava una scala, una spaventosa grandissima scala a pioli, che si perdeva quasi subito in un impenetrabile cielo violetto.

    RispondiElimina
  8. Più impaurito che incuriosito, Umbertino alzò gli occhi in alto con non poca difficoltà.
    Cercava di capire dove portasse quella incongrua e terribile scala, ma inutilmente.
    Più la fissava più una paura incomprensibile e crescente gli cresceva dentro e lo attanagliava.
    Infatti, quei pioli irregolari si muovevano in modo stranissimo, o meglio, apparivano e scomparivano, si componevano in un modo e poi in un altro, si arrotolavano rapidamente su se stessi per srotolarsi di nuovo con inaudita violenza.
    Dopo un breve momento di sosta, che a Umbertino parve invece senza fine, l’ippogrifo operò un mezzo giro su stesso, proprio nel momento in cui la scala era di nuovo a portata di mano.
    Il ragazzino la sentiva penzolare dietro la schiena.
    Non voleva certo che potesse toccarlo, anche solo sfiorarlo.
    Sì irrigidì, bloccandosi immediatamente, ma non riuscì neppure a voltarsi per controllare ciò che stava avvenendo, perché l’ippogrifo si era mosso nuovamente.
    Infatti, il bestione aveva puntato il becco potente a sfiorare il suolo dell’insolita piazzola e aveva diretto l’enorme coda verso quell’impenetrabile cielo violetto in cui si perdeva la scala a pioli.
    Così Umbertino si era trovato a testa in giù, con lo stomaco che gli era arrivato in gola.
    Tutto si svolse davvero rapidamente.
    L’ippogrifo agganciò i suoi potentissimi artigli al primo piolo e cominciò a risalire all’indietro quella scala in movimento.
    Scalava con cautela quello strano attrezzo, apparentemente disturbato dalla turbolenza dei pioli che, pur se sotto il suo peso si erano fatti abbastanza visibili e ordinati, continuavano a vibrare e ad ondeggiare come mai.
    Umbertino cercava di non perdere la presa e stringeva così forte le penne del collo dell’ippogrifo tra le dita che le unghie gli si erano conficcate nel palmo della mano.
    Preso com’era a sopravvivere nella brezza violetta che si condensava sempre di più, non sentiva nemmeno il dolore di quelle ferite, mentre il sangue sgorgava copioso.
    Non si accorgeva neppure che le goccioline di sangue, che pian piano si formavano, scivolavano via per rotolare subito giù e galleggiare libere lì intorno, come fossero rubini purissimi, incerte se cadere o invece volare.
    Intanto l’ippogrifo saliva e saliva.
    Con molta moltissima fatica sì arrampicava e si arrampicava lungo l'interminabile scala a pioli.
    Umbertino ormai cercava soltanto di sopravvivere in quell’assurda posizione a testa in giù in cui, senza volere, si era venuto a trovare.

    RispondiElimina
  9. Intanto piolo dopo piolo l'ippogrifo saliva e saliva.
    La scalata di quella scala a pioli sembrava infinita.
    Era soprattutto la posizione a testa in giù che lo infastidiva e gli impediva di pensare.
    Da un lato era curioso di sapere cosa mai avrebbero potuto trovare lassù in alto e perché mai dovessero procedere in quello strano modo.
    Dall’altro si sentiva particolarmente impaurito, come se un grande pericolo incombesse su di loro.
    Poi, però, pensò che l’ippogrifo aveva sempre saputo risolvere le situazioni complesse in cui si erano trovati e che quello che aveva visto fino a quel momento era stato sempre molto sorprendente, a volte addirittura di una meraviglia indescrivibile!
    Che fortuna aveva avuto a saltare prontamente in groppa all’ippogrifo quando si era presentato davanti alla sua finestra!
    Se si fosse spaventato e fosse scappato via urlando nella piazzucola del suo piccolo paese, avrebbe perduto tutto quello che stava ora vivendo.
    E pensare che nessuno di quelli che conosceva aveva avuto la fortuna di trovarsi mai in una tale splendida avventura!
    Era davvero tutt’altra cosa dalla solita vita!
    Molto meglio delle storie che sua sorella gli narrava e che lui stesso divorava su quei libri di carta un po’ scura con poche immagini acquerellate!
    L’emozione che ora provava era così forte che gli impediva di riflettere a fondo, ma questo non aveva grande importanza al momento.
    Così si scrollò di dosso quella stupida paura che si sentiva muovere dentro e cercò di voltarsi verso l’alto per vedere se fosse riuscito a scorgere qualcosa di nuovo.
    L’ippogrifo continuava ad arrampicarsi all’indietro stringendo gli artigli con cura su ogni piolo.
    Ogni tanto si dava una scrollatina per rimettersi in posizione corretta.
    E ogni volta Umbertino si sentiva precipitare nel vuoto e doveva prontamente ritrovare una seduta sicura sul collo pennuto e coriaceo della sua specialissima cavalcatura.
    Ogni contorsione fu vana, perché quello che riusciva a vedere era soltanto la groppa gibbosa dietro di lui e appena un pezzetto dell’enorme coda che puntava verso un apparente alto.
    Nell’irregolare dondolio del collo cui era aggrappato, scorgeva anche qualche porzione dei pioli che l’ippogrifo stringeva con una forza spaventosa occupandone quasi l’intera grandezza.
    Dalla piccola parte che rimaneva libera non si riusciva a comprenderne il materiale.
    Non era legno, non era ferro, non era roccia…
    Semplicemente non era niente di conosciuto nel suo piccolo mondo montanaro!

    RispondiElimina
  10. La scalata andò avanti così per un bel po’.
    Non avrebbe saputo dire quanto tempo terrestre fosse realmente trascorso, quando la luce intorno alla scala aumentò impercettibilmente.
    Umbertino notò che qualcosa di rossastro cominciava a farsi strada dall’alto.
    Dapprima un chiarore in movimento, poi qualcosa di sempre più consistente, finché capì che stavano per finirci dentro con tutte le scarpe e tutte le penne…
    “Aiuto!” pensò per un attimo spaventato.
    Poi, vedendo l’ippogrifo che sembrava non dare affatto importanza a ciò che stava avvenendo, si lasciò andare al destino che lo attendeva.
    Da che aveva iniziato quell’assurda transvolata, aveva visto talmente tante cose inimmaginabili che si erano in qualche modo risolte, che ora non riusciva a sentirsi in un reale pericolo.
    Inoltre, poter scoprire questo mondo senza regole era così interessante, che valeva certamente la pena anche rischiare di annullarsi nello spazio sconosciuto.
    Tutto questo lo pensò in un milionesimo di secondo per non perdere niente di quello che stava accadendo.
    E infatti, in men che non si dica, tutto quel rosso da gassoso era diventato liquido, un liquido sempre più denso e sempre più in movimento.
    Uno scrollone ulteriore… ed eccoli finire dentro qualcosa di veramente sconcertante.
    Sembrava di essere stati catapultati nell’enorme pentolone di pomodoro che sua madre cuoceva sul fuoco del camino d’estate, quel pomodoro che lei sempre schiacciava, aiutata dalla sorella, per conservarlo in dispensa per l’inverno.
    Sperò di riuscire a rimanere a galla e di non esserne sommerso, perché quel liquido era denso e in movimento… e a lui il sapore del pomodoro non piaceva per niente!
    Nell’ammarraggio nel succo di pomodoro, Umbertino fu disarcionato dal collo dell’ippogrifo che adesso, eretto in tutta la sua altezza, lo guardava dall’alto e gli impediva di vedere altri particolari.
    Finalmente riuscì con gli occhi sbarrati a dare un’occhiatina….
    Si avvide, con costernazione, di essere finito… alla mercè di un’enorme pistone, una specie di enorme vite senza fine che andava su e giù lavorando tutto quel liquido denso.
    Quella specie di melma sembrava sparire da qualche parte mentre, a ben guardare, dell’altra se ne aggiungeva di nuova cosicché il livello non variava mai.
    Un pensiero immediato si formò nella sua mente.
    Gli sovvenne di aver visto spesso sua madre macinare l’orzo tostato in un macinino con un vite simile a quell’attrezzo, vite che lo riduceva in una polvere nera nel cassettino sottostante.
    Uhhh… Sarebbe finito in polvere in un recipiente come quello?
    Un brivido lo percorse, ma solo uno.
    Desiderava vedere come andava a finire!
    Nel frattempo l’ippogrifo si era spaparazzato su qualcosa di solido che aveva trovato lì intorno e guardava quel flusso ininterrotto con apparente disinteresse.
    La vite senza fine rigirava senza tregua quella sostanza e non si curava di loro.
    Ogni tanto dei corpi solidi comparivano come per incanto e il tritatutto li riduceva in poltiglia senza problemi.
    Umbertino si avvide con sorpresa che non si era né sporcato né bagnato! Possibile?
    Si guardò meglio intorno e comprese che si trovavano in una specie di bolla trasparente come aria, che li proteggeva.
    Il bello era che anche la bolla non si macchiava, anzi rimaneva perfettamente inviolata.
    Neanche un secondo... e la bolla con i due passeggeri fece un sobbalzo e si avvicinò paurosamente alla vite senza fine in perenne avvitamento.

    RispondiElimina
  11. Adesso anche l’ippogrifo era tornato ad essere vigile.
    Si era raddrizzato su se stesso occupando la gran parte dello spazio a disposizione e aveva puntato il becco verso l’alto, stringendo le ali intorno al corpo.
    Umbertino notò che la bolla, nel frattempo, aveva assunto una forma piatta e ristretta, estendendosi tutta in altezza.
    Fece appena in tempo a saltare sul collo dell’ippogrifo e ad infilarsi tra le sue penne per proteggersi, quando intorno scomparve tutto lo spazio superfluo in cui si erano potuti spostare fino a quel momento.
    Aveva la sensazione di sentirsi le pareti della bolla appiccicate addosso e, per un attimo, provò anche un brivido di paura.
    Solo un infinitesimo attimo, perché, in men che non si dica, la vite senza fine li spinse giù giù giù in una discesa lunghissima che sembrava non voler più finire.
    In quella, una specie di ebbrezza lo aveva preso, una sorta di euforia come se qualcosa di bello sarebbe certamente accaduto di lì a poco.
    Schiacciati contro le lisce scanalature dell’enorme vite, scivolavano in silenzio avvitandosi su se stessi.
    A Umbertino venne in mente la trottolina di legno che gli aveva procurato suo padre quando aveva iniziato la prima elemenrare, un semplice pezzo di legno intorno al quale si arrotolava una corda che la metteva in movimento quando veniva rilasciata di colpo.
    Gli piaceva vederla ruotare sulla punta di ferro che aveva sul fondo, mentre si spostava come una ballerina sui mattoni sconnessi della cucina di casa sua.
    Qualche volta cadeva subito, ma più spesso il ballo durava abbastanza a lungo ed era divertente osservarla nelle sue giravolte.
    Finalmente l’avvitamento si concluse e i due tornarono a muoversi in uno spazio insolito ma ampio.
    Ora erano nuovamente liberi di muoversi in sicurezza perché la bolla protettiva non era più lì a contenerli e dell'enorme vite senza fine era rimasta solo la punta che continuava a girare su se stessa, ma lassù in alto e così lontana da aver perso ogni importanza.

    RispondiElimina
  12. E infatti Umbertino ne approfittò per sgranchirsi un pochino.
    Nel frattempo si mise a curiosare intorno.
    La prima cosa che lo aveva colpito, infatti, era stata una luminosità che variava sul giallo e che lo aveva riportato immediatamente all’energia di un giorno di pieno sole.
    Lo spazio a disposizione sembrava veramente enorme.
    Pensò che avrebbe potuto essere quasi infinito, perché letteralmente non se ne vedeva una possibile fine.
    Umbertino, però, guardava affascinato gli strani elementi del paesaggio.
    Si trattava di una specie di rocce, massi galleggianti che si spostavano e si aggregavano continuamente in modo che appariva casuale.
    I colori delle rocce erano ameni e licheni e muschi vi si abbarbicavano qua e là.
    A volte, penzolando o sollevandosi mollemente, questi ultimi creavano immagini stupefacenti, che lasciavano Umbertino a bocca aperta, non riuscendo a comprendere come facessero a mantenere certe posizioni in assenza totale di vento o di un qualsiasi sostegno.
    Egli stesso era stupito di come riuscisse a spostarsi senza appoggiare i piedi su qualcosa, essere spinto o sostenuto da qualcos’altro.
    Era come se si spostasse con la forza del suo pensiero.
    In ogni caso era qualcosa di così emozionante che lo faceva sentire davvero speciale.
    Si era accorto ben presto che dell’ippogrifo non c’era più traccia, ma la cosa non lo preoccupava affatto.
    Avvertiva che il luogo era delizioso e lui si sentiva al settimo cielo senza saperne il perché.
    Non gliene importava proprio niente!
    Voleva rimanere in quel giallo tra le rocce ed esplorare l’ambiente, perché sentiva un grande senso di aspettativa dentro di sé.
    Era come se fosse certo che qualcosa di bello sarebbe avvenuto.
    Ed infatti qualcosa accadde.
    Un din din di minuscoli campanelli si stava avvicinando, un melodia così leggera e gradevole che Umbertino si fermò di botto, sgranando gli occhi pieni di meraviglia.
    Poi, al cenno di un regista invisibile, da dietro le strane rocce comparvero dieci, cento, mille…
    Oh, che meraviglia!
    Dieci, cento, mille piccoli ippogrifi si mossero verso di lui.
    Erano così piccoli e graziosi da lasciare senza parole.
    Non erano più grandi di una gallina del suo pollaio, ma erano perfetti in ogni particolare, uguali identici al gigantesco ippogrifo che lo aveva prelevato da casa sua, tra i mille fulmini e la pioggia battente.
    Gli occhietti mobili e vispi, ognuno di quei cuccioli – perché erano cuccioli, ne era certo - aveva un campanellino d’argento appeso intorno alla zampetta.
    Mentre avanzavano producevano una musica celestiale che si impadronì dell’anima di Umbertino, quasi come una malia o un sortilegio che gli impediva di riflettere.

    RispondiElimina
  13. Senza rendersene conto, Umbertino si lasciò andare a quel momento di rilassamento così intenso da dimenticare tutto e tutti.
    Sua madre, sua sorella, la sua famiglia, il suo paese, se stesso...
    Niente più esisteva di importante che potesse distrarlo.
    Solo una gioia così profonda, che lo conteneva e lo avviluppava come materia concreta e tangibile.
    Completamente immobile per paura di rovinare una quadro tanto intensamente affascinante, Umbertino fissava ammaliato quella moltitudine di creaturine che danzavano una coreografia molto complessa nella sua leggerezza apparente.
    Fu così che, senza accorgersene, ben presto si ritrovò nel bel mezzo del racconto musicale.
    Al ritmo dei campanellini che si chiamavano l’un l’altro, si rispondevano, si univano per ridividersi subito dopo, iniziò a guadagnare il poco spazio che ancora lo separava da loro.
    Qualcuno lo spinse in avanti, qualcun altro lo fece ritornare indietro.
    E poi fu invitato a muoversi a destra, quindi a sinistra.
    Si ritrovò in aria e a piroettare come un ballerino provetto, in un crescendo musicale dolce e garbato, mentre la luce assumeva mille sfumature pastello.
    Infine si accorse di essere sdraiato in alto, sorretto e protetto dai becchi dei piccoli ippogrifi, spalancati a formare un insolito sicuro divano.
    Fu a quel punto che, in lontananza, Umbertino si avvide che quelle che gli erano apparse rocce enormi di contorno al paesaggio altro non erano che una moltitudine di enormi ippogrifi!
    In realtà avevano qualcosa di diverso che non riusciva a mettere bene a fuoco.
    L'incertezza, però, durò un solo attimo, perché quasi subito le riconobbe.
    Erano delle graziose coroncine di piume morbide quelle posate sul capo degli enormi ippogrifi che se ne stavamo immobili sullo sfondo.
    Nel contempo Umbertino comprese anche che quelle erano femmine, le mamme di tutti quei piccolini che giravano con il campanellino alla zampa.
    Gli fu chiaro come in una rivelazione che si trovava nel nido in cui crescevano gli ippogrifi appena nati.
    Questi ultimi, che gli erano sembrati tutti uguali, a ben guardare, non lo erano del tutto.
    Infatti sul capo di molti di quei piccolini, si notava un infinitesimo bottoncino da cui si sarebbero sviluppate le piume delle future coroncine.
    Dunque quelle erano femmine!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Umbertino, completamente immobile, era così preso ad osservare ogni più piccolo particolare della splendida scena che non si avvide di essere stato circondato da tutti quei piccolini che si muovevano impercettibilmente nella sua direzione.
      I campanellini, deliziosi, continuavano a suonare, mentre le enormi mamme si stringevano intorno a loro e si avvicinavano sempre più a lui.
      L’affollamento stava diventando preoccupante, quando il primo piccolo ippogrifo cominciò ad arrampicarsi sulla gamba sinistra di Umbertino.
      Poi ce ne fu un secondo e un terzo…
      “Aiuto, soffocooo!” si trovò a gridare il ragazzino improvvisamente fortemente a disagio.
      Quando cinque piccoli indemoniati arrivarono sulle sue spalle, si avvide che cinque campanellini gli suonavano nelle orecchie, cinque beccucci gli solleticavano le guance e rigide placche cornee gli si impigliavano nei capelli.
      Gli mancava l’aria e si sentiva tutto in fiamme.
      Chiuse gli occhi e perse conoscenza.
      In verità si ritrovò in uno strano stato che non aveva mai sperimentato.
      Non si poteva più muovere né aprire gli occhi, non poteva parlare né sentire il suo respiro, ma udiva chiaramente il bisbiglio musicale di quella folla di neonati.
      Non gli faceva paura.
      Un po’ gli ricordava il brusio dei pulcini appena nati, che si affollavano senza tregua apparentemente disorientati sotto le ali della chioccia.
      Quando nascevano i nuovi pulcini, lui era solito passare molto tempo ad osservarli.
      A casa sua era un vero e proprio avvenimento e c’era da dire che, usciti dal guscio, erano davvero carini da vedere.
      Facevano una grande tenerezza con quei loro piumini delicati.
      Peccato che ben presto mettevano le penne e perdevano molta della loro primitiva bellezza!
      Prigioniero in quella specie di paralisi che lo aveva colpito, si trovò a cogliere stralci delle conversazioni che avvenivano a migliaia intorno a lui.
      “Uh, che strano! È tutto molle… non ha il becchino… e queste zampe… come sono strane!”.
      “Guarda sul capo! Ci sono dei peli.. sono morbidi... E le ali? Non ha neanche quelle!”.
      “Oh, poverino! Chi sarà la sua mamma? Da dove verrà?”.
      “Come è buffo! Sembra buono, però!”.





      Elimina
  14. Intanto tutti i campanellini suonavano a distesa in una baraonda indescrivibile.
    Poi Umbertino fu colpito da un suono ripetuto e particolare.
    Proveniva da un campanellino che gli ondeggiava vicino al naso.
    Cercò di concentrarsi meglio e di raddrizzarsi un po’, anche se era davvero difficile.
    Fece leva sulle gambe per quanto poteva, ma erano pesantissime e non si spostarono di un millimetro.
    Un grande peso gli comprimeva il petto e gli occhi rimanevano fermamente chiusi pur se tentava in tutti i modi di aprirli.
    Intanto il campanellino vicino al suo naso continuava a suonare imperterrito.
    Suonava con una certa ossessività e gli cominciava a dare proprio fastidio.
    Sentiva il fiato sempre più corto. La mente confusa.
    Una sensazione di grande pericolo lo ottenebrava.
    Il cuore gli batteva all’impazzata.
    Stava per urlare con quanto fiato aveva in gola, quando di botto lo scenario cambiò.
    I suoi occhi si spalancarono di botto, mentre si trovò a penzolare nel vuoto tra le zampe del grande ippogrifo che lo aveva portato fin lì.
    Tutti i piccolini erano scomparsi nel nulla insieme alle enormi femmine che li tenevano a bada.
    Un buio pesto lo circondava, ma non era minaccioso.
    Una brezza leggera si muoveva intorno a lui che schizzava nello spazio finalmente libero da quell’oppressione che per poco non lo aveva ucciso.
    Ora non gli importava più niente di quello che sarebbe accaduto.
    Desiderava soltanto riposare a pieni polmoni e rilassarsi un po’.







    RispondiElimina
  15. Così chiuse gli occhi e si predispose a godersi qualche attimo di meritato rilassamento.
    In realtà ben presto si ritrovò nel bel mezzo di un sonnellino ristoratore.
    La sensazione di benessere era totale, profonda… e fantastica, immerso com’era in un bozzolo protettivo che si faceva in quattro per ristorarlo.
    Avvertiva un po’ la magica quiete dopo la tempesta, quando l’aria è immota in un mondo lavato di fresco che brilla in ogni suo più piccolo anfratto.
    Era notte, ma il chiarore, che proveniva da minuscoli punti di luce che tremolavano in lontananza, riusciva a rendere visibile un paesaggio che gli era in qualche modo familiare.
    Non lo riconosceva con certezza, però sapeva che era un luogo sicuro e positivo.
    Certamente era un luogo bellissimo e in basso, nella valletta, sentiva scorrere il fiume.
    Ancora una volta, decise di non porsi ulteriori domande e di godersi quel momento così carezzevole e bello.
    Fu distratto solo per un attimo da un’ombra possente, scura e un po’ indistinta, che comparve nel suo campo visivo.
    L'ombra ristette ancora un attimo e poi si allontanò senza far rumore verso l’orizzonte costellato di piccole luci.
    Gli sembrò come se lo volesse salutare, quasi un muto addio… o forse un arrivederci.
    Prima che si dissolvesse definitivamente, Umbertino credette di riconoscere l’enorme ippogrifo che ad ali spiegate lo guardava intensamente, girando la testa verso di lui.
    Il suo becco possente si apriva e si chiudeva ritmicamente.
    A lui parve di leggere in quell’aprire e chiudere un messaggio al suo indirizzo.
    Infatti, vi riconobbe la parola “ciao”... ed anche una specie di sorriso.
    Mentre sollevava a sua volta il braccio per rispondere al saluto, fu richiamato prepotentemente a se stesso da un colpo secco e improvviso vicino a lui, che lo fece sobbalzare.
    Qualcosa di pesante era caduto ai suoi piedi.
    Fece un salto indietro spaventato.


    RispondiElimina
  16. Con gli occhi sbarrati tentò di guardarsi attorno, il fiato grosso e il cuore che batteva all’impazzata.
    Un lampo si scaricò lontanissimo e silenzioso dietro il monte.
    Doveva essere così distante che il boato del tuono si era perso altrove.
    “Umbertino, cosa fai qui al buio? Il fuoco sta per spegnersi e fa anche molto freddo…”.
    La voce di sua sorella, un po’ preoccupata e un po’ stizzita, aveva fatto vibrare l’aria della stanza ormai completamente senza luce.
    “Umbertino, guarda quel povero libro che fine ha fatto…
    Ti è caduto per terra, non te ne sei accorto?
    Spero non si sia completamente rotto!
    Su, cosa fai? Non lo raccogli?”.
    Intanto la ragazza si affannava intorno al camino, tentando di ravvivare il fuoco quasi spento.
    “Un enorme essere… un enorme ippogrifo…
    C’era un enoooorme ippogrifo…
    Non c’era l’alto e non c’era il basso…
    Una vite senza fine… e il nido dei piccolini…
    Che carini! Avevano un campanellino d’argento annodato alla zampetta…” raccontava Umbertino molto concitato.
    “Cosa stai dicendo? Non c’è niente di tutto questo nel libro che ti ho regalato…”.
    La sorella guardò per un attimo il fratellino cui brillavano gli occhi.
    Sembrava trasfigurato.
    Finalmente il fuoco divampò nuovamente in tutta la sua potenza.
    Umbertino si alzò della sedia e raccolse il suo amato libro.
    Lo spolverò e lo ricompose delicatamente, quasi in una carezza.
    “Le mamme ippogrifo avevano una coroncina di piume in testa… Dovevi vedere il grande ippogrifo come risaliva la scala all’indietro!”.
    “Smettila adesso, Umbertino! Avrai sognato… o forse te lo sei solo immaginato…
    A pensarci bene è bello giocare di fantasia… sviluppa la mente e, dai, male non ti può fare.
    Ora, però, finisci di farneticare, perché se se ne accorge mamma o papà mi proibiscono di procurarti altri meravigliosi libri.
    Già dicono che ti vizio e ti porto sulla cattiva strada.”.
    Umbertino ora era tornato completamente alla realtà.
    Capì che sua sorella aveva ragione.
    Mise a posto il libro che era caduto… non si era sciupato troppo, per fortuna!
    Raggiunse la sorella e l’aiutò ad apparecchiare.
    In quella si sentì la voce della mamma che rientrava dal campo.
    “Dove siete? È tardi… Avete apparecchiato?”.
    I due si guardarono complici e si fecero l'occhiolino.


    Finita è la storia di casa mia
    che raccontava sempre la zia.
    Prova ora tu a raccontare la tua.
    Piacerà certo a tutti come la sua.

    RispondiElimina

Poetar m'è caro

Ricordi

Insieme

Ultimi Commenti

POST COMMENTATI

Blog Archive

DISCLAIMER

Ove non diversamente specificato, tutti i testi contenuti di questo blog sono di proprietà dell’autore e sono protetti da copyright. Le immagini di proprietà dell’autore sono esplicitamente indicate in quanto tali. Nessuna riproduzione, né integrale né parziale, e nessuna manipolazione sono consentite senza preventiva autorizzazione dell’autore. In particolare, sono assolutamente vietate le riproduzioni a scopo di lucro. L'Utente s'impegna a: 1.non utilizzare il Sito o il materiale in esso inserito per perseguire scopi illegali ovvero per divulgare o diffondere in qualsiasi modo materiale o contenuti preordinati alla commissione di attività illecita; 2.non utilizzare il Sito in modo da interrompere, danneggiare o rendere meno efficiente una parte o la totalità del Sito o in modo da danneggiare in qualche modo l'efficacia o la funzionalità del Sito; 3.non utilizzare il Sito per la trasmissione o il collocamento di virus o qualsiasi altro materiale diffamatorio, offensivo, osceno o minaccioso o che in qualche modo possa danneggiare o disturbare altri Utenti; 4.non utilizzare il Sito in modo da costituire una violazione dei diritti di persone fisiche o giuridiche o ditte (compresi, ad esempio, i diritti di copyright o riservatezza); 5.non utilizzare il Sito per trasmettere materiale a scopo pubblicitario e/o promozionale senza il permesso scritto di lapanchinadelcuore.it; Ogni violazione sarà segnalata agli organi di Polizia ed alle Magistrature competenti. Nel caso in cui l'Utente non accetti, in tutto o in parte, le suddette condizioni, è invitato ad uscire dal sito.