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Consigli per la lettura delle pagine
: 8

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lasciatevi coinvolgere per allenare i muscoli
della mente e del cuore

Buona lettura



Racconto breve - Dilemma








Tutto era bianco e accecante nell’aspra calura d’agosto.
La sonnolenza pomeridiana, quasi senza darlo a conoscere, aveva pervaso avidamente ogni cosa di sé e, ghermita ogni residua attività, aveva restituito ad un silenzio primordiale la vita nel borgo.

Nel giardino, da troppo tempo ormai lasciato alle ortiche, l’assetata vegetazione aveva assunto una struttura più disordinata, decisamente meno elegante, ma di sicuro più consona alla libera esistenza di quelle forme di vita vegetale, per un breve momento affrancate dal peso della civiltà.

A ridosso del muretto di cinta un po’ sbrecciato, un ragno aveva gettato la sua rete, creando un ponte aereo e leggero dal quel muro al cancelletto di ferro, tutto arrugginito dal tempo e dall’inoperosità.
Il ragno nero e peloso, ma piccino piccino, riposava anch’esso nell’ozio pomeridiano: in verità, anche a volersi dare da fare, non si vedevano mosche a portata di rete.

A tratti, poi, una inspiegabile sensazione di fresco, promettente e fuggevole ad un tempo, percorreva, come un brivido, l’aria immota, perdendosi subito in immaginari cerchi concentrici, fino a scomparire nel nulla dell’infinito.
Era un attimo.
Immediatamente l’impressione fantastica si trasformava nella reale percezione di un suono ritmico e argentino: un coretto di cicale, dal profondo del giardino faceva del suo meglio per spezzare la monotonia di quella rovente immobilità estiva.

Pietro, sdraiato sul terriccio riarso a ridosso del muretto di cinta, giocherellava con una pagliuzza ingiallita, bucherellando la foglia ancora verde che teneva nell’altra mano.
Allungò pigramente una gamba e si fece un po’ più a vicino all’albero, per guadagnare ancora l’opportuno riquadro di ombra, appena appena frastagliata di sole.
Solo a quel punto realizzò come, in fondo, quella staticità quasi religiosa dell’aria, dei suoni, della vita, non fosse che un’immobilità più apparente che reale.

Le cicale non erano affatto le sole a vivere, con il loro lieto e tintinnante frinire, quei momenti così fermi eppur troppo fuggevoli.
A ben osservare, un’intera popolazione di creature, le più diverse tra loro, attendevano alle loro occupazioni allegramente e con vivacità.

Silenziose, procedendo con grazia e indiscussa eleganza, leggerissime farfalle volavano, quasi misticamente la loro iridata danza di morte.
I fiori, gli steli, i fili d’erba, le pagliuzze: tutto era un fremito di vita, un pullulare di esserini tanto piccoli, da far dimenticare all’uomo grande e distratto, l’esistenza di un microcosmo estremamente indaffarato e interessante.

Grilli, formiche, coccinelle, bruchi verdi perfettamente mimetizzati e lucertole, api, cavallette, mosche e moscerini, per fare solo qualche esempio, non si curavano affatto del caldo e dell’afa, anzi, la cercavano da sempre quale habitat desiderabilissimo.

Come macchie improvvise di colori caldi e smaltati, i fiori del giardino protendevano beatamente al sole le loro corolle pazienti ed insieme avide nel corteggiare gli insetti del giardino, offrendo il loro nettare variamente profumato.

Pietro gettò lontano la pagliuzza e la foglia ormai inutile.
Distrattamente si riavviò i capelli, spingendoli lontani dagli occhi.

Quelle corolle così leggere, così fragili e tenere, a volte impalpabili nella loro inconsistenza, gli sembravano, però, imprevedibilmente volitive, coraggiose, tenaci: Non sembravano temere i pesantissimi calabroni che flettevano bruscamente i loro steli, fin quasi a toccare il terreno.
Sembravano intuitivamente sapere, nel mutuo scambio, che quei calabroni avevano bisogno del loro nettare per cui, pur irruenti ed affrettati, non potevano nuocere loro in alcun modo.

Pietro tornò con il pensiero a Rosalba ed al problema che lei costituiva per lui in quel momento.
Anche Rosalba, come i fiori multicolori che aveva davanti agli occhi, era sempre stata bella, leggiadra, apparentemente vulnerabile ed indifesa.
Un legame affettivo di anni, gli aveva dimostrato, però, che in quell’esile corpicino filiforme c’era coraggio, volontà, tenacia di gran lunga superiore alle riserve di cui egli stesso disponeva.

Erano stati belli i giorni trascorsi con Rosalba, sereni, pieni, soddisfacenti.
Era valsa la pena viverli: forse avrebbero giustificato  da soli la sua intera esistenza.

Chissà come era stato possibile che quel Natale, provasse quell’improvviso desiderio di libertà, che quella donna, Teresa, pur brutta e neanche tanto sensibile ed intelligente, gli potesse sembrare come un’alternativa piacevolmente solleticante a Rosalba, ancora ignara della sua del tutto inopportuna metamorfosi!!!
Se l’era chiesto spesso, poi, in tutti quei mesi!

Com’era nel suo carattere, Rosalba aveva rispettato quell’improvviso cambiamento che era avvenuto in lui: non aveva fatto pressioni.
Lo aveva lasciato andare, senza retorica e frasi inutili.

Con l’esile figurina, un sorriso tranquillo e pacato, aveva continuato a girare tra gli amici comuni, nella loro bella città, dove l’aveva lasciata.
Non aveva mai cercato di rintracciarlo. Tornato nel quartiere, non aveva mai tentato di rivederlo.

E lui, da molto tempo, anzi da troppo tempo, ma sì, proprio da subito, aveva chiaramente capito che l’avventura non era stata tale, che la noia e l’inutilità di certe azioni, avevano inzaccherato ogni aspetto di ciò che voleva ostinatamente chiamare libertà.
Teresa era stata presto sostituita da Anna. Anna da Rita. E poi vennero Luisa, Gabriella, Sara, Milvia…
Infine il baratro, la tristezza… e la consapevolezza di non essere più in grado di affrontare la realtà e l’esistenza come facevano semplicemente quelle tre farfalle bianche che osservava da un paio di ore.

Pur consce  della loro breve vita, vivevano la purezza di quella loro bianca bellezza danzante, senza traumi, accettando il loro volo di un giorno come la cosa più bella che potesse capitare.

A lungo era rimasto chiuso in se stesso.
Il desiderio di tornare da Rosalba  era irresistibile, il continuo pensiero di tornare da lei a farsi lenire le ferite gli bruciava così intensamente che gli scavavano sempre più nel profondo. Ma non volle.
Sapeva che l’essere vigliacco non lo avrebbe certo dipinto di rosa ai suoi occhi.
Voleva ancora tentare di riuscire da solo. Doveva riuscirci!

Era stata lei, infine, due settimane prima, a ristabilire un qualche collegamento con lui.
Lei, che non aveva mai creduto in una libertà alternativa, che per quanto si sforzasse non riusciva a vedere in un rapporto affettivo vero una qualsiasi limitazione all’estrinsecarsi della propria personalità, lei, che proprio attraverso questo rapporto trovava la capacità di realizzarsi nel modo più ampio, non poteva che essere lei a tentare di ricucire la sua anima.

Voleva comunque riaverlo con lei, perché solo lui poteva completare la sua libertà. E lui non doveva sentirsi umiliato dal suo perdono, perché era il suo egoismo femminile che lo voleva vicino.

In realtà desiderava in qualche modo consolarlo, convincerlo che, a ricondurla da lui, non era stata la pietà suscitata dalla sua triste esistenza di quegli ultimi tempi e che qualche amico compiacente le aveva riportato.

Così erano trascorsi alcuni giorni.
Sarebbe tornato da lei immediatamente, ma, a costo di rovinare la sua vita, non voleva farla soffrire più.
Questa volta avrebbe ricostituito il binomio della loro intesa, solo nel momento in cui fosse stato sicuro che i suoi aneliti di libertà, esauritisi nelle trascorse esperienze, avessero fatto di lui un uomo nuovo.
Sì, un uomo nuovo capace di amare in modo totale, senza riserve preconcette, senza mode seguite pedestremente, più per condizionamento inconscio che per volontà reale.

Era solo da una manciata di minuti che il suo grosso dilemma si stava allentando.

La città non riusciva a rilassarlo del tutto.
Ogni cosa lo distoglieva da Rosalba, lo distraeva subdolamente, gli impediva di concentrare le sue potenzialità intellettive su ciò che, poi, costituiva il baricentro della sua esistenza in quel momento.

Nella sonnolenza di quel pomeriggio torrido, era fuggito da quella irreale dimensione cittadina ed aveva riguadagnato la pace di quel meraviglioso giardino abbandonato: quelle quattro case bianche che formavano il piccolo borgo sembravano appartenere ad un altro continente.
Solo mezz’ora di macchina, invece, permetteva di giungervi dalla città.

I pensieri si arrovellavano nella sua mente e gli bruciavano aspri, ma lenivano anche la sua ansia e il suo senso di colpa.

Da qualche istante, rumori vaghi cominciavano a riempire l’aria.
Una stoviglia colpì un lavandino, un cane abbaiò, una mamma chiamò Nicolino.
La necessità di guadagnare il classico pane quotidiano richiamava anche lui in mezzo al traffico della città.
Aveva deciso: poteva ricominciare. Sì, lei era il suo futuro.
Che bello! Che pace! Che… tutto! Ora tutto era chiaro.

Si alzò repentino.
Cercò le chiavi nella tasca dei pantaloni impolverati e si avviò con decisione verso la macchina rovente.






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