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Racconto - Vivere e sopravvivere












Vivere e sopravvivere 


Tutte le sere di ogni giorno dell’anno, se accadeva di transitare dalle parti della fermata dell’autobus e successivamente del filobus, non era difficile incontrare una donna misteriosa dalla capigliatura corvina. 
Appoggiata al cartello sul bordo della strada, aspettava pazientemente per lunghi minuti l’autobus che passava verso le diciotto e trenta. 

Sotto la pioggia, con la tramontana, sotto il solleone d’agosto, la bruna presenza si ripeteva negli anni, come a completamento di una coreografia studiata. 
Le mani curatissime, le unghie laccate di rosso, i tacchi altissimi, i quali mettevano in risalto le gonne strette, molto corte, che le aderivano al corpo come un guanto. Aveva il seno molto prorompente e la donna ne offriva allo sguardo dei passanti ampie porzioni. D’inverno, un impermeabile bianco ed un ombrello civettuolo completavano il suo abbigliamento. 

Appoggiata al cartello, riposava alternativamente una gamba bilanciandosi su un solo piede, atteggiando il corpo come una mannequin. 
La donna, che aveva grandi occhi muti e impenetrabili, molto bistrati, volgeva lo sguardo lontano con fare distaccato, dando a vedere di non curarsi affatto di ciò che accadeva intorno a lei. 
Il viso impassibile, le labbra cariche di rossetto ordinatamente richiuse sui denti appena appena prominenti, attendeva il passaggio del bus, immersa in pensieri lontani. 
Si intuiva, tuttavia, che la mente vigilava sugli avvenimenti, pronta a mettere a fuoco qualsiasi fatto che valesse la pena rilevare. 

Qualche rara macchina che passava, inevitabilmente rallentava in prossimità della fermata e di lontano si scorgeva il guidatore che si protendeva verso la donna, impassibile come una statua. 
Dopo inutili parole che si perdevano nel vento, le automobili riprendevano velocità e sparivano nella sera. 
Raramente le insistenze dell’uomo al volante avevano il potere di riscuotere la donna che si animava allora di un’ira furibonda e si scagliava gesticolando disordinatamente sull’importuno, ricoprendolo di male parole, incomprensibili per chi era lontano osservatore casuale. 
Appena la macchina si era allontanata, con fare disinvolto, la donna riprendeva a giocare con la sua borsetta da passeggio, mentre con l’altra mano si girava e rigirava fra le dita le perle bianche e dozzinali della collana che adornava il suo decolleté. 
Quando finalmente l’autobus arrivava, saltava lesta sugli alti scalini del veicolo e scompariva all’interno, dignitosamente. 

Rimaneva sempre nella piattaforma posteriore, voltando le spalle agli altri passeggeri, indifferente per tutto il tragitto a qualsiasi persona o cosa. 
Ciò che però colpiva un osservatore sporadico era la coesistenza di una miriade di sentimenti in quei grandi occhi apparentemente fissi. L’aggressività e la sfrontatezza risaltavano subito evidenti, ma immediatamente dopo si vedeva affiorare un fondo di tristezza e di rassegnazione, un lampo di sfida ed un’ombra di tristezza. 
Chi avesse con animo sereno continuato la sua osservazione avrebbe infine scoperto che da tutta la persona emanava in quei momenti di attesa, una grande e composta dignità. 

Tutti gli abitanti di Via della Roscella, sia quelli dei palazzi grigi che quelli delle casette vecchie, conoscevano la Lora, riservatissima e solitaria nella sua casetta, dove conviveva con il fratello ed una vecchia madre che faceva vita ritiratissima. 
Tutti sapevano come viveva la Lora, anche se nessuno poteva spiegare i particolari della sua vita, il perché e il come tutta quella storia fosse cominciata. 

Da sempre ogni sera, alla solita ora, la Lora aspettava l’autobus: era allora che cominciava la sua intensa nottata di lavoro. 
Qualche raro passante l’avrebbe vista rincasare solo all’alba, il trucco disfatto, le occhiaie nere intorno agli occhi, sgattaiolando svelta tra le case addormentate. 
Tutti sapevano di che lavoro si trattasse, ma nessuno ne parlava. 
Qualcuno l’aveva veduta lavorare sul Lungotevere, vicino alle carceri di Regina Coeli. Su quei marciapiedi offriva il suo corpo, ora ben sveglio e scattante. Adottava atteggiamenti teatrali che si convenivano in quel contesto di degrado. Quindi si accordava per pochi soldi con quei disperati che gironzolavano in cerca di avventure notturne, uomini che non avevano altra risorsa che mercanteggiare l’amore, brevi attimi fugaci da trascorrere insieme. 
Si diceva anche che qualcuno, mai visto e di cui nessuno sapeva nulla, si aggirasse guardingo tra gli alberi che costeggiavano il fiume, per rastrellare ad intervalli più o meno regolari le banconote che si andavano accumulando nella irrequieta borsetta. 

Tuttavia non c’era censura.  





(Da: "La nizza e la campana")







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