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La luce novembrina filtrava dalle finestre limpida e cristallina.
L'azzurro del cielo sembrava lavato di fresco, ma il senso di freddo entrava nelle ossa provocando un brivido nell'animo.
Anirema ritirò lo sguardo dall'esterno, si strinse nelle spalle e si concentrò sulla luce amica che pioveva sulla sua scrivania.
Si lasciò rapire nuovamente dai suoi pensieri, mentre girava e rigirava una matita tra le mani.
Quello era il suo regno di fuga per qualche ora.
Lì ritrovava pensieri più liberi, più leggeri, decisamente meno coinvolgenti in stress e preoccupazioni.
Sì, c'erano anche dei periodi in cui doveva correre e sorgeva qualche intoppo, ma nel complesso decideva lei cosa fare, quando farlo e se farlo.
E poi lei sapeva organizzarsi e godere così di quei momenti lontani dalla routine familiare dove invece c'era tanto da fare, dove voleva fare ancora di più di quello che faceva e dove inevitabilmente arrivava a stancarsi davvero.
La sera nel letto stentava spesso a prendere sonno.
Si girava e si rigirava alla ricerca di una giusta posizione, ma la gamba che si surriscaldava le dava il supplizio di Tantalo ed era tutto uno scoprirla e ricoprirla, finché stremata non riusciva a prendere sonno.
Anirema prese un post-it rosa dal pacchetto che aveva davanti e vi scrisse con la matita, in un bel corsivo ordinato, una sola parola: “musica".
Poi lo fissò su un angolo del computer, in un punto in cui non dava molto fastidio.
Il telefono squillò.
Era quello fisso dell'ufficio, quindi lo ignorò volutamente.
In quel momento era troppo impegnata a pensare e non poteva interrompere il flusso delle sue emozioni.
Avrebbero certamente richiamato.
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Dal pianoforte si levarono cascatelle di note che rotolarono piano nel salotto in penombra.
La bambina, come sempre si avvicinò senza fare rumore e si mise in contemplazione della mamma che suonava con lo sguardo perso nel vuoto.
Com'era brava la sua mamma e, soprattutto, com'era bella!
Se ne stava su quello sgabello tutta impettita, la testa rovesciata con garbo all'indietro, mentre le dita scorrevano veloci sui tasti come se fossero dotate di vita propria.
La gonna grigia alla caviglia, come usava a quel tempo, ricadeva ordinatamente in grosse pieghe, mettendo in evidenza la sua vita sottile.
La bambina avrebbe voluto accarezzarla, saltarle al collo, ma non poteva disturbarla in quel momento.
Eppure quella maglia verde menta di jersey che indossava era così setosa e morbida che l'attraeva come una calamita.
Fece un piccolo passo in avanti.
In quel momento, una nuova cascatella di note si propagò all'improvviso nella stanza, mentre la mamma si piegava adesso sui tasti, spostandosi con tanta enfasi da una parte all'altra della tastiera.
La bambina girò intorno al pianoforte
Fu in quell’attimo che incrociò i suoi grandi occhi.
Vi si perse come sempre, affascinata.
Erano di un verde ammaliante, di un verde menta veramente affascinante.
Notò che erano proprio dello stesso colore della sua setosa maglia di jersey.
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Anirema sospirò, si sistemò meglio sulla poltroncina girevole, accavallò le gambe e si raddrizzò sullo schienale quanto più le fu possibile.
Quindi aprì le dita e sfiorò i tasti immaginari di un pianoforte, accarezzando lievemente il bordo della scrivania.
Il pensiero della riunione che doveva organizzare per la settimana successiva tornò in primo piano.
Doveva ancora contattare due o tre persone per avere la conferma della loro presenza a Strasburgo quel giorno.
Era sempre tanto difficile mettere tutti d'accordo sul giorno e sull'ora, ma doveva comunque definire questa riunione nel più breve tempo possibile.
Infatti era questa una riunione piuttosto importante per l'azienda, che aveva delle priorità e non poteva attendere oltre.
Si apprestò, quindi, a scrivere una comunicazione di convocazione e conferma agli interessati.
I tempi erano ormai stretti ed anche l'eventuale assenza dei due o tre che dovevano confermare non avrebbe impedito l'incontro a Strasburgo ormai stabilito per quel giorno e a quell'ora.
Aveva appena cominciato a digitare il testo al computer, quando il cellulare segnalò l'arrivo di uno… due… tre messaggi.
Sicuramente era la sua amica che si sentiva sola e non aveva altro da fare.
Inviava continuamente foto e messaggi che giravano in rete, a volte spiritosi, altre piuttosto noiosi e ripetitivi.
No, non riusciva proprio a darle sempre retta.
Avrebbe risposto più tardi o l'indomani.
Intanto, meccanicamente, lo stomaco le fece un sobbalzo.
Non poteva farci niente.
Era automatico.
Le accadeva tutte le volte, forse per associazione di idee.
Infatti, anche in quel momento le tornò in mente la solita immagine che veniva da un passato proprio remoto, anche se non ne ricordava i dettagli.
Suor Annunciata, seria e impettita, il velo ben sistemato, guardava la scolaresca in religioso silenzio, severa e indagatrice, come a voler scoprire chissà quale misfatto avessero combinato.
Lei, composta al suo banco, non muoveva neanche un piccolo muscolo per non farsi notare.
Intorno a lei, tutte le compagne parimenti paralizzate e immobili, erano in attesa del predicozzo quotidiano.
Quella doveva essere una mattina particolare.
Qualcosa di spiacevole doveva essere accaduto, perché le emozioni che le salivano a galla erano forti e sgradevoli.
Riprese a scrivere seppur con la testa altrove.
Concluse la convocazione per Strasburgo in pochi minuti, mentre si riprometteva di indagare con l'amica appena possibile.
Desiderava fortemente ricostruire il momento scolastico cui si rifaceva quell'immagine e quelle sensazioni che le tornavano in mente dopo tanti tanti anni e in un modo così spiacevole.
Sì, qualcosa di particolare doveva certamente essere accaduto.
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Scacciò quella sensazione spiacevole che l'aveva assalita, sottolineando la sua volontà con un movimento all'indietro del capo, poi riprese a digitare con rinnovata energia.
In breve tempo completò la comunicazione e si affrettò a metterla in partenza.
Prese la borsa dallo scaffale con fare distratto, l'aprì e recuperò il portacipria per darsi un'occhiata prima di lasciare l'ufficio e continuare la sua impegnativa routine giornaliera.
Ora sarebbe cominciato un nuovo lungo pomeriggio insieme ai suoi adorati bambini, croce e delizia di ogni signora in là con gli anni che al piacere di vivere nuovamente nel mondo dei piccoli deve aggiungere la grande fatica che ne deriva.
Passò in rassegna in una frazione di secondo i loro vivaci sorrisi, i loro bacetti, i loro capriccetti e si sentì immediatamente riempire di gioia.
Amava moltissimo i suoi nipotini per i quali desiderava il meglio.
Con loro non perdeva mai la pazienza e finiva per accontentarli in tutto.
Siccome erano tanti e voleva che stessero insieme, aveva sempre un bel daffare, ma non gliene importava proprio niente, perché essi erano il centro di tutto come lo erano stati i suoi figli.
Si avviò verso il parcheggio.
Non aveva ancora richiuso lo sportello dell'auto, che già il cellulare nella borsa suonava pieno di energia.
Cominciò a frugare nella sacca un po' informe, che a sua volta vibrava all'unisono, ma del cellulare era rimasta soltanto l'incalzante vibrazione che si accompagnava alla musichetta.
Dov'era finito?
Trovò il portacipria, una macchinina, due caramelle al miele, il tubetto del rossetto, una gomma per cancellare, un pacchetto di salviettine struccanti.
Il cellulare invece sembrava non esistere più.
Se non lo avesse sentito vibrare e suonare avrebbe creduto di averlo lasciato in ufficio.
Infine ci fu il silenzio.
Dall'altra parte avevano messo fine all’incalzante concertino.
Anirema afferrò l'elegante sacca di pelle rosso antico e la rovesciò sul sedile accanto a lei.
Un'infinità di oggetti, una vera e propria valanga di cose, schizzò fuori dal fondo della borsa, impigliandosi nell'immancabile foulard di seta che portava sempre con sé.
Notò ancora una volta quell'intreccio garbato di fiori sfumati sulla stoffa, che le volevano ricordare prepotentemente qualcosa, ahimè, senza successo.
Da quando lo aveva acquistato, anzi lo aveva comprato proprio per quello, ogni volta che lo osservava, sentiva nascere in sé un turbamento che, però, non riusciva a definire.
Il cellulare riprese a squillare.
Forse era tra le pieghe del suo bel fazzoletto che ammiccava con i suoi intrecci di fiori sfumati.
Si affrettò un po' seccata a muovere quel groviglio di seta scivoloso.
Fu in quel momento che la rivide davanti a sé, con il suo foulard di seta intorno al collo, bella e fiera come non mai. (Continua)
N. B.
Il racconto continua nella pagina "Racconto breve - Anirema"
Scacciò quella sensazione spiacevole che l'aveva assalita, sottolineando la sua volontà con un movimento all'indietro del capo, poi riprese a digitare con rinnovata energia.
In breve tempo completò la comunicazione e si affrettò a metterla in partenza.
Prese la borsa dallo scaffale con fare distratto, l'aprì e recuperò il portacipria per darsi un'occhiata prima di lasciare l'ufficio e continuare la sua impegnativa routine giornaliera.
Ora sarebbe cominciato un nuovo lungo pomeriggio insieme ai suoi adorati bambini, croce e delizia di ogni signora in là con gli anni che al piacere di vivere nuovamente nel mondo dei piccoli deve aggiungere la grande fatica che ne deriva.
Passò in rassegna in una frazione di secondo i loro vivaci sorrisi, i loro bacetti, i loro capriccetti e si sentì immediatamente riempire di gioia.
Amava moltissimo i suoi nipotini per i quali desiderava il meglio.
Con loro non perdeva mai la pazienza e finiva per accontentarli in tutto.
Siccome erano tanti e voleva che stessero insieme, aveva sempre un bel daffare, ma non gliene importava proprio niente, perché essi erano il centro di tutto come lo erano stati i suoi figli.
Si avviò verso il parcheggio.
Non aveva ancora richiuso lo sportello dell'auto, che già il cellulare nella borsa suonava pieno di energia.
Cominciò a frugare nella sacca un po' informe, che a sua volta vibrava all'unisono, ma del cellulare era rimasta soltanto l'incalzante vibrazione che si accompagnava alla musichetta.
Dov'era finito?
Trovò il portacipria, una macchinina, due caramelle al miele, il tubetto del rossetto, una gomma per cancellare, un pacchetto di salviettine struccanti.
Il cellulare invece sembrava non esistere più.
Se non lo avesse sentito vibrare e suonare avrebbe creduto di averlo lasciato in ufficio.
Infine ci fu il silenzio.
Dall'altra parte avevano messo fine all’incalzante concertino.
Anirema afferrò l'elegante sacca di pelle rosso antico e la rovesciò sul sedile accanto a lei.
Un'infinità di oggetti, una vera e propria valanga di cose, schizzò fuori dal fondo della borsa, impigliandosi nell'immancabile foulard di seta che portava sempre con sé.
Notò ancora una volta quell'intreccio garbato di fiori sfumati sulla stoffa, che le volevano ricordare prepotentemente qualcosa, ahimè, senza successo.
Da quando lo aveva acquistato, anzi lo aveva comprato proprio per quello, ogni volta che lo osservava, sentiva nascere in sé un turbamento che, però, non riusciva a definire.
Il cellulare riprese a squillare.
Forse era tra le pieghe del suo bel fazzoletto che ammiccava con i suoi intrecci di fiori sfumati.
Si affrettò un po' seccata a muovere quel groviglio di seta scivoloso.
Fu in quel momento che la rivide davanti a sé, con il suo foulard di seta intorno al collo, bella e fiera come non mai. (Continua)
N. B.
Il racconto continua nella pagina "Racconto breve - Anirema"
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