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Consigli per la lettura delle pagine
: 8

Il blog parte con i post periodici con cui
lanciamo spunti e ci teniamo in contatto.

Sotto seguono una serie di pagine
(link) divise per argomento.

Clicca sulla pagina desiderata.

L'elenco è lungo, la voglia di scrivere è tanta,
lasciatevi coinvolgere per allenare i muscoli
della mente e del cuore

Buona lettura



Insieme - Creiamo una storia? 4







❤❤❤❤❤



Eccoci qui per la quarta volta!

Dopo il primo e Il secondo racconto, "La fontanella" e "Il pacchetto", anche il terzo ha trovato la sua conclusione. 
"Giada", questo il titolo, ha incontrato un notevole interesse tra di voi.
Forse il genere fantasy è tra i vostri preferiti?

Siamo quindi pronti ad iniziarne uno nuovo.
Spero che ci abbiate preso sempre più gusto e che accediate in molti!
Più siamo più la storia si arricchisce e sarà interessante!
Non fatevi prendere da alcun timore... e superate quello scalino che vi può portare ad esprimervi al meglio e più profondamente! 

Dunque, partiamo!



Il cellulare vibrava con veemenza finché non si acquetò.
La pausa fu brevissima.
Il cellulare riprese immediatamente a vibrare con insistenza.
Si spostava addirittura sul piano di cristallo del tavolo.
Sembrava dotato di vita propria.
Sul display un nome, una persona, si mostrava impaziente, molto impaziente, di parlare con lei.
Federica lo guardò accigliata mentre il cuore le saliva in gola.
Cercò  di respirare profondamente per superare quel momento di tachicardia che le sconquassava tutto il corpo e glielo rendeva alieno e temibile.



Chi mi aiuta a continuare?

Vi aspetto!




❤❤❤❤❤

25 commenti:

  1. No, non avrebbe risposto.
    Non poteva proprio farlo.
    Avrebbe tenuto a bada il suo cuore in tutti i sensi.
    Non avrebbe ceduto a quei subdoli richiami affettivi.
    Avrebbe soffocato quel suo alieno desiderio di perdonare.
    Ci sarebbe riuscita. Sicuro che ci sarebbe riuscita!
    Era alla mente che doveva dare ascolto in quel momento, alla ragione che la consigliava sempre per il meglio.
    Self-control ci voleva! English self-control.
    Era sempre stata molto brava in questo, ma al momento le restava particolarmente difficile.
    Invece doveva tenere sotto controllo le sue emozioni ad ogni costo, perché il suo cuore perdeva facilmente il giusto ritmo, e anche questo non era bene per lei.
    Sul tavolino di cristallo il telefono riprese a vibrare e a spostarsi sulla sua superficie ben lucidata, che sembrava fatta apposta per quello.
    Federica fece un balzo all’indietro e ancora una volta sentì una terribile contrazione allo stomaco.
    Il telefono intanto continuava a suonare e a vibrare.
    Si attivò, dunque, per trattenerlo dal cadere sul pavimento e lanciò un’occhiatina al display.
    La parolina questa volta era cortissima.
    Lesse con un certo disappunto “Mamma”.
    Anche lei!
    Sua madre non aveva proprio il senso dell’opportunità.
    Chiamava in continuazione… e sempre nei momenti meno opportuni.
    No, non avrebbe risposto neppure a lei.
    Sapeva che si sarebbe preoccupata e che avrebbe richiamato.
    Tuttavia ora non ce la poteva proprio fare a sostenere una conversazione con lei, una conversazione necessariamente leggera e basata sul nulla, per tranquillizzare la sua ansia.

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  2. Federica lanciò un ultimo sguardo nervoso al cellulare, che nel frattempo aveva smesso di vibrare, e lo risospinse al centro del tavolo.
    Quindi cogitabonda si avviò verso il cucinotto, cercando di tenere a bada il battito cardiaco attraverso una respirazione più regolare e profonda.
    Conosceva a menadito tante tecniche di rilassamento, ma non le era facile farne un buon uso quando era tesa come in quel momento.
    Girò intorno al bancone e versò meccanicamente dell’acqua nel bollitore.
    Si sarebbe preparata una tisana, poi sarebbe uscita a comprare qualcosa da mangiare.
    Quel primo giorno di ferie, in un agosto torrido come mai, non si annunciava troppo stimolante.
    Si sarebbe già accontentata se fosse riuscita a rilassarsi un pochino e avesse potuto dedicarlo alla lettura.
    Infatti, sul suo comodino una pila di libri aspettava, impaziente e un po’ impolverata, che si decidesse a riprendere a leggere.
    Federica amava moltissimo la lettura.
    Era una lettrice costante e sistematica.
    Trascorreva molto tempo libero in questa attività.
    Spesso di notte faceva le ore piccole senza accorgersene, così accadeva che al mattino fosse spesso stanca e gli occhi rifiutassero di aprirsi.
    Gli avvenimenti degli ultimi tempi, però, l’avevano destabilizzata e la sua vita si era incagliata in una situazione che non aveva voluto e che metteva a dura prova anche la sua salute oltre che le sue abitudini.
    Il rumore dell’acqua che si rompeva in mille bolle nel contenitore di acciaio la riportò alla realtà.
    Prese un filtro senza sceglierlo tra i tanti a disposizione e lo depose direttamente nel bollitore.
    Spense il fuoco e girò meccanicamente il rubinetto del gas come faceva sempre.

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  3. Era stato soltanto qualche tempo prima.
    Quel giorno Marco era piuttosto distratto.
    Non riusciva a seguire quello che lei diceva e rispondeva con dei mugolii indistinti e poco convinti.
    Ancora una volta Federica lo scrutò con attenzione.
    Sì, decisamente aveva un’aria stanca e le rughette intorno agli occhi erano più marcate del solito.
    “Sei sicuro di star bene?” chiese prendendolo sottobraccio “Ti vedo molto stanco e particolarmente deconcentrato. Se vuoi, possiamo tornare a casa. Magari ti faccio un bel tè verde e riposi un po’ in poltrona.”.
    “No, Federica non è necessario. Va tutto bene davvero. Questa mattina mi sono alzato presto… e ieri sera sono andato a letto più tardi del solito. Sono solo un pochino stanco, ma non mi dispiace muovermi. Mi fa piacere fare due passi.”.
    “Va bene. Allora giriamo qui all’angolo. Vorrei acquistare una camicia da indossare con quel completo nero che ho nell’armadio da tanto tempo e che non posso mettere perché non ho niente che ci vada bene.” continuò la ragazza, cominciando a muoversi con decisione verso quella direzione.
    Così, senza aspettare risposta, Federica lo aveva trascinato nella via più elegante della città, dove subito era stata attirata dagli oggetti eleganti esposti nelle varie vetrine che facevano a gara per invogliare gli acquirenti ad entrare.
    Come al solito i prezzi erano vertiginosi.
    Del resto in quei negozi c’era il meglio che si potesse trovare in città. Di conseguenza era inutile lamentarsi.
    Magari non avrebbe comprato niente, ma si sarebbe quantomeno fatta un’idea su cosa avrebbe dovuto puntare.
    Si avvide che Marco sembrava seguirla di malavoglia, ma decise per il momento di non badargli e di concentrarsi su quello che stava facendo.
    Quando fu a metà della strada, si arrestò di colpo. Aveva notato un capo delizioso che avrebbe potuto fare davvero al caso suo, una camicettina smilza di seta bianca con un taglio delizioso che faceva modello.
    Varcò la soglia senza indugio, trascinandosi dietro il ragazzo riottoso.
    Non gli lasciò neppure il tempo di pronunciare una parola.
    Erano già dentro.
    Un’elegante statuaria commessa si avvicinò sorridendo per mettersi a loro disposizione.




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  4. Mille sorrisi, complimenti, paroline gentili.
    La commessa faceva del tutto per accattivarsi la sua simpatia.
    Federica chiese senza indugio di provare la camicetta esposta nella vetrina e si infilò in un camerino libero.
    Il camerino era ben defilato e non si vedeva dal salottino d’ingresso.
    Era sistemato dietro un pannello scintillante su cui spiccavano un cappellino spiritoso e due o tre cinture di rettile.
    Marco si era seduto sul divanetto.
    Gli era sembrato un po’ di malavoglia, a dire la verità.
    Si ripromise di indagare meglio cosa mai stesse passando per la sua testa appena fossero giunti a casa.
    Intanto aveva cominciato a provare l’impalpabile indumento che la commessa ossequiosa le porgeva.
    La misura era troppo piccola. Ne provò una più grande.
    Le calzava a pennello. Era proprio il capo che cercava e che avrebbe completato a dovere il tailleur fermo da troppo tempo nell’armadio.
    In breve fu pronta a riprendere la passeggiata con Marco, che meccanicamente si era rialzato dal divano e l’aveva seguita in strada.
    Federica lo guardò di nuovo con attenzione.
    No. C’era decisamente qualcosa che non andava.
    La tensione si poteva tagliare con un coltello.
    Poi tutto accadde in un attimo.
    Il mondo le crollò addosso senza preavviso.
    Marco si divincolò e, abbassando gli occhi a terra, mormorò più a se stesso che a lei: “Devo dirtelo. Non posso tacere. Ti ho tradito.”.
    Una pugnalata colpì al cuore Federica.
    Prima ancora che potesse comprendere appieno il significato di quelle parole, il respiro le si arrestò.
    Diventò rossa come un peperone.
    Sentiva che il sangue aveva cessato di scorrerle regolarmente nelle vene.
    Le pulsazioni impazzite le bloccava la gola.
    Cosa stava dicendo?
    Aveva sicuramente capito male.
    Traditaaaa! Ma cosa stava borbottando? Era forse impazzito?
    No, no. Lo aveva proprio detto. L’aveva tradita!
    No, non voleva… non poteva sentire altro!
    Si girò di corsa, prese a correre e si infilò in un taxi che attendeva clienti, fermo al parcheggio al di là della strada.


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  5. "Tradita...tradita" Federica ne aveva sentito parlare...non pensava avesse un effetto cosi' devastante...le mancava il respiro e anche il cuore sembrava volesse fermarsi.
    Che sogno!!! Nooo verità'..."ti ho tradita"
    Non c'è umiliazione e ferita più' grande per una donna! Avere preferito un'altra . Questa e' una ferita che non si può' rimarginare nemmeno col passare del tempo. Questo significa calpestare la dignità' di chi ha creduto ed ha avuto fiducia illimitata...penso'
    Tutti pensieri senza risposta.
    Un chiarimento era necessario per sapere perche' l'aveva cosi' sminuita...
    Forse una bellezza sconvolgente?... differenza di cultura...di educazione? o una donna di facili abitudini?
    Ma fosse innamoramento???...
    Federica non riusciva piu'a connettere tanto i pensieri erano ingarbugliati come matasse...nonostante le tecniche di rilassamento...anche quelle non avevevano più' il loro effetto.
    E se fosse innamoramento???
    Un chiodo fisso che non riusciva a toglierlo dalla mente...un pensiero cosi' atroce che si era inculcato in lei e non le dava pace.
    Federica non amava gli inganni...i sotterfugi e continuava a ripetere che non voleva piu'rivederlo...a cosa sarebbe valso sapere?....
    Ma lo amava ancora...

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  6. Nella penombra di casa sua, con il bollitore in una mano e una tazza nell’altra, Federica raggiunse il tavolo di cristallo.
    Depose meccanicamente gli oggetti che aveva in mano e qualche goccia di acqua schizzò sul vetro.
    Sempre come un automa tornò indietro a prendere la zuccheriera.
    Accidenti… era completamente vuota.
    Si chinò ad aprire il cassetto dell’angoliera in cui teneva le scorte di cibo alla ricerca di un nuovo pacco di zucchero di canna.
    Rovistò a caso per un bel po’, creando anche un certo disordine, ma il pacco sembrava essere scomparso.
    Non riusciva proprio a vederlo distratta com’era dai suoi pensieri, finché tornò per un attimo alla realtà.
    Il pacco era lì, in bella vista, smagliante nella sua carta color panna in cui danzava una bella ragazza in gonnella colorata.
    L’afferrò con eccessiva foga e si avviò verso la zuccheriera per riempirla.
    Intanto cercava di aprirlo tirando i due lembi di carta con movimenti nervosi.
    Un piccolo strappo di troppo… e una miriade di granelli si sparpagliarono intorno e finirono sul tappeto.
    Sopra il tavolo di cristallo il cellulare aveva ripreso a vibrare.
    Federica fece un salto indietro e rimase lì imbambolata, indecisa su cosa fare.
    Il pacco di zucchero stretto tra le dita, optò per riempire la zuccheriera, cosa che fece con qualche difficoltà, mentre lo zucchero cadeva più sul tavolo che nel contenitore e il telefono smetteva di vibrare.
    La ragazza non lo degnò neppure di uno sguardo, anzi si allontanò subito per munirsi di un aspirapolvere e raccogliere tutto lo zucchero che aveva seminato in giro.
    Il ronzio della vibrazione sul tavolo attrasse nuovamente la sua attenzione.
    Un crampo allo stomaco preannunciò una nuova scarica di palpitazioni impazzite.
    Cercò di calmarsi e si versò una tazza di tisana.
    Lesse “malva”. Il rosa del fiore striato di amaranto commentava la scritta.
    Sua nonna diceva sempre che la malva rilassava e leniva.
    “Fosse vero!” le venne fatto di pensare.
    Inutile.
    La pressione era fortissima.
    Con la coda dell’occhio percepiva il cellulare.
    Pensò di dare una sbirciatina… una sola piccola sbirciatina.
    “Marco 7, Mamma 1” – lesse sul display.
    Staccò lo sguardo con un inevitabile moto di stizza.
    Meglio bere la tisana.

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  7. L’amore è una ben strana cosa.
    Tornava a ripetersi meccanicamente Federica mentre sorseggiava la tisana alla malva piuttosto insapore.
    Era inutile arrovellarsi.
    Non riusciva a trovare una risposta.
    Conosceva Marco da sempre.
    Come aveva potuto tradirla?!
    Come aveva potuto rovinare tutto così in un momento…
    In un momento?
    Che ne sapeva lei?
    Forse la storia durava da tempo e lei non se ne era accorta minimamente.
    No, non poteva essere!
    Marco era molto preso da lei, stava sempre con lei, non aveva tempo libero da trascorrere altrove.
    No, non poteva essere!
    Eppure qualcosa era successo di sicuro, qualcosa che aveva posto un macigno insormontabile sulla sua strada.
    Non sapeva davvero come uscirne.
    No, non poteva proprio perdonarlo.
    La loro bella storia era caduta in frantumi, un cristallo purissimo che non poteva essere rimesso insieme.
    Anche con una colla speciale le mille cicatrici sarebbero rimaste lì a ricordarle l’accaduto.
    E poi… forse Marco stesso voleva tornare libero per trovare la sua strada.
    Lui chiamava e richiamava, ma non era detto che cercasse il suo perdono.
    Un crampo allo stomaco e una stretta al cuore le fecero andare di traverso un sorso di quella insipida tisana.
    Non avrebbe mai più bevuto una tisana alla malva in vita sua.
    Anzi, avrebbe buttato immediatamente tutte le bustine che ancora aveva nella credenza.
    Si alzò di scatto come invasata e andò a gettare nel lavandino ciò che restava nella tazza e nel bollitore dell’infusione di malva.
    Decisa, prese poi tutte le bustine e fece per buttarle nell’immondizia.
    Già ma dove?
    Da un po’ di tempo la raccolta differenziata era un incubo quotidiano.
    Tolse tutte le bustine di carta e le lanciò letteralmente nell’apposito contenitore.
    E adesso?
    Le foglioline erano all’interno del filtro appeso ad un filo… come toglierle per versarle nell’organico?
    Sull’orlo di una crisi di nervi, afferrò le forbici dal cassetto e tagliò con rabbia tutti i filtri.
    Ci si accanì sopra come se fossero essi stessi il tradimento che aveva subito e, in men che non si dica, sul piano fu tutto un caos di filtri e di foglioline.
    Infine con rabbia gettò i filtri nell’indifferenziato e le foglioline di malva nell’organico.
    Aspirò quelle che aveva fatto cadere sul pavimento.
    Il cellulare riprese a vibrare e a spostarsi pericolosamente sul piano di cristallo del tavolo.

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  8. Sbircio' e vide sul display " 2 chiamate perse".Nel frattempo il telefono aveva cessato di vibrare.
    Per telefono non potevano chiarirsi... era
    troppo eccitata e nervosa."Meglio parlare a tu per tu guardandosi negli occhi" penso'!.
    Aveva preferito un'altra a lei e l' incantesimo era rotto ormai. Ma perche' era successo? Non sapeva dare una spiegazione plausibile.Adesso non aveva coraggio di venire in casa per dirle che tutto era finito e amava un'altra donna?
    Chi era quella??? Forse la conosceva...come era possibile tradire una ragazza carina...con i suoi molteplici interessi e sempre dedita a lui? Quanti interrogativi!!!
    Parlarne con la mamma? Conosceva gia' la risposta"Lascialo perdere...non mi e' mai stato simpatico...ti ha tradito una volta?
    Ti tradisce altre cento.Sei una ragazza onesta ne trovi uno migliore"
    Che confusione...Che confusione in testa!
    Non sapeva a chi rivolgersi per chiedere consiglio...Forse a quell'amica del lavoro ...il loro era un rapporto di amicizia solido e duraturo...ma a parlarne si sentiva
    sminuita ancor di piu'.Le mani le tremavano... le muoveva in continuazione...stringeva i pugni...allungava le dita facendole scricchiolare e le venne da pensare che l'avrebbe menata bene...bene oppure
    insultata per avere rovinato una cosa talmente bella!!!
    Ma stava incolpando lei...magari non sapeva nemmeno che esisteva!
    Era lui il colpevole...il vigliacco!...da quanto tempo durava la storia...adesso
    era proprio desiderosa di saperlo e poi avrebbe deciso.
    Anche Gesu' venne tradito...poi perdono'. Cosi' non posso vivere...una soluzione devo trovarla.



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  9. Sì, il perdono…
    Era cresciuta con quella teoria che le avevano fatto rimbalzare nella testa per tutta la sua vita in famiglia.
    Un giorno a dir la verità si era resa conto di non poterla davvero più sopportare.
    Porgi l’altra guancia, sii superiore, non ti curar di loro…
    Si chiedeva come poter reggere tutto il male del mondo da sola, limitandosi a perdonare, a lasciar correre, a guardare sempre avanti subendo ingiustizie e soprusi.
    Forse, invece, doveva cominciare a reagire.
    Anche il prossimo doveva prendersi le proprie responsabilità e fare ammenda ogni tanto.
    Troppo comodo anche adesso, in questo momento in cui la sua intera esistenza era crollata intorno a lei.
    Lui, Marco, aveva rovinato una fiaba, l’aveva improvvisamente cambiata in una tragedia e, lei avrebbe dovuto passarci sopra, perdonarlo!
    E il suo cuore in pezzi? E il suo dolore?
    I crampi allo stomaco, la tachicardia, il respiro spezzato forse si sarebbero pian piano acquietati… ma il dolore morale, quello che le aveva portato la notte nel cuore, come avrebbe fatto a superarlo?
    Perdonare avrebbe potuto arrecarle qualche sollievo?
    Non lo credeva proprio.
    Non poteva perdonare qualcosa che l’aveva quasi uccisa, che certamente l’aveva trasformata in un‘altra persona.
    La sua fiducia era stata tradita.
    Come avrebbe potuto fidarsi ancora?
    Aveva sempre creduto che tra due persone, che avessero deciso di stare insieme per la vita, tutto dovesse essere lapalissiano, tanto da comprendersi senza neanche la necessità di parlare.
    Lei aveva creduto di conoscere Marco nel profondo, nei suoi pensieri e desideri più piccoli.
    Aveva vissuto questo rapporto in un modo così spensierato e sereno che adesso la faceva inorridire.
    Era stata un'ingenua.
    Aveva messo a nudo la sua anima per una persona che evidentemente non era quella che lei aveva creduto.
    Anche se fosse riuscita a trovare la forza di perdonare, chi era realmente Marco?

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  10. Marco...Marco...chi e' Marco? A pronunciare quel nome adesso le dava un certo fastidio perche' in lui aveva riposto tanta fiducia...Marco e' una nullita'...continuava a ripetere fra se Federica.Le regole della vita quando due persone si vogliono bene, si amano non le conosceva.Questa e' umiliazione vera e propria! Come poteva perdonare Marco? A lui aveva confidato anche i segreti piu'intimi...piu'nascosti del proprio cuore.Perche' continuava a cercarla per telefono e non di persona? Un pensiero fisso si era inculcato in lei...Marco si era innamorato di un'altra e cercava di evitare il suo sguardo...le sue parole...le lacrime. Era più' facile licenziare Federica in quella maniera...Perche' le mani continuavano a tremare e la tachicardia non cessava? Una risposta doveva esserci e una decisione doveva prenderla.Da tre semplici parole" ti ho tradita"...che putiferio si era scatenato nella sua anima! Che sciocca!!! Che sciocca!...continuava a ripetere. Quando l'aveva conosciuto dalla felicita' ogni giorno sfogliava i petali di una margherita " mi ama...non mi ama...mi ama!" Giochi da ragazzi!!! Attendeva un chiarimento Federica e poi la decisione finale...
    "Perdono si...perdono no."

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  11. La maestra aveva appena aperto la porta dell’aula e si era spostata in corridoio a parlare con la collega di terza che aveva bussato, quando Marco aveva lanciato il bigliettino.
    Federica, che stava scrivendo tutta compunta, alzò gli occhi dal quaderno a righe sul quale stavano prendendo forma i classici “Pensierini” quotidiani.
    I loro occhi si incontrarono per un attimo e così rimasero per pochi secondi.
    La maestra aveva richiuso la porta.
    Federica si affrettò ad afferrare il bigliettino e ad infilarselo in tasca perché non lo vedesse.
    Cercò di riprendere il filo dei suoi “Pensierini”, ma lo cercò invano.
    Non riusciva più a concentrarsi.
    Le parole le ballavano davanti agli occhi senza significato.
    La sua compagna di banco la tirò per la manica del grembiulino nero.
    “Come si scrive coniglio? Con la g o senza?” bisbigliò a bocca chiusa per non farsi sentire dall’insegnante, che alla cattedra correggeva già i primi “Pensierini”.
    Infatti, come al solito, Filippo aveva già finito.
    Lei non aveva mai capito come facesse il compagno ad impiegare tanto poco tempo per scrivere una pagina intera di frasi, ma tant'era. Anche quel giorno era già pronto per la correzione.
    La compagna continuava a strattonarla.
    Allora si affrettò a risponderle per farla smettere.
    “Con la g! Lo abbiamo detto tante tante volte! Possibile che me lo chiedi ancora?” borbottò frastornata e si chinò nuovamente sul quaderno a cercare di dare un senso alle parole che aveva appena scritto.
    Un bigliettino! Marco le aveva lanciato un bigliettino!
    Sorpresa era sorpresa. Non sapeva se ne fosse felice oppure no. Certamente ne era molto turbata.
    Doveva leggerlo… doveva assolutamente vedere cosa c’era scritto…
    Marco… Marco…
    Gli girava sempre intorno con quegli occhi e quel sorrisetto furbo.
    La cosa andava avanti già da un po’ e, a dir la verità, non le dispiaceva affatto.
    Senza pensarci, si alzò di scatto e chiese il permesso per andare in bagno.
    “Sei bellissima! Non smetto di guardare la tua lucente coda di cavallo che ondeggia mentre schivi.” lesse sul piccolo pezzo di carta stropicciato.
    Federica sorrideva involontariamente e non si accorse nemmeno dell’errore grammaticale che la maestra avrebbe invece sottolineato con grande disappunto.
    Si affrettò a ritornare frettolosamente al suo banco.
    Sorrideva ancora e nel passare lanciò uno sguardo di grande simpatia a Marco.
    Così, più o meno era, cominciata tra loro.


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  12. Quanti anni da quel giorno! Quanti bei momenti trascorsi in pieno accordo!
    Non poteva fare a meno di abbozzare un sorriso ripensandoci, anche se adesso la nostalgia era così forte che sentiva un gran dolore dentro di sé, un morso improvviso che le levava il respiro.
    I ricordi, intanto, continuavano ad accavallarsi frenetici e la sua mente li seguiva come ipnotizzata.
    Qualche tempo dopo si erano ritrovati insieme anche durante l’estate.
    I genitori erano negli anni diventati molto amici, finché quell’agosto eccoli tutti al mare in una deliziosa e ridente cittadina balneare.
    Non aveva più avuto occasione di ritornare da quelle parti, ma ricordava come fosse oggi, il bel viale alberato a mare che l’aveva tanto sorpresa.
    Bellissime palme disegnavano la lunga e suggestiva passeggiata.
    Fino a quel momento aveva osservato una palma soltanto sui libri.
    Vederne tante tutte insieme e così grandi l’aveva stregata.
    E poi c’erano tante aiuole ben curate e i colori dei fiori rendevano tutto piuttosto magico nel contrasto con l’azzurro del mare che arrivava quasi a lambire la strada.
    A pensarci bene era stato lì che tutto era nato in modo più consapevole.
    Entrambi avevano appena terminato di frequentare la prima media e si avviavano a diventare due bei ragazzi pieni di sogni e di speranze.
    Lei, Federica, si era trasformata in una graziosa ragazzina alta e slanciata.
    I capelli dorati le ricadevano un po’ disordinati sulla fronte incorniciando due occhioni intelligenti e sornioni.
    Il suo corpo si era molto ammorbidito e si stava dotando di curve gradevoli nei posti giusti.
    Marco invece era ancora molto acerbo, troppo bambino rispetto ai ragazzi di terza che si atteggiavano a giovani adulti.
    Tuttavia, anche se appariva giovane e inesperto, aveva un non so che che gli altri non avevano, un brio e un’allegra che finivano con il trascinarla in un mondo senza pensieri.
    Trascorsero insieme, le due famiglie, una quindicina di giorni e i due furono insieme per ogni minuto disponibile.
    Presero lezioni di surf, tentando di imparare a stare in equilibrio sulla tavola. Quante volte caddero in acqua prima di riuscirci!
    Ci furono interminabili partite a carte con altri ragazzi della spiaggia, interminabili discussioni, merende pantagrueliche a base di pizza e qualche coca-cola.
    La sera poi, si andava spesso in bici, sui tandem o sui risciò… e quelle passeggiate furono il principio reale di tutta la loro storia.
    Loro due in tandem, i genitori dietro in risciò.
    Ed ecco un’insospettata possibilità di stare insieme da soli, se pur sotto gli occhi di tutti, che cominciò a creare una romantica nicchia affettiva, una bolla di benessere che l’aveva ammaliata.
    Anche un quel momento, quell’atmosfera era sempre lì dentro di lei, impossibile dimenticarla.
    Federica emise un lungo sospiro, mentre un altro crampo le attanagliava lo stomaco senza tanti complimenti.

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  13. Marco compose il numero di Federica per l’ennesima volta.
    Dopo qualche secondo di fastidioso ronzio, ecco il segnale di libero e lo squillo ritmico cominciò ad andare.
    Uno, due, tre... otto squilli.
    La linea cadde di nuovo miseramente, come sempre.
    Il silenzio che ne seguì era assordante.
    Ancora una volta un miscuglio di sentimenti lo bloccarono senza possibilità apparente di reagire.
    Panico, rabbia, senso di inadeguatezza, sconcerto e tristezza, angoscia di non riuscire a venire fuori da quella situazione in cui si era cacciato.
    Non sapeva neppure lui come realmente fosse potuto accadere.
    Era stato troppo avventato.
    Di una cosa era sicuro.
    Aveva commesso una grande sciocchezza.
    Come aveva potuto incrinare un rapporto che era stato ed era tutta la sua vita?
    Federica, romantica e candida, non l’aveva certo meritato.
    Sempre gioiosa, equilibrata, allegra ed altruista, sapeva dargli quella pace piena che tutti avrebbero voluto trovare.
    Sempre attenta a non essere invadente, Federica era piena di piccole attenzioni che rendevano ogni giorno un giorno speciale.
    Sentiva un grande nostalgia di quelle atmosfere che erano state sue fino a quel fatidico giorno in cui la sua ragazza era fuggita a bordo di un taxi sconosciuto inopportunamente vicino.
    Forse se non fosse stato già pronto proprio al di là della strada avrebbe potuto in qualche modo spiegare, gli sarebbe stato possibile in qualche modo trattenerla…
    Era nello stile di Federica chiudersi a riccio.
    Quello lo comprendeva benissimo, ma che lo tagliasse completamente e drasticamente fuori dalla sua vita così gli sembrava davvero troppo.
    Riafferrò il cellulare ed ancora una volta compose il primo numero che era salvato tra i suoi preferiti.
    Questa volta, lo raggiunse il segnale di occupato.
    Con chi parlava la ragazza che si rifiutava di rispondere a lui?
    Giorni ne erano passati tanti.
    Forse aveva già trovato qualcuno che la consolava?
    Marco si guardò intorno sconsolato.

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  14. Poi un tuffo al cuore lo fece sussultare.
    Lo specchio dell’ingresso gli rimandò un'immagine in cui non si riconosceva.
    Ciò che vide lo turbò.
    Era dimagrito in quell’ultimo periodo e adesso, bianco in volto, i capelli scompigliati sulla fronte, non sembrava più lui.
    Vedeva un uomo disorientato, un uomo malato dall'occhio triste e spento.
    Se solo Federica avesse risposto!
    Era certo che solo il suono della sua voce gli avrebbe dato un po' di benessere.
    Già la voce di Federica!
    Argentina, allegra… una cascata di acqua cristallina.
    Con una semplice risatina Federica aveva il dono di rallegrare ogni cosa, di rinfrescare e regalare nuova vita a tutto quello in cui si imbatteva.
    Che mistero, invece, nella voce profonda della sconosciuta, che fumava una sigaretta dietro l’altra e non smetteva di fissarlo, quando lo apostrofò con un banale: “Ma noi ci conosciamo?”.
    Fin dal primo momento aveva avvertito qualcosa di insolito in quella voce, qualcosa che fino a quel momento aveva sperimentato solo nei film.
    Davanti allo specchio dell'ingresso Marco fu colpito da una considerazione, forse banale, ma di cui solo ora si rendeva conto.
    La voce era un elemento nella comunicazione che per lui era sempre stato fondamentale.
    Nel bene e nel male, a ben rifletterci, aveva segnato molti momenti importanti della sua vita.
    Ogni voce lo riportava immediatamente a vissuti profondi, profondissimi, che lo facevano ancora vibrare.
    Riviveva la voce dolce e rassicurante della mamma, quella stridula e capricciosa della sorella, la voce forte e profonda a volte temibile del padre e poi la voce gentile ma distante della maestra alle elementari, un carosello di voci che sempre gli muoveva dentro a tradimento qualche tensione nascosta non risolta del tutto.
    Dunque, adesso, era la voce di Federica che avrebbe voluto risentire.
    Non ne poteva proprio fare a meno.
    Solo la voce, niente di più per il momento.
    Che poteva fare se lei irremovibile, non voleva assolutamente parlargli?
    Eppure qualcosa doveva tentare.
    In mancanza di meglio, si rivolse di nuovo al cellulare e digitò il numero dell'oggetto dei suoi pensieri.
    Non usò volutamente la procedura abbreviata.
    Scaramanticamente sentiva che così avrebbe potuto avere qualche possibilità in più.



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  15. Sul piano di cristallo il telefono vibrava di nuovo con insistenza.
    Federica tornò di malavoglia alla realtà.
    Lo fissò perplessa, sfiduciata, depressa, infine, un po' arrabbiata.
    No, non poteva perdonare a Marco di aver ucciso la grande poesia, la immensa armonia in cui aveva creduto.
    Forse era stata solo lei che si era fatta un castello di sogni che nella sostanza non esisteva.
    Forse aveva candidamente creduto che lui vedesse, sentisse e pensasse le stesse cose che lei percepiva così semplicemente, come cosa naturale.
    Lei, pura e ingenua, era stata cristallina come l'acqua del ruscello che scorreva spensierato tra i ciottoli.
    Mai si era posta il problema che ciò che credeva di osservare potesse essere minimamente diverso da come lo sentiva.
    Forse aveva peccato anche di presunzione.
    La penosa riflessione le si bloccò dentro sul nascere.
    Le faceva troppo male quell'idea e la sua mente e il suo cuore in qualche modo si dovevano proteggere.
    Infatti i pensieri tristi furono quasi subito dissolti dal riemergere alla coscienza di situazioni più gradevoli.
    Ne fu talmente presa che le strapparono anche un inconscio ed involontario sorriso.
    Si rivide, ragazza spensierata, vivere il tempo con gli occhi pieni di futuro.
    Eccoli uscire sempre insieme, mano nella mano, sguardo perso nello sguardo dell'altro, entrando ed uscendo dal gruppo di amici con i quali avevano trascorso gli anni spensierati del liceo.
    In quel periodo molti dei loro amici erano stati in crisi.
    Chi aveva vissuto una magrezza impressionante, chi all'opposto era sempre stato a dieta, chi cercava disperatamente una ragazza senza riuscirci, chi non era in grado di conseguire i risultati scolastici che la famiglia si aspettava… insomma il loro gruppo aveva rispettato la configurazione classica di un insieme di giovani in crescita alla ricerca della propria identità.
    Loro due erano stati l’eccezione.
    Insieme erano una forza della natura.
    Niente e nessuno riusciva a metterli in crisi ed essi neppure si accorgevano del loro vantaggio, del loro vivere quegli anni come se tutto fosse necessariamente così, normale e scontato.

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  16. Era stato all'inizio del primo anno di liceo che il loro era diventato un legame stretto e importantissimo.
    Sì, fu in quel periodo che divennero veri e propri fidanzatini.
    Il passaggio alla scuola superiore aveva reso tutti molto euforici.
    Anche loro, come tutti i compagni, si sentivano sulla cresta dell'onda.
    Vivevano intensamente le nuove mille esperienze che via via si presentavano ed erano così carichi ed eccitati che camminavano a mezz’aria.
    Erano cresciuti pure fisicamente e sentivano il mondo a portata di mano, pronto ad essere afferrato.
    Nel laboratorio di scienze, quel giorno, avevano lavorato fianco a fianco per tutto il tempo.
    Federica rivide nitidamente il bancone vicino al quale si accalcavano i ragazzi del gruppo di lavoro e la grande finestra sulla destra dalla quale entrava una bellissima luce autunnale.
    Capiva ora con chiarezza che Marco e lei non ne erano stati del tutto consci, ma qualcosa di insolito si avvertiva fra loro, una corrente adrenalinica che li rendeva insensibili agli altri e a ciò che accadeva all'intorno.
    Gli occhi lucenti, il cuore al galoppo, le mani sudate, non riuscivano a pensare al piccolo esperimento che stavano conducendo.
    Procedevano meccanicamente nelle azioni da compiere e fu una vera fortuna che il professore non se ne accorgesse.
    Quando fu l'ora di lasciare il laboratorio, distratti com'erano, si ritrovarono ad essere gli ultimi ad uscire in corridoio.
    Fu quasi inevitabile che in quel momento ci fosse il loro primo bacio, un bacino appena appena accennato, che aveva sancito, però, il loro diventare grandi.
    Da quel momento non si erano più lasciati nel vero senso del termine.
    Infatti, erano sempre insieme a scuola, insieme con gli amici… e insieme anche in famiglia, perché le loro famiglie continuavano ad essere amiche e ad incontrarsi regolarmente.
    Così tutti avevano cominciato a percepirli come una coppia impossibile da scindere e non riuscivano a concepire l'uno lontano dall’altro.
    Sorridendo, lì avevano soprannominati gli inseparabili, come quegli uccellini minuscoli, quei pappagallini che vivono sempre e solo insieme fino alla morte.
    Qualche volta li prendevano anche un po' in giro per questo e si divertivano a stuzzicarli.
    Lei e Marco, tuttavia, non si facevano affatto turbare da motti e scherzetti, perché insieme stavano bene e la vita era per loro rosea e semplice.
    Un crampo allo stomaco riportò Federica alla realtà.
    Che tristezza il presente!
    Mai e poi mai avrebbe potuto immaginare di trovarsi in questa angoscia di adulta, in questo dolore così intenso che le aveva tolto la gioia di vivere.


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  17. Non ottenendo risposta, Marco chiuse il telefono e se lo mise in tasca.
    Quindi si infilò di malavoglia una giacca, automaticamente afferrò lo zaino e si apprestò ad uscire.
    Un pensiero pesante come un macigno gli girava e rigirava per la testa.
    Lo avvertiva come una presenza malevola che non riusciva a vedere né ad afferrare.
    Se ne sentiva oppresso e un senso di grande disagio lo accompagnava.
    Provava un chiaro senso di colpa e questo forse era normale.
    Di ciò si rendeva certo conto, ma poi, in fondo in fondo, non poteva fare a meno di chiedersi il perché.
    Perché doveva sentirsi così male?
    Aveva sempre creduto che sbagliare alla fine dei conti fosse umano, che poteva anche capitare, che bisognasse essere comprensivi e saper perdonare.
    A furia di rimuginare il suo cervello era rovente.
    Uscì di casa sbattendo la porta, ma nemmeno se ne accorse.
    Certo era stato avventato. Su quello non c'erano dubbi
    Non aveva minimamente utilizzato il pensiero per imbastire un semplicissimo ragionamento.
    Semplicemente, aveva ascoltato quel profondo irragionevole richiamo, quell'archetipo antico e primitivo che proveniva dalla notte dei tempi dell'uomo.
    Se avesse solo riflettuto un secondo, magari avrebbe potuto contenersi e forse in questo momento la sua vita sarebbe stata bella e piena come sempre.
    Cosa non aveva funzionato?
    Perché non era andata cosi?
    Cosa era accaduto in lui che ne aveva minato il suo famoso autocontrollo?
    Aprì sgarbatamente lo sportello della macchina e avviò il motore.

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  18. Mentre fermo ad un semaforo cercava di non ascoltare i noiosissimi rumori della strada, Marco si ritrovò in una specie di limbo in cui ogni pensiero si era congelato.
    Era appena ripartito, un po' a balzi a causa del suo nervosismo della sua disattenzione, quando un pensiero improvviso lo colpì in faccia come un pugno.
    Ora gli era tutto chiaro.
    Ecco cosa gli aveva fatto perdere ogni remora quel giorno fatidico.
    Lo aveva finalmente capito.
    Infatti, nel suo orecchio risuonava adesso come allora con le stesse vibrazioni di quel momento.
    Sì, era stata quella voce bassa, profonda, un po’ roca e piena di mistero, che aveva azzerato gli stimoli neutri di ciò che si deve fare, di ciò che è corretto, di ciò che è opportuno.
    Le vibrazioni di quelle onde sonore lo avevano spiazzato.
    Si erano posate su di lui con prepotenza, avviluppandolo in una rete di profondissime sensazioni istintive.
    Così si era ritrovato improvvisamente adolescente solitario, perso nelle storie romantiche generate dalla sua fantasia, in cui tutto era esagerato e amplificato.
    Rivedeva con chiarezza la lotta che aveva sostenuto in quel periodo di studente medio tra i sogni indotti dalle conversazioni con gli amici che non avevano censure e la poesia che viveva via via con Federica.
    Questo, e non era poco, era bastato a trascinarlo nell'atavico desiderio proibito, eludendo ogni altra parte di sé più ragionevole e sognatrice.
    Quella voce, così diversa da quella argentina delle donne di famiglia, apriva mondi sconosciuti, pieni di tenebre oscure, profumate di Thànatos, di morte, ma solleticanti, che voleva infine in tutti i modi conoscere.
    A quel tempo non aveva mai osato o forse non era capitata l'occasione.
    Adesso, da adulto, non era riuscito a porre resistenza all'istinto e a far prevalere la ragione.
    L’esperienza l'aveva quindi vissuta.
    Era stato un bene? Era stato un male?
    A giudicare da come si era sentito in quell'assurdo periodo della sua vita non era stata poi un'idea così brillante.
    Tuttavia…

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  19. Tuttavia non era poi detto che fosse proprio così.
    Come in tutte le cose, ne era pienamente conscio, il punto di vista avrebbe potuto cambiare completamente la realtà.
    Adesso, infatti, qualcosa cominciava a farsi strada dentro di lui.
    Era solo una piccola luce lontana e indistinta, un pensiero un po’ confuso, ma irradiava un alone di speranza.
    Insomma era qualcosa e probabilmente qualcosa di importante.
    A dire la verità, quell’idea faticava a prendere vita, a palesarsi con chiarezza, ma si percepiva che aveva necessità di essere ulteriormente indagata.
    Marco guardò nello specchietto retrovisore e girò a sinistra verso la stazione.
    Stranamente aveva recuperato un certo autocontrollo e si sentiva un pochino più sereno.
    La strada che stava percorrendo in quel momento era tutta dritta e piena di infiniti semafori.
    La sua guida divenne nuovamente meccanica e i suoi pensieri tornarono al nocciolo della questione.
    Cosa gli girava e rigirava nella testa?
    Cosa sembrava potergli restituire una certa serenità?
    Perché aveva la sensazione che forse avrebbe potuto trovare una soluzione?
    Quella voce di donna roca e suadente che ancora gli rimbalzava dentro, lo aveva condotto nei meandri più profondi del proprio io, quelli che da tempo più non visitava.
    Aveva aperto la porta di un posticino segreto in cui intonsi erano ancora tutti i desideri e tutti i perché della sua adolescenza e forse della sua infanzia.
    Gli faceva un po' paura indagare in quel luogo, a tratti buio e misterioso, ma nel farlo ne riceveva anche una sorta di piacevole spinta ad andare avanti nella sua ricerca.
    Come in un film gli passarono davanti mille emozioni e sensazioni che aveva creduto perse per sempre.
    Rivide una bambola bruna con cui giocava sua sorella e che a lui era proibita, un fumetto un po' osè che per un periodo non sapeva mai dove nascondere, le scabrose discussioni con i suoi compagni nei bagni della scuola.
    Quanti desideri repressi nel corso degli anni e quanti sensi di colpa indotti dall'atmosfera familiare!
    Sarà poi stato così davvero oppure lui aveva vissuto come costrittiva la filosofia di vita che si respirava a casa sua?
    Viste adesso, quelle gli sembrarono normali cose da ragazzi, cose senza troppa importanza.
    E in fondo i suoi genitori non si erano mai troppo intromessi.
    Forse il nocciolo della questione era proprio lì, il non aver riflettuto abbastanza su come era diventato adulto.
    Aver accantonato quei terremoti emotivi senza averne preso coscienza era stato un errore, un grosso errore.
    Come aveva letto in una saggio non tanto tempo prima, le questioni dell’animo irrisolte si sedimentano e fanno male all'equilibrio dell'individuo e lui probabilmente, trascinato da Federica, si era lasciato vivere senza riflettere più di tanto su se stesso.
    Senza nemmeno accorgersene, era arrivato alla stazione.
    Marco tornò all’afosa concretezza di quell'agosto e si mise a cercare un parcheggio.
    Era già abbastanza tardi.
    Visto che tutti erano in vacanza, beati loro, non fu troppo difficile.
    Scese velocemente dalla vettura e si avviò di buon passo verso la zona pedonale del centro.

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  20. La noiosa riunione di lavoro andava avanti con qualche difficoltà.
    Marco vi partecipava un po' immusonito e non riusciva a concentrarsi su quei discorsi fatti e rifatti che non conducevano da nessuna parte.
    Inevitabilmente il pensiero andava a Federica o, meglio, andava al suo stato d'animo di quel momento, che non era certo dei più invidiabili.
    Sentirsi così gli impediva di attendere alle sue solite azioni quotidiane in modo semplice e diretto come era sempre stato e questo non gli piaceva proprio per niente.
    Intanto si andava convincendo che in campo affettivo forse la sua esperienza centrata da sempre su un'unica donna non era stato il meglio per la sua crescita emotiva.
    Aver avuto esperienze in qualche modo limitate gli aveva probabilmente impedito di conoscersi a fondo, di fare scelte ponderate e più libere.
    Non voleva certo giustificarsi con queste riflessioni.
    Il fatto era che ciò che aveva fatto aveva sorpreso per primo proprio lui.
    Aveva creduto di conoscersi bene e mai e poi mai avrebbe potuto immaginare che tra loro potesse accadere una cosa simile e rischiare una fine così ingloriosa del loro rapporto.
    Qualcosa avrebbe dovuto sentire prima, in qualche modo avrebbe dovuto accorgersi quantomeno di una certa insoddisfazione latente… ma niente di tutto questo era giunto al suo livello di coscienza.
    Quella voce particolare aveva risvegliato in lui istinti ancestrali mai avvertiti.
    Aveva seguito il richiamo profondo senza che la coscienza, il Super-Io come lo definivano quelli che parlavano bene, fosse minimamente intervenuto.
    Logica, rispetto, dovere, opportunità, perbenismo, peccato… nessuna di queste categorie era intervenuta a salvarlo.
    Chissà?
    Forse anche per Federica le conseguenze della sua inesperienza si erano fatte sentire.
    Forse anche lei si poneva tante domande cui faticava a dare risposte.
    Forse era per questo che non voleva più nemmeno parlare con lui?
    Forse non aveva aspettato altro che una buona occasione per riprendersi la libertà che non si erano mai entrambi concessi…
    Questo gli faceva male ancora di più, perché insieme avrebbero potuto capire più facilmente cosa fosse loro successo.
    “Allora ci aggiorniamo alla settimana prossima, stesso luogo e stessa ora. Non mancate, perché il problema va risolto e va risolto in tempi brevi. Pensateci e cerchiamo di trovare qualche idea vincente.”.
    Marco tornò bruscamente alla realtà dei suoi noiosi problemi lavorativi.
    Prese nota, chiuse la cartellina e, con un ciao ancora più brusco, si allontanò in fretta.




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  21. Immersa nei suoi turbinosi pensieri, Federica lentamente si alzò.
    Per poco non perse l'equilibrio.
    Si fermò per un attimo e poi si rimise in movimento.
    Quindi si diresse quasi senza rendersene conto nella zona notte della casa.
    Lì la luce era più fioca, decisamente più garbata.
    In quel momento desiderava tanto riuscire a rilassarsi un po'.
    Aveva voglia di chiudere un po’ gli occhi.
    A forza di rimuginare su tutto quello che era accaduto si sentiva la testa rovente, sembrava le volesse scoppiare da un momento all'altro.
    Pensò che fosse inevitabile.
    Girava e rigirava intorno a quella questione da giorni e non ne veniva certo a capo.
    Le sembrava di avvitarsi su se stessa come un areo in picchiata.
    Il suo ragionamento prendeva continuamente nuove strade, ma inesorabilmente finiva sempre con la stessa conclusione.
    In fondo sempre uguale era il punto di partenza, il tradimento che mai la sua mente aveva neanche lontanamente ipotizzato, e sempre uguali erano gli aspetti della loro vita insieme che lei andava analizzando uno per uno.
    Si sentiva del tutto sfiduciata.
    Pensò che in quel modo non sarebbe mai andata molto lontano e che lei davvero non ce la faceva più.
    Si percepiva svuotata e sfinita.
    Le era chiaro, chiarissimo, che doveva giungere ad un punto fermo se non voleva impazzire.
    Sì, non poteva proprio continuare così.
    Avvertiva con chiarezza un’urgenza incontenibile di individuare una soluzione possibile che le consentisse di tornare a vivere e di andare avanti.
    Il vero problema era che in quel preciso momento non era più sicura di niente.
    Infatti, spesso le sembrava di essere certa di quello che pensava, ma subito dopo ogni cosa le appariva esattamente il contrario.
    Certo, non era più tutto bianco o tutto nero come prima.
    Il tradimento c’era stato, era vero, un fatto gravissimo che non si poteva cancellare.
    Comunque Marco non mostrava di voler continuare per quella strada, anzi era ostinatissimo nel voler parlare con lei.
    Se non fosse stato più interessato al loro stare insieme, avrebbe potuto approfittare di quella contingenza per andarsene insalutato ospite.
    Invece sembrava tenere moltissimo a lei.
    Cosa voleva dire questo?
    E lei?
    Sì, la confessione era stata davvero una doccia gelata e le aveva fatto perdere il lume della ragione.
    Tuttavia non poteva dimenticare la faccia di Marco mentre gliela faceva, una faccia così contrita, così disperata che non riusciva proprio a dimenticarla a dispetto della sua rabbia e del suo dolore.

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  22. Uscito dalla riunione, Marco si era ritrovato in strada senza neppure lui sapere come.
    Invece di raggiungere il parcheggio e di salire in macchina, si era diretto distrattamente lungo la strada che costeggiava un giardino recintato.
    Adesso camminava all'ombra del muro di cinta con un certo impeto, quello che gli poteva essere consentito dal caldo afoso di quella giornata estiva.
    Man mano che avanzava pensieroso lungo il marciapiede, cominciò gradualmente a rilassarsi.
    Quel movimento sembrava fatto apposta per scaricare la tensione che lo attanagliava e, infatti, di lì a poco un sorriso appena abbozzato gli si stampò sul viso.
    Intanto anche i pensieri si erano fatti via via più leggeri.
    In quel ritrovato benessere, continuò ad avanzare finché non si ritrovò davanti al cancello di quello che era un piccolo parco pubblico in cui c'erano molte zone d'ombra e profumo di fiori.
    Marco ne varcò la soglia e proseguì sul ghiaino che frusciava sotto le sue scarpe, disturbando ma non troppo la quiete di quel luogo di pace, molto lontano dal mondo reale cui era assuefatto.
    Pensò che non ricordava nemmeno più da quanto tempo non entrasse in un posto tranquillo come quello.
    Si guardò intorno
    Sulle panchine all'ombra sedevano per lo più anziani.
    Alcuni leggevano, altri sonnecchiavano, altri ancora parlavano tra loro a bassa voce.
    Qualcuno intratteneva uno o più bimbetti che cicalavano intorno.
    Qualche mamma passeggiava con il suo passeggino in cui un neonato cercava di prendere sonno.
    Marco gironzolò per un po' spostandosi lungo i vialetti, poi si sedette all'ombra su una panchina che era ancora vuota.
    Finalmente chiuse gli occhi.
    Un senso di beatitudine, che non sperimentava da giorni, lo avvolse come una carezza.
    Si lasciò completamente andare, abbandonando lo zaino accanto a sé sulla panchina, incurante del fatto che glielo potessero rubare e di un'ape che gli ronzava lì vicino, pericolosa a quella distanza cosi ravvicinata.
    Stava troppo bene in quel momento per preoccuparsi di qualsiasi cosa.

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  23. Attraverso gli occhi chiusi, la calma della vita che c'era lì intorno filtrava lenitiva nel suo animo.
    Scendeva piano nel profondo, distendendo ogni più piccola fibra del suo corpo man mano che la raggiungeva.
    Ben presto si ritrovò in uno strano dormiveglia in cui il corpo era completamente addormentato, mentre la sua mente saltava da un pensiero all'altro in modo apparentemente casuale.
    Tesseva collegamenti che percepiva come assurdi con la logica, ma che viveva con una leggerezza rigeneratrice nel suo profondo inquieto e dolorante.
    “Nonno, nonno! Sono caduto… Guarda, mi sono fatto male. Esce il sangue! Aiuto!”.
    ”No. Non è niente, piccolino. Solo un po' di dolore… Ora ci do un bacino e tutto passa, vedrai…”.
    La conversazione tra nonno e nipotino andò avanti su questo tono ancora per un po'.
    Con questo cicacaleccio, seppure sommesso, Marco era tornato gradualmente alla realtà.
    Aveva riaperto gli occhi e ora si guardava intorno.
    A parte il bambino che piagnucolava in braccio al nonno, tutto era come prima.
    C’erano sempre anziani, bambini, mamme che passeggiavano spingendo carrozzine e passeggini e tutti si muovevano con lentezza, senza rumori eccessivi.
    Il piccolo parco pubblico si riconfermava un fresco rifugio in cui tutto andava in scena al rallentatore in quella calda ora del giorno.
    A Marco sembrò di essere dentro una fiaba, tanto non era più avvezzo a quel clima almeno apparentemente senza pensieri.
    Ad un tratto si accorse che, al di là della siepe di gelsomino, spuntava il tettuccio colorato di un chioschetto, uno di quelli pieni di bibite colorate che offrivano un grande refrigerio solo a guardarli.
    Marco non ci pensò su molto, afferrò lo zaino che fortunatamente era ancora lì sulla panchina e si diresse con decisione al di là della siepe.
    Che spettacolo attraente!
    Non c'era solo il chiosco là dietro, ma un po' appartate, c'erano anche comode sedie, poltroncine e, persino, un dondolo.
    L'uomo si accomodò su quest'ultimo e ordinò un bellini al cameriere che si era silenziosamente avvicinato.
    Strano, ma vero.
    Si sentiva in pace con il mondo intero.

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  24. Federica si ritrovò sdraiata sulle graziose lenzuola che aveva scelto con Marco non molto tempo prima.
    Allontanò quel pensiero sgradevole e cercò di pensare ad altro, ma senza troppo successo.
    Infatti non era affatto tranquilla.
    Si girava e rigirava senza posa al ritmo dei suoi pensieri che schizzavano e rimbalzavano dolorosamente da un lato all'altro della sua mente.
    Trascorse in questo modo un tempo che le sembrò ancora una volta troppo lungo e inconcludente.
    Allora, ritornata vigile e presente a se stessa, si stiracchiò un po' sul letto umidiccio e stazzonato e poi saltò giù con un'insolita determinazione.
    Dopo tante elucubrazioni senza concretezza, aveva deciso che era meglio reagire e fare qualcosa.
    Sì, aveva deciso di uscire fuori all'aperto, anche se faceva caldo, anzi caldissimo, ma forse l'aria più ricca di ossigeno le avrebbe fatto bene comunque.
    Detto fatto, Federica si ritrovò fuori dal portone.
    Prese a camminare senza alcuna riflessione su dove dirigersi, tanto qualsiasi posto andava bene per distrarsi e smaltire tutta quella tensione che non aveva niente di umano.
    All'inizio era molto distratta e concentrata a mettere un piede avanti all'altro, poi pian piano cominciò ad accorgersi della vita sonnolenta che si svolgeva intorno a lei.
    Al centro della piazza l’aiuola si adornava di cerchi concentrici di fiori di diverso colore, facendo da cornice alla data del giorno.
    Già, era mercoledì.
    Il giorno di mezzo che portava direttamente alla fine anche di quella settimana, pensò distrattamente.
    E poi un ciclista seminudo, due turisti con la macchina fotografica...
    Fu il profumo intenso del pitosforo che la colpì.
    Si accorse che stava costeggiando un muro di cinta e che la sua ombra le era gradita.
    Al di là scorgeva alberi fronzuti dai quali arrivavano fino a lei pigolii sommessi di uccellini.
    Erano quelli di un piccolo parco pubblico.
    Fu così che, quando si trovò davanti al cancello di entrata, entrò nel giardino senza nemmeno pensarci.
    Non aveva percorso che poche decine di metri, quando scorse dietro la siepe di gelsomino un chiosco di bibite.
    Decise di raggiungerlo perché, a questo punto, una bevanda ghiacciata le avrebbe fatto bene sicuramente.


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  25. E prima che ci riflettesse più di tanto, Federica si ritrovò spiaggiata come una balena su una poltroncina del chiosco delle bibite.
    Che caldo afoso!
    La camminata l'aveva un po' stancata.
    Prontamente l'uomo che gestiva quella piccola oasi di refrigerio, si avvicinò a prendere l'ordinazione.
    “Un Bellini, grazie.” si sentì mormorare.
    Federica chiuse gli occhi e cercò di assorbire profondamente la grande energia che percepiva lì intorno.
    Aveva la sensazione di essere in una specie di bagno avvolgente. C'era qualcosa di piacevole che emanava da tutto quel verde pieno di brusii, fruscii, pigolii, sporadici cinguettii.
    L'uomo del chiosco posò il bicchiere appannato senza rumore sul piccolo tavolo.
    Federica meccanicamente lo afferrò e lo portò alle labbra.
    Sorbì una sorsata di Bellini, contenendo a fatica il desiderio di berlo tutto d'un fiato.
    Si sgranchì un po' le gambe e cambiò posizione sulla poltroncina bianca che cigolò.
    In quella… si ritrovò occhi negli occhi con Marco, che sul fondo dello spiazzo la fissava dal dondolo!
    I due rimasero immobili e inespressivi con il bicchiere a mezz'aria.
    Erano attoniti e confusi, come fosse la prima volta in cui si incontravano.
    Poi tutto si svolse in un secondo.
    I due corsero l'una nella braccia dell'altro, mentre gran parte dei Bellini schizzava malamente fuori dai bicchieri.
    Il dondolo si mosse al ritmo della loro conversazione concitata per un bel po'.
    I bicchieri vuoti furono sostituiti con altri ben ghiacciati e deliziosamente appannati.
    Intanto l'aria si era fatta più fresca e piacevole.
    Cominciava a farsi buio.
    La vita nel parco era cambiata.
    Molti ragazzi, tante coppie di fidanzatini, molta confusione intorno al chiosco per l'aperitivo.
    Marco e Federica infine si alzarono.
    Abbracciandosi complici, si avviarono verso l'uscita del piccolo parco parlando concitatamente.
    A testa bassa, tutti presi dalle mille cose che dovevano dirsi, varcarono il cancello e si ritrovarono sulla strada costeggiata dal muro di cinta.
    Insieme alzarono lo sguardo lungo la via.
    E lei... lei era lì!
    Appoggiata ai mattoni ancora bollenti, quasi seduta, la donna li guardava intensamente.
    L'espressione tradiva poco dei suoi pensieri, ma l'insistenza diceva molto.
    Marco trasalì.
    Federica incrociò perplessa il suo sguardo.
    Insieme i due si arrestarono un microsecondo pietrificati.
    Poi ripresero a parlare da dove avevano lasciato e lentamente si diressero verso casa.
    Il futuro faceva loro l'occhiolino.
    Quale sarebbe stato il loro futuro?
    Chi poteva dirlo in quel momento?
    Oggi come allora, l'unica cosa vera è che la complessità dell'animo umano rende la vita bellissima e varia, sicuramente imprevedibile e certamente gioca con il futuro di tutti noi come il gattino fa con il gomitolo di lana.



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