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martedì 1 agosto 2017

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E che matriarca!









Eccoci di nuovo insieme!
Una nuova torrida giornata sta snodandosi davanti a noi, ma qui intorno alla nostra panchina è tutta un’altra storia.
Uno zefiro appena accennato ci mette in pace con noi stessi e con il mondo.

Volevo riprendere senza indugio il racconto che da qualche giorno gira intorno alla panchina, il racconto di questa matriarca, che gestisce in modo forse troppo importante la vita della sua famiglia allargata.

Forte e decisa nel lavoro, lascia poco spazio ai suoi collaboratori.
Di fondo ritiene di essere l’unica che può consentire all’azienda di sopravvivere.
Si dispera se riceve sgambetti dall’esterno, ma trova sempre soluzioni, se pure difficili e dolorose.
Alza la voce all’interno se non viene compresa in tempi rapidissimi, dà ordini continui, dorme tre ore per notte per tenere contatti con l’estero.
L’astinenza da sonno e il continuo arrovellarsi sulle stesse questioni non le danno un attimo di tregua.
Lo si avverte anche nei contatti personali in cui cerca sempre un ascolto ai suoi ragionamenti ripetuti all’infinito, più a se stessa che agli altri.

Poi accade improvviso un fatto che può  cambiare la vita, qualcosa che per la prima volta le dà la certezza che il tempo scorre velocemente anzi che è già trascorso per la maggior parte.
La matriarca barcolla. Deve trovare soluzioni.
È abituata a trovarne.
Si arrovella e si arrovella ancora e si accorge che sono indispensabili gli affetti che sostengono e leniscono l’anima, soprattutto che ci sono dei doveri e che i figli devono dare aiuto.
Quindi ricomincia a tessere più intensamente le relazioni familiari che sono rimaste molto superficiali per troppi lunghi anni.
Ed ecco qualche telefonata, inviti a pranzi settimanali, visite.
Insomma i giovani devono capire che c’è bisogno di loro, del loro apporto, della loro presenza.

La matriarca comincia ad entrare in crisi.
Le risposte sono tiepide, comunque maldestre.
Le esperienze pregresse della seconda generazione non sono state affettivamente molto ricche, quindi i figli restituiscono ciò che possono e sanno, cioè  molto poco.
I figli di lui l’hanno vissuta marginalmente, tranne una, il figlio di lei è cresciuto prevalentemente con i nonni.
Nessuno le gironzola intorno e l’abbraccia, le sorride o la sbaciucchia.

Questo lo ha fatto e lo fa solo lui, il marito, che ora vive qualche difficoltà di salute.
E non basta.
C'è di più.
C’è anche un matrimonio imminente che non s’ha da fare.
Lui, il pretendente, non va bene.
È in cerca di un tornaconto personale.
Mira ad altre cose che all’amore.
La figlia, l’ultima dei figli del marito, deve rendersene conto.
Sa che si è trovata in difficoltà altre volte nella scelta.
Deve ascoltarla.
Lei le vuole bene e sa cosa le serve.
Forse ha bisogno di uno psicologo.
Deve convincerla.

E poi il matrimonio avviene lo stesso.
I pari tutto sommato l’hanno sostenuta.
La matriarca è triste.
Non vuole festeggiare.
Non le hanno dato ascolto, anzi ha dovuto pagare tutte le spese.
No, così proprio non va.

Anche lei ha cominciato a farsi aiutare da uno psicologo, ma la ristrutturazione del suo pensiero è lenta e dolorosa.
Deve riprendersi.
In vacanza andrà meglio e recupererà un po’ di serenità.
Lo spera.

Che ne dite, cari amici de “La Panchina”, di queste figure femminili attive intorno a noi nella società del terzo millennio?
Ci troveremo ancora domani sull’argomento.
Nel frattempo, sarebbe molto bello per me sentire le vostre opinioni!

Intanto io vi aspetto qui come sempre.
A domani!

E... continuate ad allenare i muscoli della mente e del cuore con “La Panchina”!





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