Realtà di parole
Buongiorno e buon sabato, amici de "La Panchina"! Come va?
- Insomma... - mi risponderete in tanti e così veramente è. Effettivamente, non si può rispondere a cuor leggero che tutto va bene.
Tuttavia nel mondo de "La Panchina" c'è sempre uno spazio per prendere una pausa dalla contingenza, per portare altrove la mente e il cuore.
A me questo riconcilia con la vita, spero che possa essere lo stesso per voi.
Dunque, finalmente riesco a mettere nero su bianco alcune riflessioni che mi è capitato di fare un po' di tempo fa.
Ritorno su un argomento che gira e rigira è sempre presente e tanto attuale nella vita di questo blog e della nostra panchina.
Le parole... come sono importanti le parole!
Ne abbiamo spesso parlato e non è più un mistero per nessuno che le parole, oltre a consentire la formazione di nuovi schemi mentali, sanno creare addirittura una o più realtà.
Recentemente ho avuto occasione di assistere a due spettacoli teatrali e non ho potuto fare a meno di constatare quanto questo sia vero, di averne un'ulteriore conferma. Infatti la situazione rappresentata sul palco era una copia esatta di quanto si può riscontrare molto spesso nella vita reale.
Intanto, prima di tutto, vorrei far notare che quello che salta subito all'occhio, nell'ascoltare una sequenza di parole, è come ognuno soggettivamente, a seconda della propria esperienza, e perché no dei propri pregiudizi, coglie una realtà piuttosto che un'altra. E tutte queste realtà sembrano ugualmente vere.
Il primo spettacolo a cui mi riferisco è "Ditegli sempre di sì" di Eduardo De Filippo, da lui messo in scena nel 1932.
E qui troviamo il folle vero, il pazzo. Michele, che rientra a casa sua con l'ordine di non raccontare la sua esperienza in manicomio. La sorella si adopera perché tutto possa ritornare normale, ma questo non accade.
È interessante vedere come dalle parole che pronuncia Michele, obbediente alle regole, ognuno tragga conseguenze e significati completamente diversi.
Michele affronta la realtà in modo letterale senza cogliere nelle parole il senso della metafora e dell'allegoria, ma anche gli altri, i normali, nelle loro interpretazioni sono schiavi delle convenzioni e delle abitudini.
Tutte queste realtà sono stipate nella testa, proprio quella che Michele vorrebbe tagliare all'attorucolo che corteggia la figlia di uno dei personaggi, a sottolineare come follia e normalità è nella testa che si nascondono.
Anche nel secondo spettacolo, "Enrico IV" di Luigi Pirandello, scritto nel 1922, ritroviamo molte parole sempre intorno al tema della follia.
Il protagonista ha perso la memoria, cadendo da cavallo durante una rappresentazione in costume in cui indossa i panni di Enrico IV di Franconia. E rimane in questi panni per anni. Intorno a lui lo assecondano per tenerlo tranquillo.
E continua a vivere quella messa in scena anche quando riacquista la memoria, perché comprende che chi lo ha fatto cadere da cavallo lo ha fatto intenzionalmente e adesso amoreggia con la donna di cui era ed è innamorato.
Dopo molti altri anni, alla messa in scena del momento dell'incidente voluto fortemente dallo psichiatra, perde un attimo il controllo e sta per abbracciare la figlia della sua amata, che è identica alla madre da giovane. Il suo rivale, però, lo blocca e lui lo ferisce...
A questo punto decide di restare pazzo per sempre.
Qui le parole costruiscono alterne realtà scelte di volta in volta a seconda della necessità. Prima viene realizzata da persone preposte a far vivere Enrico IV e a contrastarne la follia, dopo dal protagonista stesso che si rende conto di non poter vivere più la sua vera vita.
Affascinante cogliere le implicazioni di uno studio psicologico così sottile posto in atto dai due autori con uno sguardo direttamente a Freud, non vi pare?
In tutto questo le parole la fanno da padrone.
Le parole... come sono importanti le parole!
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