![]() |
... grosso e grasso e goffo ... |
V i v e r e
L'uomo ormai viveva nel bosco da solo, lontano dai paesi e dalle città pullulanti di gente. Non poteva più sopportare la frenesia assordante delle persone. Le formiche voleva vederle libere andare e venire dal loro formicaio sotto il vecchissimo albero, illuminato qua e là da un bellissimo raggio di sole quando il cielo era senza nuvole.
Non voleva essere lui stesso una formica, per di più senza
cervello, programmato dal senso del vivere in cui la cosiddetta società
continuava a rinchiudersi, trascinandosi senza fantasia, senza scelta, senza libertà.
Così si era pian piano isolato, finché era capitato in quel bosco,
anzi in quella parte di quel bosco, che gli era apparsa da subito un luogo
letteralmente incantato.
Qui, grosso e grasso e goffo com'era, aveva trovato un'armonia che
mai avrebbe immaginato possibile e finalmente viveva la vita come voleva.
Un tempo aveva letto un libro in cui si disquisiva dell'essere e
dell'avere. Sì, adesso lui era libero semplicemente di essere. Non aveva alcun
interesse ad avere. In realtà non doveva prevaricare, difendersi, accumulare, perché
la sopravvivenza aveva un giusto peso in una dimensione in cui anche la morte
aveva la sua giusta cittadinanza.
Passava la maggior parte del tempo tra pensieri ed emozioni, captando
avidamente ogni impulso, ogni spunto di riflessione che gli arrivava
dall'ambiente.
Aveva passato un intero giorno sdraiato sotto il grande albero, rilassato
e immobile per non disturbare il via vai delle formiche, che scavalcavano il
suo corpo enorme come fosse una montagna, un normale ostacolo da superare.
Il loro lavoro ipnotizzava. Chissà se avevano un qualche sentore
di chi fossero e perché stessero lì. Certamente non aveva assistito a litigi
tra loro, anzi l'aveva colpito l'apparente voglia di darsi da fare a tutti i costi
per portare a termine un qualcosa… Ma cosa? Un obiettivo scelto o qualcosa per
cui sembravano programmate? E se così fosse stato, da chi?
Durante il giorno si spostava nel bosco lentamente, sempre con
estrema cautela, per non disturbare la vita di chi il bosco lo abitava a
maggior diritto di lui, pronto a fermarsi dove qualcosa attirava la sua
attenzione.
Qualche tempo prima era rimasto molto a lungo, sicuramente più di
un giorno, ad osservare un pendolino che costruiva il suo nido. Era un continuo
andare e venire per la ricerca del materiale da costruzione più adatto. Intrecciava
i rametti con una tale perizia ed un
impegno così grande, che raramente aveva visto tra gli uomini.
Da lui aveva imparato ad intrecciare ripari provvisori nel bosco, quando si allontanava troppo dal suo punto
fermo e magari si fermava lì per qualche giorno.
Quella mattina il ruscello scorreva sereno cantando la sua eterna canzone.
Che pace silente c'era oggi nel suo cuore!
All'improvviso tutto cambiò. Sotto la siepe qualcosa si mosse. Un
frugar di foglie secche, scricchiolii, segnali di vita che si nascondeva.
L'uomo si arrestò e si arrestò incuriosito. Sentiva in qualche
modo che qualcosa di straordinario stava per accadere. Si lasciò scivolare a
terra senza fare rumore, il tronco dell'albero a sostenerlo e a ripararlo. Sedette
lì immobile, in attesa, mentre gli scricchiolii andavano e venivano.
Infine l'esserino comparve. Curioso, spavaldo, per nulla
intimorito, gli occhietti furbi e vivaci. Poi il leprotto si immobilizzò.
L'uomo lo guardava rapito.
Dalle pesanti palpebre di rapace innamorato che contemplava il
delizioso musetto, si aprì un abbraccio mentale che sembrava tangibile, era lì, era lì nella radura, si poteva quasi toccare.
Subito, l'uomo si alzò e trascinò con qualche titubanza il suo corpo
pesante verso di lui, mentre negli occhi brillavano emozioni così intense che
riempirono tutto lo spazio intorno loro.
E lì rimase per tanto tanto tempo, amico privilegiato dell'uomo che lo aveva preferito agli umani della città irretita dal caos.
L'uomo invece era lontano le mille miglia da tutto questo banale pensare e sentire.
Viveva un mondo idilliaco in cui neppure il freddo o il caldo, la fame o la sete trovavano cittadinanza.
Nella città fumosa e in affanno, qualcuno pensava a lui come ad un uomo perso e in difficoltà.
RispondiEliminaL'uomo invece era lontano le mille miglia da tutto questo banale pensare e sentire.
Viveva un mondo idilliaco in cui neppure il freddo o il caldo, la fame o la sete trovavano cittadinanza.
Meraviglioso questo pezzo. Parla all'anima prima che alla mente. Mi piace moltissimo forse perché a volte negli anni mi era venuto il pensiero di andare, non so, ma di andare. E poi però mi prende un senso di smarrimento e allora ....penso che si può rimandare. Solo rimandare, non si sa mai.