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Consigli per la lettura delle pagine
: 8

Il blog parte con i post periodici con cui
lanciamo spunti e ci teniamo in contatto.

Sotto seguono una serie di pagine
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L'elenco è lungo, la voglia di scrivere è tanta,
lasciatevi coinvolgere per allenare i muscoli
della mente e del cuore

Buona lettura



Insieme - Creiamo una fiaba? 2








Ed ora proviamo a creare insieme un'altra bella fiaba per i nostri bambini... ed anche per noi!
Dunque, cominciamo!


🐦🐥🐦🐥🐦🐥🐦🐥🐦🐥🐦🐥

C'era una volta...

Sì, c'era una volta una famigliola che viveva ai margini di una grande città.
Lui, un giovane rigattiere che lavorava tutto il giorno nel capannone che aveva ereditato dal padre.
Lei una giovane donna, molto innamorata, che lucidava il suo minuscolo appartamentino, preparava da mangiare e sognava e sperava di realizzare una vita sempre migliore per sé e i suoi.

Oltre al fatto che i due erano molto innamorati, c'era anche un'altra importante novità in arrivo.
Attendevano un bambino!
Oh, come sarebbe stata lieta la loro casa con i trilli e i sorrisi del loro piccolino!


🐦🐥🐦🐥🐦🐥🐦🐥🐦🐥🐦🐥


Chi mi aiuta a continuare?
Dai, buttatevi!
Lo troverete divertente!



17 commenti:

  1. In questo clima sereno i giorni scorrevano con regolarità.
    Lui individuava e ritirava oggetti e mobilia di cui i proprietari desideravano disfarsi.
    Nel capannone cercava di rimetterli in sesto, quindi si adoperava per venderli.
    Non era un gruzzoletto molto grande quello che riusciva a racimolare, ma era abbastanza per vivere una vita semplice con lei che lo aspettava, sempre sorridente e piena di idee.
    Lei era sempre impegnata.
    Doveva tenere il piccolo alloggio ordinato, preparare da mangiare, sistemare la biancheria.
    Così non le restava molto tempo per annoiarsi.
    Intanto il piccolino, che sarebbe nato di lì a poco, aveva cominciato a muoversi.
    Le faceva molta compagnia e il tempo volava.
    Era qualcosa di straordinario anche giocare ad immaginarlo.
    Come sarebbe stato?
    O forse sarebbe stata una a bambina?
    E mentre ci pensava, gli occhi le brillavano e sorrideva da sola.

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  2. Un giorno dopo l’altro, il tempo scorreva nell'attesa.
    Tutto era era stato preparato per accogliere il bambino.
    Lei aveva allestito camiciole, tutine, golfini e scarpette.
    La culla era già accanto al suo letto.
    Insomma, ogni cosa era ormai pronta per il lieto evento.
    Una notte di dicembre, poco prima del Natale, lei si accorse che il momento era arrivato.
    Finalmente avrebbe conosciuto il suo piccolino!
    Si affrettò a svegliare suo marito e, un po’ assonnati, un po’ emozionati, un po’ timorosi, i due raggiunsero in qualche modo l’ospedale.
    Nel cuore della notte l’evento si realizzò.
    Ben presto un bellissimo bambino lanciò il suo primo vagito.
    Lei sorrise emozionata.
    Ma l'emozione durò solo un attimo.
    C’era qualcosa di strano in lei.
    E, infatti, di lì a poco si sentì un altro flebile vagito.
    Una nuova piccola bimba era venuta al mondo!
    Lei e lui furono certamente sorpresi e anche un pochino preoccupati per essere diventati genitori di due gemellini, ma l’emozione e la gioia illuminavano i loro increduli sguardi.
    In pochi secondi quattro piccole manine ed altrettanti minuscoli piedini catturarono per sempre tutta la loro attenzione.
    Alcuni giorni dopo, lei è lui tornarono a casa, ognuno con un fagottino tra le braccia.

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  3. Tra cambi di pannolini, poppate e doloretti di pancia alternati, i due piccolini iniziarono la loro vita nella piccola casa.
    Lei e lui li guardavano con occhi adoranti e... non dormivano mai.
    Lui qualche volta abbassava involontariamente le palpebre, mentre spostava e sistemava oggetti nel suo capannone.
    Allora si sedeva su una vecchia sedia, appoggiava il gomito su un cassettone sgangherato e, reclinato il capo divenuto pesante, dormiva cinque minuti.
    Poi si svegliava, sobbalzando, con un grande senso di colpa e si rimetteva frettolosamente a sistemare le sue cose nell'intento di recuperare il tempo perduto.
    Lei andava avanti a nutrire, cullare, cambiare, rassettare, lavare… finché si sentiva letteralmente svenire dalla stanchezza.
    A quel punto si sdraiava sulla corta e dura cassapanca in cui conservava il corredo e schiacciava un brevissimo pisolino. Se ne stava tutta rannicchiata perché non c’era posto per le gambe dal ginocchio in giù. Quella non era certo una comoda posizione.
    Infatti, non si sdraiava più semplicemente sul letto proprio per paura di addormentarsi profondamente e dormire quindi troppo a lungo.
    Aveva tantissimo da fare e non poteva certo permettersi di dormire!
    I vicini di casa, soprattutto quelli che abitavano nel loro stesso popoloso palazzo, erano venuti a conoscere i nuovi arrivati e cercavano anche di dare una mano a quei due giovani che dovevano di botto badare a ben due piccolini.
    C’era chi portava un pentolino di brodo per la cena, chi si fermava a dare una mano con i bambini per un’oretta, chi sbrigava una commissione inderogabile o faceva per loro un pochino di spesa.
    In quelle occasioni c’era anche la possibilità di scambiare qualche chiacchiera, mentre la mamma stendeva i pannolini appena lavati o rimetteva il ciuccio ad uno dei due che non lo trovava più e lo reclamava a gran voce.

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  4. Così i giorni passavano velocemente, senza quasi neppure avvedersene.
    Gradualmente i due gemellini avevano cominciato a richiedere maggiori attenzioni.
    Stavano decisamente molto più tempo svegli.
    Si guardavano intorno con curiosità, lanciavano richiami, si muovevano e sperimentavano.
    Soprattutto i due continuavano ad essere molto legati tra loro.
    Si cercavano con gli occhi, si toccavano con le minuscole manine, si strappavano il ciuccio a vicenda… e piangevano disperati se venivano separati.
    La bambina era più imperiosa e decisa. A volte si avventurava da sola “dimenticando” il fratellino.
    Quest’ultimo, invece, sembra sconcertato e spaurito se rimaneva indietro o veniva lasciato a se stesso.
    Aveva una vera adorazione per la sorellina e l’appoggiava in tutto, ne traeva ispirazione e la guardava estasiato.
    In tutto questo trambusto, i due prima si alzarono a sedere, poi cominciarono a gattonare, impararono quindi a camminare ed eccoli infine all’asilo.
    In quei tre anni, lei e lui avevano lavorato davvero tanto, avevano spaccato in due ogni centesimo che avevano avuto a disposizione, ma erano felici di quella bellissima ed allegra famigliola.
    Non era stato facile per niente, ma ora si sentivano un pochino più tranquilli ed anche appena appena più riposati.
    Parenti ed amici avevano dato loro una mano e non c’era alcun motivo di lamentarsi.
    Riflettevano spesso sul fatto che il palazzo era proorio un comunità e, anche se i problemi economici non mancavano, tutti cercavano di condividere quel che avevano e si aiutavano l’un l’altro.
    L’asilo in cui i due piccoli furono inseriti era un asilo gestito dalle suore, una specie di assistenza che esse elargivano per consentire alle mamme di fare qualche lavoretto e arrotondare.
    In quel quartiere periferico non ve ne erano altri.
    I due entrarono in quell’asilo piuttosto imbronciati e non cambiarono atteggiamento, anche se le suore facevano del loro meglio.
    Era pur vero che i metodi educativi di quel periodo storico erano decisamente rigidi e c’erano tante regole da rispettare.
    All’inizio i due piangevano tutti i giorni quando vi venivano accompagnati, poi in qualche modo si erano rassegnati.
    Il bimbo si appoggiava molto alla sua sorellina.
    Le stava sempre appiccicato, faceva tutto quello che lei decideva di fare e si sentiva smarrito quando lei, anche per dimostrare la sua forza, lo abbandonava in una situazione in cui lui doveva fare da solo.

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  5. Lei con le culotte a fiorellini rosa, lui con le culotte a disegnini celesti, giravano sempre appaiati nel cortile sassoso dell’oratorio.
    Per non perdere quella specie di corti pantaloncini arricciati, entrambi indossavano anche delle importanti bretelle, con una grande asola finale, bretelle che si incrociavano dietro la schiena e si fissavano ad un grosso bottone.
    Le suore erano sempre molto vestite anche nel caldo di agosto, naturalmente di nero, e avevano una immancabile cuffia a nascondere i capelli.
    Quando uscivano, poi, si mettevano degli enormi cappelli più grandi di loro, con due ali laterali al vento.
    Per questo tutti le chiamavano le cappellone.
    In questa atmosfera i due gemellini trascorrevano la loro giornata, unendosi e separandosi a fasi alterne dagli altri bambini.
    Erano costantemente insieme e per trovare l’uno dovevi necessariamente trovare anche l’altro.
    Quel giorno faceva davvero molto caldo.
    Era l’ora di merenda.
    Eccezionalmente, forse si festeggiava qualche ricorrenza religiosa, le suore avevano distribuito dei “formaggini”, così li chiamavano, di surrogato di cioccolato con pezzettini di nocciole.
    I bimbi erano felicissimi perché poche volte riuscivano ad avere una merenda così deliziosa.
    Mentre lei, che sapeva sempre tutto, spiegava o forse ordinava al fratellino come era meglio scartare il formaggino, lui si fermò per un attimo… roteò gli occhi, e si accasciò sulla sediolina sulla quale per fortuna era seduto.
    Lei, sorpresa, cominciò a scuoterlo, ma senza ottenere grandi risultati.
    Gli altri bimbi si fermarono tutti.
    Nella loro semplicità avvertivano che c’era qualcosa che non andava.
    Le suore, allora, accorsero e cercarono di rianimare il piccolino, cosa che avvenne quasi subito.
    Alla fine della fiera, pensarono che i due discoletti avessero fatto uno dei loro soliti scherzi.
    Così li sgridarono un po’ e tutto tornò come prima.
    Le carte dorate dei formaggini si ammucchiarono in un angolo e tutti gustarono il gradevolissimo cioccolato.
    Lui se ne stava buono buono sulla sedia.
    Lei era insolitamente calma e silenziosa.

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  6. Per un po’ di tempo le cose scorsero sui soliti binari.
    Poi qualcosa accadde.
    Era un sabato pomeriggio.
    Quel giorno i due gemelli avevano ricevuto in dono un giocattolo che li aveva molto sorpresi.
    Era una bellissima macchinina, grande e particolareggiata.
    Correva veloce grazie ad una sfera che ruotava a contatto con il pavimento dopo aver ricevuto una bella spinta.
    Lei, che ne pensava sempre una più del diavolo, aveva rimediato un tavoletta per animare il gioco.
    L’aveva posizionata su un panchetto ad una estremità, creando uno scivolo sul quale la pesante macchinina veniva giù superbamente, percorrendo un bel pezzettino di strada prima di fermarsi.
    Lei faceva partire la macchinina.
    Lui correva a riprenderla e la riportava, perché lei potesse farla partire di nuovo .
    Andarono avanti così per un bel po’ finché lui cadde inspiegabilmente a terra e non si rialzò.
    Roteava gli occhi e un pallore mortale comparve sul suo viso.
    La mamma era subito accorsa preoccupata per rianimarlo. Arrivavano anche i vicini di casa.
    Il piccolo fu portato in ospedale.
    Lei si guardava intorno impaurita.
    Non capiva cosa stesse accadendo.
    Nessuno badava a lei.
    Aggrappata al tavolo un po’ scorticato, rigida e spaventata, lei piangeva silenziosamente.



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  7. In ospedale lui si era ripreso abbastanza in fretta.
    Si sentiva un po’ spossato, però, anche un po’ impaurito, ma ciò che proprio gli faceva male era che era solo per la prima volta. La sua gemellina lo aveva abbandonato.
    Sì, la sua mamma era lì con lui. Tuttavia, non sorrideva mai e sembrava preoccupata.
    Lei, invece, era a casa di una vicina.
    Le avevano dato del pane con un po’ di marmellata, ma lei non aveva fame.
    Per la prima volta era davvero da sola, ma ciò che le mancava di più era il suo fratellino.
    Dove lo avevano portato? Perché non tornava a casa? Cosa gli era successo?
    Lui rimase qualche tempo in ospedale.
    Si sentiva molto triste e aveva anche tanta paura, perché facevano restare la mamma solo per poco tempo durante l’orario di visita.
    Non riusciva a capire perché doveva stare lì, con tutti quegli estranei che ogni tanto lo afferravano, lo manipolavano e gli infilavano un ago da qualche parte senza tante cerimonie.
    Più passava il tempo più si sentiva dolorante.
    Più trascorrevano i giorni e più non aveva voglia di fare niente.
    Ormai non tentava nemmeno più di alzarsi dal lettino, cosa che veniva regolarmente censurata dalle suore cappellone che erano anche lì.
    Queste, a differenza di quelle dell’asilo, erano vestite di bianco, ma erano ancora più severe e non ammettevano replica.
    C’era solo un signore, che doveva essere un medico, che quando lo auscultava con un freddo cerchietto di ferro qualche volta sorrideva da solo guardando la parete.

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  8. Poi lui tornò a casa.
    Frastornato com’era, non ce la faceva più neppure a camminare.
    La mamma lo aveva preso in braccio per salire quelle due rampette di scale che portavano al loro appartamentino.
    Appena varcata la soglia, era stato accerchiato da una vera folla. C’erano tutti gli inquilini del palazzo!
    Lo assalirono con mille domande, carezze e scherzetti che lo lanciarono incapace di proferire parola.
    Lei, la sorellina, si nascondeva immusonita dietro tutta quella gente e lui non riusciva a vederla.
    Finalmente la casa si svuotò e lui recuperò la capacità di pensare.
    Lei cominciò ad uscire un pochino allo scoperto, ma non si avvicinava più di tanto.
    Entrambi si guardavano in cagnesco e nessuno dei due osava dire una parola.
    Era chiaro che ognuno aveva qualche rimostranza da fare all’altro.
    Infatti tutti e due ritenevano di essere stati abbandonati senza un motivo e si chiedevano perché.
    Lui poi si sentiva come se un terribile uragano si fosse abbattuto sopra di lui.
    Pian pianino lei si avvicinò.
    S’arrampicò con nonchalance sul letto e vi rimase seduta appoggiandosi alla parete.
    Muovendosi, quasi impercettibilmente, lui le si fece sempre più vicino... poi si accoccolò sulla sua spalla.
    Si sorrisero finalmente e in breve il sodalizio fu ricostruito.

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  9. Un po’ alla volta la semplice vita nell’appartamentino sembrava aver ripreso il solito ritmo.
    Lui si era un pochino ripreso e il suo pallore gradualmente scompariva.
    Il suo visetto affilato stava lentamente recuperando qualche rotondità.
    L’estate era ormai sopraggiunta con la sua luce sfavillante e il caldo non mancava.
    Solo all’interno del palazzo si godeva un certo refrigerio.
    Le persiane, appena accostate, lasciavano filtrare un filino d’aria gradevole e l’oscurità che ne conseguiva era confortevole agli occhi.
    I due gemellini, ormai riappacificati, avevano ripreso i loro giochi.
    Lei dirigeva e controllava l’azione, lui collaborava ed eseguiva il progetto.
    Si erano anche abituati al fatto che lui dovesse prendere gocce e goccine mentre lei no.
    A lui non piaceva ingurgitarle e lei, che veniva ignorata, si sentiva un po’ messa da parte.
    Accadeva anche che ogni tanto lei rimanesse a casa della vicina, perché lui doveva andare da qualche parte con la mamma.
    Lui si lamentava che non voleva andare, ma poi si arrendeva ad essere trascinato via.
    Lei con capiva bene dove andassero.
    Lui non sapeva spiegare bene cosa facesse fuori casa.
    Si limitava a raccontare che andava in un enorme palazzo, con grandi finestroni e stanzoni enormi con tantissimi letti.
    Lì, mentre la mamma doveva rimanere fuori da una stanza piena di aggeggi, incontrava dei signori che lo osservavano seri seri e lo studiavano ben bene con dei “cosi” strani.
    Poi, senza degnarlo di uno sguardo, parlavano tra loro, si levavano e si rimettevano gli occhiali, scrivevano appunti, mettevano timbri. Infine chiamavano una “cappellona” che lo aiutava a ritornare dalla mamma.
    Lui si sentiva stanchissimo dopo tutte quelle manovre e non vedeva l’ora di essere lasciato in pace.
    Sull’autobus maleodorante che li riportava a casa, si addormentava come un sasso in braccio alla mamma.

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  10. Passò anche l’estate e i due gemellini si ritrovarono di nuovo all’asilo dalle suore cappellone.
    Lei sempre piena di idee bizzarre che caparbiamente cercava di mettere in pratica.
    Lui sempre più affaticato che cercava di arrancarle dietro.
    A volte, però, lui si fermava e la lasciava andare, finché lei non si accorgeva che era rimasta sola e tornava indietro a riprenderlo.
    Verso la fine d’ottobre, la situazione precipitò del tutto.
    Lui era talmente affannato che aveva smesso di andare all’asilo. Poi pian piano aveva cominciato a non alzarsi nemmeno più dal letto.
    Lei, da sola, non aveva più voluto vedere le cappellone ed era rimasta a ciondolare per l’appartamentino in cui si respirava un’aria strana.
    Tra il continuo andare e venire degli inquilini del palazzo, la mamma usciva solo per pochi minuti e si affrettava subito a rientrare.
    Il papà stava più a casa che tra gli oggetti vecchi nel capannone. Alcune volte non andava proprio a lavorare.
    Un giorno piovoso di novembre lei fu accompagnata a casa della vicina di pianerottolo e lì fu lasciata a giocare con i suoi tre bambini.
    Lui, invece, con il resto della famiglia partì con pacchi e pacchetti in un alone di grande tristezza.
    Lei si chiese dove stessero andando e non sapeva certo darsi una risposta.
    Ancora una volta l’avevano lasciata da sola e questo proprio non lo sopportava.

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  11. Si sentiva davvero a disagio.
    La sua famiglia lo aveva fatto ancora.
    Se ne era andata via senza di lei!
    Non sapeva spiegarselo e questo la rendeva particolarmente triste.
    Due giorni più tardi, dopo aver pranzato, si ritrovò a giocare svogliatamente con gli altri bimbetti di casa.
    Avevano dei noccioli di nespola che conservavano dall’estate. Erano secchi e duri, ma leggeri come l’aria.
    Il gioco consisteva nel lanciarli a terra e poi raccoglierli, in successione, uno alla volta, due alla volta e così via, intanto che se ne lanciava anche uno in alto, senza farli cadere.
    Mentre partecipava distrattamente al gioco, le venne fatto di prestare orecchio a quello che i grandi di casa si stavano dicendo.
    Captò immediatamente che stavano parlando di lui, così fece la massima attenzione.
    Tra tante parole difficili e incomprensibili, in mezzo al chiasso degli altri giocatori, capì che lui era di nuovo da qualche parte, di nuovo in balia delle cappellone vestite di bianco e di quei signori seri seri, che lo studiavano in silenzio con gli occhiali sulla punta del naso.
    Qualcuno ora affermava che gli avevano fatto un taglio lungo lungo sul torace e avevano “riaggiustato” il suo cuoricino capriccioso.
    Qualcun altro a bassissima voce per non farsi sentire borbottava in continuazione: “Ma ce la farà? Oh, mio dio! Ma c’è la farà?”.
    Lei, che aveva un udito finissimo, sentì chiaramente quelle parole e, mentre aspettava il suo turno per lanciare in aria i bruni noccioli, sentì un moto di pianto salirle alla gola.
    Gli occhi appena umidi di lacrime trattenute, cercò di non farsi vedere dagli altri bambini, ma dentro di lei anche il suo cuore ora faceva dei terribili capricci.

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  12. Dopo un tempo interminabile, il papà rientrò a casa, ma della mamma ancora non v’era traccia.
    Lei tornò a dormire a casa sua, ma l’appartamentino ora era vuoto e triste.
    Come se parlasse a se stesso, il papà borbottò qualcosa che lei, però, non capì bene.
    Restò lì muta e interdetta, ma non sapeva come fare altre domande.
    Afferrò soltanto la frase che lui aveva sempre gli occhi chiusi ed era bianco terreo.
    Sembrava un morticino. Non restava che attendere e pregare.
    Il suo cuoricino si strinse forte forte.
    Disse che non aveva fame e quella sera andò a letto sbocconcellando un pezzetto di pane.
    Si andò avanti così per alcuni interminabili giorni.
    Di giorno stava sempre a casa della vicina, di notte tornava a dormire con il papà, che per quanto era serio non si riconosceva più.
    La casa era sempre più in disordine.
    Una volta o due tornò anche la mamma, la quale si limitò a lavarsi, a cambiarsi d’abito e a ripartire poco dopo.
    Le dette anche due o tre bacetti fugaci, ma sembrava irraggiungibile e assente.
    La vicina di casa era gentile con lei, ma era così impegnata a badare a quella grande famiglia che davvero stava molto tempo da sola, troppo,come del resto gli altri ragazzini della casa.
    Così le venivano pensieri orrendi e una sensazione di paura e di oppressione che la fiaba dell’orco che voleva mangiare i bimbi fatti prigionieri era quasi allegra al confronto.
    Un giorno una delle signore dell’interno quindici, la condusse a casa sua per un po’ di tempo.
    Oh, quella sì che era una casa graziosa!
    Le due sorelle attempate che vi abitavano erano molto precise, linde, gentili e sorridenti.
    Non c’erano bambini in quella casa e tutto era in un ordine mai visto.
    La cosa che la colpì particolarmente fu la straordinaria raccolta di piante che avevano sul balconcino davvero minuscolo della cucina e il vaso di fiori che faceva bella mostra di sé sul tavolo del tinello.
    Respirò a pieni polmoni l’area di conforto che si respirava in quella casina vezzosa e per un po’ dimenticò tutte le sue tristezze.
    Le due si fecero in quattro per farla sorridere e in verità ci riuscirono.
    Prima che andasse via per tornare a dormire a casa sua in mezzo al disordine che lei è il padre facevano ormai da più giorni, la condussero davanti ad un bel cassettone lucido in camera da letto.
    Una delle due prese una piccola chiave e aprì il primo cassetto in alto.
    Lei notò subito la bellissima scatoletta di cartone, tutta colorata, che si mostrava superba in mezzo ai fazzolettini ricamati e ben piegati.
    E proprio quella prese la sorella più giovane, che l’aprì, mostrandole il contenuto.
    Oh, che meraviglia!
    Era piena di caramelle piccolissime di tutti i colori.
    Erano caramelline di zucchero trasparenti. Sembravano di vetro.
    Al loro interno si intravvedeva una goccina di liquido.
    La donna le disse di prendere tutte quelle che desiderava.
    Rimase fortemente imbambolata di fronte a questo invito, poi dietro le sue insistenze ne prese alcune e le tenne nel palmo della mano.
    Ne scelse una rosa, una rossa, una verde, una celeste come il cielo.
    Timidamente le assaggiò e quale non fu la sua meraviglia nel sentire che erano croccanti come una lastra sottile di ghiaccio e ripiene di un dolcissimo liquido che accarezzava il palato.
    L’emozione fu così forte che l’avrebbe ricordata per tutta la vita.
    Quella sera, tornando a casa per andare a dormire, il suo cuoricino era molto più leggero.

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  13. L’esperienza emotiva di quelle caramelline fu certamente un segno per lei.
    Era stato come se qualcosa di durissimo le si fosse improvvisamente sciolto dentro.
    Infatti quella notte il suo sonno fu più tranquillo e liberatorio.
    Al mattino si svegliò finalmente ben riposata.
    Un raggio di sole filtrava dalle persiane.
    Restò incantata ad osservare il suo percorso, dritto e preciso, come fosse stato creato con un righello.
    Notò che si perdeva sulla sedia di legno, dove aveva abbandonato i suoi abiti alla rinfusa la sera prima.
    Con tutta quella luce la scena aveva una grande armonia... sembrava quasi un bel quadro pensato da un pittore.
    Tuttavia, la cosa che davvero la ipnotizzò fu ciò che si muoveva lungo il percorso di quel raggio fantastico, un pulviscolo d’oro e d’argento, che galleggiava seguendo una qualche danza sconosciuta.
    Sorrise con trasporto a quello spettacolo.
    I suoi occhi brillavano dopo tanto tempo.
    E capì che quello era il giorno della svolta, quando percepì un trambusto sulle scale.
    Era un crescendo di voci.
    Riconobbe subito quella della sua vicina di pianerottolo, alla quale ben preeto si unirino le risatine delle signore dell’interno quindici.
    Poi fu tutto un sovrapporsi di suoni e rumori... e non si distinse più niente.
    Arrivava al suo orecchio, però, un’atmosfera di grande allegria.
    Qualcosa di bello era in corso.
    Saltò giù dal letto e corse a scoprire cosa stesse accadendo.



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  14. Quello che vide le piacque molto.
    Lui era finalmente ritornato!
    La mamma aveva le braccia piene di pacchi, borse e borsette… ma sorrideva radiosa.
    Le vicine di casa cercavano di aiutarla, anche se facevano soltanto una grande confusione.
    Lui guardava tutti con un sorrisetto sornione e tentava di districarsi da quel grappolo umano che percorreva un passo in avanti e tornava indietro di due.
    Il corridoio era stretto per quella folla di persone che avrebbe voluto entrare ed avanzare senza mollare la posizione a tutti i costi.
    Lei rientrò appena un po' nella stanza da letto e lasciò passare quel trambusto per non esserne investita.
    Ovviamente nessuno badava a lei.
    Lui fu fatto sedere in cucina vicino alla finestra.
    Poi, nel cicaleccio generale, cominciarono a girare tazzine di caffè fumante e qualche biscotto.
    Lei si intrufolò tra le allegre comari e raggiunse da dietro la sedia su cui lui sedeva in trono.
    Finalmente i loro occhi si incontrarono e un luminoso sorriso sorse spontaneo.
    Oh! Lui sembrava un altro. Era magro ed i suoi occhi spalancati erano grandissimi.
    Tuttavia il pallore mortale era scomparso dalle sue guance.
    Un colorito roseo e più luminoso aveva preso il suo posto.
    Lei girò intorno alla sedia, lo spinse un po’ di lato e si sedette con un sorriso accanto a lui.
    Lui le dette mezzo del suo biscotto.
    Una delle due signore dell’interno quindici scaldò un po’ di latte, lo versò in due tazzine appena appena scrostate, ci mise anche un pochino di zucchero e le porse ai due gemellini.
    I due le afferrarono felici, si guardarono negli occhi e con un sorriso di distensione bevvero d’un fiato il latte caldo insieme, insieme come facevano in passato tutte le mattine.
    Rimasero lì a lungo in silenzio a guardarsi intorno, mentre la mamma e il babbo parlavano fitto fitto con i tanti inquilini del palazzo che erano venuti e venivano da loro a rendere omaggio.
    Qualcuno usciva dalla porta rimasta aperta, ma subito qualcun altro entrava e si mischiava a quelli che erano rimasti.
    Tutti erano allegri.
    Sembrava che quel momento dovesse non finire mai.

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  15. Andò avanti così per tutto il giorno, poi le visite si diradarono e pian piano tutto tornò alla normalità.
    Gradualmente lui riprese un po’ di peso e, soprattutto, un po’ di energia e di resistenza alla fatica.
    Non aveva più il fiatone quando camminava velocemente ed era tornato ad essere più spensierato e sorridente.
    Lei lo osservava con interesse.
    Moriva dalla voglia di trascinarlo di nuovo in qualche monelleria, ma ancora non si azzardava, timorosa com’era che tutto potesse ricominciare da capo.
    In quel periodo i due gemellini erano cambiati molto entrambi.
    Lui aveva dovuto affrontare il disagio fisico, la paura, il dolore…
    Era stato quasi annientato del tutto.
    Tra punture, cerotti, medicine, medicazioni, visite continue di uomini in camice bianco, cappellone che andavano e venivano, si era così disorientato che aveva creduto di essere morto.
    Non aveva ben capito cosa gli avessero davvero fatto sul torace.
    Sapeva soltanto che era stato terribilmente doloroso, ma che adesso che aveva ripreso un po’ di forza si sentiva stranamente meglio.
    Lei, che era dovuta crescere molto in fretta, aveva capito che era stata sul punto di perdere il suo fratellino.
    Lui, che non ce la faceva a seguirla nei giochi, era stato operato al cuoricino…
    Per fortuna ce l’aveva fatta.
    Ora stava meglio e, quando la rincorreva, respirava in modo meno affannato.
    Nel piccolo appartamento, un po' alla volta, la vita tornò alla quasi normalità.
    Il papà aveva ripreso a lavorare con la regolarità e l’impegno di sempre.
    Girava senza sosta per il quartiere, ed anche in quelli vicini, per individuare e ritirare oggetti e mobilia di cui i proprietari desideravano disfarsi.
    Nel capannone cercava di rimetterli in sesto, con vera passione, quindi si adoperava per venderli.
    La mamma lavorava molto per tenere in ordine l’appartamentino e procurare tutto quello che serviva alla famigliola.
    Adesso spesso cantava e, quando poteva, andava anche in chiesa ad accendere una candela.
    Intanto era arrivato di nuovo ottobre e i due gemellini erano ritornati all’asilo dalle cappellone.
    Questa volta erano tra i bambini più grandi ed erano molto più consapevoli.
    L’atmosfera qui era sempre la stessa, quella che già ben conoscevano.
    E in questa atmosfera i due gemellini ripresero a trascorrere la loro giornata, unendosi e separandosi a fasi alterne dagli altri bambini.
    Erano ancora costantemente insieme e per trovare l’uno dovevi necessariamente trovare anche l’altro.

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  16. È sempre coinvolgente leggere queste storie. Piacevoli emozioni...

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