La Panchina
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Il pesciolino rosso nuotava senza posa in una vaschetta posata sul tavolino.
Girava imperterrito e determinato dentro la boccia piena d’acqua.
Quando si avvicinava al vetro, i suoi occhi e la bocca spalancata e palpitante, diventavano enormi.
Felix cercava di mirarlo per vedere dove con un zampata lo avrebbe acchiappato, di sicuro schiacciato contro il vetro.
“Arf, arf”.
Nel vedere quello che stava accadendo, Robin era corso dalla padrona e, prendendola per la gonna, l’aveva condotta in sala.
Il misfatto stava per essere compiuto.
“Felix, ti uccido! Lascia stare quel pesce, altrimenti ti faccio fare la fine della volpe!” gridò la padrona senza tanti mezzi termini.
“No, quella fine proprio no…” miagolò Felix portandosi lontano con gran lena.
La volpe rossa si era posizionata per l’eternità sulla giacca della sua padrona.
Non ci teneva a fare altrettanto.
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“Mattia, lascia stare la signora Delia! Non toccarle i capelli... Lo sai che lei ci tiene tanto alla sua capigliatura! Dai, Mattia, fai il bravo! Vieni a sederti al tavolo. Vuoi aiutare Giorgina ad infilare le collane?”.
La donna con il grembiule celeste prese sottobraccio il signor Mattia.
Lo guidò con gentilezza verso il tavolo, al quale borbottando l’uomo finalmente sedette.
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E’ troppo bella la giornata per starmene in casa.
Ho deciso.
Metto il guinzaglio al mio cane, un boxer femmina bellissimo nella sua bruttezza, ed esco dal cancello.
Sul muretto del giardino c’è sdraiato un gatto bianco e nero che ci guarda tranquillo per niente intimorito.
Forse è Robin.
Sono io in difficoltà… non riesco a tenere il cane.
Lo lascerò andare. Tornerà indietro quando sarà stanco.
Bei tempi!
Bei tempi quando mia madre mi portava a Lucca, facendomi salire sul portapacchi della sua bicicletta!
E la sua voce… La sento ancora.
Mi ripeteva con tanta calma e dolcezza: “Se fai la brava, ti porto dal Pera a mangiare la briosce.”.
E questo avveniva tutte le volte. Era diventato un rito, il nostro rito segreto.
Dopo essere stati dal Pera ed aver gustato la briosce, il nostro viaggio continuava.
La mamma mi guidava di qua e di là, facendomi conoscere la città.
Che bello era girovagare per Lucca con la mamma!
E come mi sembrava stupefacente la città!
Ah… adesso mi ricordo.
In quel periodo della mia vita in casa avevamo anche Aviss, il cane amico di tutti e amato da tutti.
Mi manca tanto quando con la zampina mi dava la sveglia.
Oh, povera me! Dove è finito Robin?
Sarà meglio se vado a vedere dietro quella villetta.
Chissà cosa starà combinando!
Robin, Robin dove sei andato? Torna indietro.
Eppure era qui con me…
Forse mi sbaglio.
Magari sarà rimasto a dormire in giardino.
Ho camminato tanto. Troppo. Sono stanca stanca.
Ora mi siedo su questo muretto per un po’.
Aspetterò qui che Robin ritorni.
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Un cane? Un gatto? Magari un pesciolino?
Sì, doveva procurargli un animaletto.
E doveva farlo subito.
Anche una bambola da accudire poteva andare bene.
Aveva visto la tenerezza e la serietà con cui l’anziana signora in televisione se l’era stretta al cuore.
Nel documentario si era vista con chiarezza la gioia provata nel momento in cui la bambina le aveva lasciato tra le braccia la morbida bambola, una bambola che sembrava proprio un vero neonato.
E poi avevano spiegato che avrebbe potuto avere più effetto di un medicinale il contatto con “qualcosa/qualcuno” da accudire!
Sì, avrebbe cercato immediatamente un cagnolino… anche un gatto forse…
No, non era possibile. Non le avrebbero mai consentito di tenere un animaletto in quel luogo.
Un pesciolino… sì, un pesciolino poteva essere un’idea vincente.
Certamente per un pesciolino avrebbe potuto ottenere il permesso.
A pensarci bene, però, doveva ancora avere ancora in soffitta un bambolotto.
Quando era ragazza glielo aveva regalato una sua amica, regalo insolito ma gradito.
Morbido al tatto, nella sua tutina celeste, come usava allora, si muoveva scompostamente appena la chiavetta della carica veniva rilasciata.
Sembrava proprio un neonato vero!
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La nonna stringeva forte al seno un bambolotto tenero e intrigante.
Si dondolava ritmicamente con gli occhi chiusi.
Ogni tanto gli accarezzava il faccino e mormorava con un filo di voce:
Se avessi un gattino
lo regalerei a un piccinino
perché potesse giocare
e imparasse ad amare.
Si rammarica la mamma
per non aver accontentato
il figlio con un cane
che aveva desiderato,
ma senza un giardino
come si poteva fare
a crescere un cagnolino
che voleva giocare?
“Mattia, lascia stare la signora Delia! Dai, Mattia, fai il bravo! Vieni a sederti al tavolo. Vuoi aiutare Giorgina a mettere in ordine gli anelli?” ripeteva con gentilezza la donna con il grembiule celeste.
“Se avessi un gattino
lo regalerei a un piccinino…” canticchiava sottovoce la nonna.
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