Buongiorno!
Intorno alla panchina oggi c’è molta foschia, una nebbiolina tiepida e dolce che nasconde e accarezza.
Si intuisce che presto il sole la farà da padrone.
È gratificante sentirsi così protetti.
Sembra di essere in una sorta di placenta amica.
Ancora una volta i pensieri nascono da soli, si rincorrono, si palesano, si condensano, avviluppati dalla foschia che già irradia una luce di speranza e bellezza.
Le figure femminili di cui parlavamo ieri danzano ora qui intorno.
Determinate, volitive, importanti, occupano spazio e attenzione.
Non puoi non notarle.
La matriarca dirige, con lo sguardo, con il corpo, con il movimento, con una parola qua e là, la giostra in movimento di molte vite.
È chiaro il suo indirizzare tutti da lungo tempo.
I più giovani nemmeno più avvertono di essere in qualche modo diretti.
È palese.
La donna nel fiore degli anni e della vita ha completamente assorbito idee e comportamenti.
Attende ai suoi numerosi bambini con compunzione, convinzione, razionalità in cui fanno capolino principi e regole.
Segue il sentiero battuto, sostenuto, consigliato dalla matriarca.
È con lei che vuole stare.
La sua approvazione la conforta.
La matriarca, come una mastodontica elefantessa, riporta continuamente sul sentiero battuto con colpi impercettibili della proboscide, piccole amorose carezze che tengono all’interno, che non fanno allontanare per altre dubbie direzioni.
Tutto è impeccabile intorno.
Orari, abitini inanimidati, asciugamani con pizzi di altri tempi, cibi leggeri studiati nei dettagli, voci dolci e misurate.
Il poppante richiede accudimento al seno ogni quarto d’ora.
La madre lo accontenta, mentre conversa con chi le sta intorno.
Il fratellino intermedio sorride, ma si intravvede il ghigno nascosto.
Si butta addosso a mamma e fratellino in quella che sembrerebbe una carezza, ma che rivela quanto soffra nel vedere quell’intruso tra le braccia della mamma, le sue braccia!
Giunge pronta la matriarca che lo tocca lievemente con la proboscide e lo spinge senza darlo a vedere verso l’anziano elefante che l’accoglie nel suo ruolo defilato e muto.
Lo sfiora con il suo annoso grosso orecchio.
I due si allontanano insieme dalla scena.
Intanto la bambina più grande ha lasciato la palla e ha occupato tutto lo spazio con grande veemenza.
I grandi occhi spalancati, guarda.
Osserva.
Il sorriso è d’ordinanza.
In piedi sulle sedie si sposta dall’una all’altra con salti più o meno precisi. Pericolosi.
Si butta addosso alla madre con un po’ troppa enfasi.
C’è un sorriso anche per lei.
La proboscide della matriarca la riporta sul sentiero con piccole domande che solleticano le sue conoscenze linguistiche.
È una carezza alla sua conoscenza precoce della lingua inglese, una conoscenza piena di nomi difficili di animali desueti a quell’età.
Ne nasce una breve dissertazione sul significato di porcupine e hedgehog che coinvolge tutti gli astanti.
Dura poco.
L’elefante padre è comparso nell’arena.
Un saluto fugace, una battuta ironica, siede ed osserva per un po’.
Il piccolo ha finito di poppare.
La mamma lo molla nelle braccia del papà e si allontana con la figlia maggiore per un gioco con la palla.
Passano pochi minuti. Il piccolo è nella sua carrozzina.
Il papà si allontana.
La matriarca gli dà consigli per il pranzo.
Oh, il sole ha quasi del tutto disciolto la foschia mattutina!
È tempo di fare una sosta.
Vi aspetto domani per continuare!
Grazie per essere stati qui ad allenare i muscoli della mente e del cuore!
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